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8. Modelli a confronto

8.2. Il modello della Bottega

Riprendendo i tratti di base che caratterizzano l’apprendimento nella bottega medievale è possibile comporre un modello alternativo alla metafora dell’Aula scolastica. Il confronto che ne vien fuori agevola la scelta di un prototipo, o se non altro favorisce l’emersione dei nodi critici da vagliare per un’accorta progettazione.

Abbiamo visto che la bottega artigiana è un luogo: 1. Aperto al suo interno e al territorio; 2. Dove si svolge un lavoro in comune; 3. In cui i ruoli sono molteplici e fluidi; 4. Che armonizza apprendimenti teorici e pratici; 5. In cui la conoscenza si attinge anche dagli oggetti; 6. Dove si crea un equilibrio dinamico fra tradizione e innovazione. 7. Che persegue la ricerca d‘eccellenza nelle pratiche. 8. Dove si verifica uno scambio incessante fra partecipanti di differenti età, competenze e interessi; 9 In cui è centrale l’autonomia. Come si vede si tratta di un panorama più mosso rispetto a quello scolastico. Non si tratta di stabilire criteri assiologici assoluti, non si additano buoni e cattivi per ogni circostanza; ciascun tipo vanta piuttosto le proprie ricchezze e, come è inevitabile, è segnato da peculiari pecche. L’affermare che il modello della Bottega è più mosso significa riconoscere che in esso è pregnante lo scambio, l’apertura, la dialettica continua fra elementi eterogenei e, di converso, che è attraversato da minor precisione, controllo e vi regna certo più confusione. Una sua attuazione contemplerebbe lavori in comune caratterizzati dalla collaborazione attiva, in cui pratica e teoria risultassero amalgamate, giungendo attraverso le opere prodotte ad una acquisizione di buone prassi e dunque ad un loro affinamento progressivo. Ciò significa riconoscere centralità e piena autonomia al discente in apprendimento, reputandolo fra l’altro capace di apportare nuova linfa e conoscenza al gruppo, nonché all’intero sistema. Senza descrivere nel dettaglio ogni singolo punto del modello, di cui verranno precisati meglio alcuni aspetti, si può afferrarlo con sguardo sintetico nella seconda colonna della Fig.16.

Piuttosto c’è un filo da annodare qui che risulta particolarmente delicato per chi si interessa di formazione. Il lavorare in bottega, che oggi significa costruire conoscenza attraverso la partecipazione a dei progetti collaborativi, può configurarsi realmente come un modo per agganciare la teoria alla pratica, per collegare gli apprendimenti all’esperienza, dunque per ristrutturare fortemente e stabilmente la mappa conoscitiva e le capacità del soggetto. Non è questione da poco, rappresenta una via d’uscita rispetto alla volatilità di nozioni teoriche scollegate da ogni contesto, che scivolano via al primo refolo di vento. Perché apprendere per il solo gusto di apprendere richiede forte consapevolezza o passione, dunque se le motivazioni personali non sono lì a sostenere, spesso l’apprendimento non si realizza affatto. D’altro canto affidarsi alle panacee d’ogni male è sempre rischioso. Lo stesso capita dunque anche per l’apprendimento realizzato attraverso progetti collaborativi. Se i progetti non sono avvertiti dai soggetti come effettivamente significativi, se non suscitano un coinvolgimento reale, rischiano di non andare affatto più in là di un apprendere solitario su materiali lineari

ed astratti. Possono rimanere superficiali adempimenti, esattamente come lo è ripetere la pagina. Così affidarsi al metodo o al modello buono del momento non può esimere dal riflettere sulla complessità che sempre attraversa il nostro apprendere. Si può scrivere una paginetta in rete insieme ad altri su un wiki per terminare il compito, tanto quanto si farebbe con la lettura di qualche pagina di libro da ripetere in aula. Non si viene automaticamente contagiati dall’afflato dei primi costruttori della Wikipedia per il solo fatto di usare quell’identico strumento. Neppure la collaborazione, da sola, è una garanzia. Questo significa che la via dei progetti collaborativi è anch’essa disseminata di asperità. Sicuramente è una via appassionante e, alla lunga, vincente, ammesso che non si dia per scontata la sua riuscita in base all’applicazione di un sistema. Andrebbe perseguita con più tenacia e consapevolezza di quanta non venga applicata oggi da chi già pratica il modello collaborativo. Ci si dovrebbe interrogare sui reali interessi dei soggetti, sulla concretezza del progetto in relazione a quegli interessi, sulle reazioni: capire se chi partecipa si muove alla ricerca di informazioni e raccoglie notizie e conoscenze animato dall’impegno a risolvere veri problemi di costruzione o se si applica allo svolgimento di un compitino, per quanto meglio congegnato.

Ma torniamo al modello. Possiamo dargli altro spessore avvalendoci degli studi che si sono occupati di apprendimento situato, con riferimento precisamente all’apprendistato tradizionale. Una sintesi delle strategie in esso rintracciate ce la fornisce Trentin:

“L’apprendistato tradizionale impiega quattro importanti strategie per promuovere la

competenza esperta [...]: modelling – l’apprendista osserva e imita il maestro che dimostra come fare; coaching – il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l‘attenzione su un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro; scaffolding – il maestro fornisce un appoggio all’apprendista, uno stimolo, preimposta il lavoro, ecc.; fading – il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a chi apprende uno spazio progressivamente maggiore di responsabilità.”77

Sul concetto di competenza esperta, di expertise, ci si è molto occupati soprattutto nell’ambito della formazione professionale. Eppure un problema risiede nella difficoltà che la didattica sperimenta nel confrontarsi con saperi “sporchi” o il cui processo risulti indicibile, a cui appartengono appunto i saperi necessari al raggiungimento di elevati livelli di competenza esperta. La costruzione di queste competenze è difficilmente esprimibile a parole o attraverso tassonomie di livelli; l’esperto stesso, su espressa richiesta, il più delle volte non è in grado di formulare chiaramente i passaggi eseguiti per raggiungere il livello di competenza che padroneggia. Come nemmeno sa spiegare, di frequente, le modalità di risoluzione quotidiana dei suoi compiti, in cui pure riesce così bene. Il mescolarsi di saperi informali in queste competenze e l’azione che su di esse svolgono meccanismi in parte inconsci sembra mettere fortemente in crisi l’impianto razionale e formale dei saperi che caratterizza il modello di insegnamento tradizionale. Ciò non toglie che ciascun discente è intriso di competenze che non sono nettamente delimitate, come si vorrebbe, ma risultano

77 Trentin, Guglielmo. La sostenibilità didattico-formativa dell'e-learning. Social networking e

da una mescolanza di componenti formali informali non formali ed in cui gioca un ruolo importante l’elemento affettivo. L’accettazione di non poter avere il pieno controllo dell’intero processo forse renderebbe la vista migliore su un panorama complesso e sarebbe un primo passo per recuperare una funzione di regia almeno sulla parte del percorso, non ristretta né banale, su cui si può davvero giocare un ruolo.

Il vero segreto per raggiungere l’expertise pare assai difficile da svelare, ma opera similmente su tutte quelle competenze che mettiamo in campo quando ci troviamo ad operare concretamente in situazione. Così si esplica in modo simile in apprendimenti come l’andare in bicicletta o cucinare, o per i mestieri artigianali di bottega. Fior fior di ricerche si sono appuntate, ad esempio, sugli esperti di scacchi. Si è descritto un equilibrio raffinato che collega l’esercizio pratico, l’esperienza di molte partite, l’osservazione e l’imitazione degli esperti, il ricordo di errori e successi, allo studio ragionato di casi esemplari, al vero e proprio apprendimento teorico di saperi indispensabili all’obiettivo. Tutto ciò consente allo scacchista d’approntare rapidamente soluzioni adeguate ai problemi complessi che si presentano via via, processo sostenuto da confronti mentali con esperienze simili che siano proprie o altrui.

Il modello della Bottega ci mette dunque a contatto con gli apprendimenti “sporchi”, informali e mondani. Così al nuovo tipo di ambiente in cui viviamo, sempre più a forma di rete anche fuori dal web, composto da oggetti e persone, in cui ci si muove senza proprio più distinguere fra vita fuori o dentro, reale o virtuale, e in cui le conoscenze sono disseminate ovunque, ricche ma non ordinate, probabilmente risponde assai meglio la metafora della bottega rispetto alla metafora della scuola. Almeno è l’ipotesi che ci guida nel ragionamento presente. Da questa prospettiva la rete per l’eLearning come Bottega non sarebbe più solo risorsa ed ambiente ma anche la forma di contenuti e relazioni; contenuti e relazioni a forma di rete, dunque.

Ogni metafora dotata di una certa appropriatezza è comunque in grado di svelare aspetti diversi, e dunque nessuna va considerata indegna di essere messa alla prova almeno teorica. L’eLearning avrebbe potuto in queste pagine essere a pari diritto raffigurato come un organismo di ricerca:

L’ipertesto rappresenta una sorta d’impalcatura attraverso cui i singoli soggetti costruiscono il loro ‘edificio della scienza’78.

A questa metafora nello specifico, seppur ugualmente calzante, si è preferita la bottega perché meno nobile, più meticcia, non scevra da contaminazioni di componenti commerciali che, se pure sono sempre considerate avulse dall’istruzione alta, ora più che mai incidono sul nostro apprendere ed andrebbero considerate e valutate, invece di proseguire nel vano tentativo di fingere la loro irrilevanza, anche solo perché si ha paura che finiscano per prevalere sugli aspetti culturali.

78 Bruschi, Barbara., Mariani, Anna M. Pedagogia virtuale. Adulti in Rete ed educazione informale. Edizioni Unicopli, Milano 2002. p. 58.

Infine non rimane che divertirsi con il gioco del nominare. I discenti potrebbero diventare degli apprendisti, i docenti potrebbero essere i mastri di bottega, il gruppo si trasformerebbe nel laboratorio artigiano, e così via. Sembra solo un gioco di etichette, eppure non si limita a questo.