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Con alcune definizioni abbiamo iniziato a circoscrivere il campo, eppure mancano ancora degli elementi di cornice. Ci rimane da capire, infatti, a che tipo di gioco fa riferimento la Gamification. Come abbiamo visto il gioco è un costrutto complesso da delimitare, difficoltoso da definire di per sé. Nelle prime righe abbiamo affermato che il termine Gamification ha come suo cuore pulsante proprio quel costrutto: il ‘gioco’. Da lì siamo partiti. Ma quale tipo di gioco? Infatti, la radice che troviamo realmente al suo centro è “Game”. In italiano la traduciamo con ‘gioco’, è vero, perché per noi si tratta di un lemma onnicomprensivo che ingloba l’esperienza intera e persino gli strumenti. Nel mondo anglofono però la situazione è differente. Viene operata una significativa distinzione fra Play e Game. È un distinguo già presente nella lingua latina: con ‘iocus’ si intendeva un momento di ricreazione spontanea, effimera e spensierata; con ‘ludus’ invece ci si riferiva alla competizione agonistica. Nella lingua inglese con Play, il corrispettivo di ‘iocus’, si intende il divertimento libero e privo di schemi rigidi. Così, con lo stesso termine, si suole indicare anche l’atto di “recitare” o di “suonare uno strumento”. Con Game invece, che è il corrispettivo di ‘ludus’, si indica un gioco organizzato. È su questo secondo campo che sorgono le regole e si instaurano le interazioni con altri giocatori.

Così ecco l’archetipo di gioco cui si fa riferimento. È precisamente il Game a costituire il fulcro della parola Gamification. Il Game, che è gioco sistematico, finalizzato e ripetibile. Il Game come il ‘ludus’ mette in campo la competizione e perciò implica degli avversari, delle norme da condividere e dei criteri per determinare i vincitori.47

Ora, quel che ci interessa sottolineare ai fini del nostro ragionamento è ciò che segue: importanti per la Gamification sono proprio gli aspetti strutturali del gioco, come regole e schemi. Sono gli elementi ripetibili, le regolarità, che rappresentano il reale valore. Nota niente affatto marginale è che alcuni studiosi con il termine Game si riferiscono esplicitamente al solo aspetto istituzionale, quindi alla forma del gioco, alla sua struttura e all’insieme delle regole e non invece all’atto del giocare. L’analogia cui si fa riferimento è la distinzione fra langue e parole, dove il primo termine rimanda alle regole linguistiche (l’equivalente del Game) e il secondo alla produzione linguistica nel discorso (l’equivalente del Play).48

Ora sappiamo perciò a che tipo di gioco fa riferimento la Gamification: rimanda alle qualità strutturali, agli elementi di regolarità, alle caratteristiche replicabili in altri contesti e non al ‘sistema gioco’ nella sua interezza, non alla sua messa in atto. Non importa il gioco intero dunque, importano gli elementi che è possibile replicare altrove senza che se ne perda il senso.

47 Roberts, J. M., Hurth, M.J., Bush, R.R. "American Anthropologist". Games in culture. 1959, 61. Pagg. 597- 605.

Su questo versante ci viene in aiuto il noto schema proposto da Deterding49 (v. fig. 4). Per

chiarire in maniera univoca il posizionamento della Gamification e situarla rispetto alle altre forme di gioco lo studioso ha incrociato le due dimensioni appena esaminate, Play e Game, con altri due parametri: ‘elementi’ e ‘sistema’. In tal modo vengono individuati quattro distinti quadranti. Dentro ciascuno si vanno a collocare le differenti forme di gioco. Vediamo i quadranti più nel dettaglio.

Figura 4: Schema di Deterding

3.1. Quadrante I: Game – Whole

Nel quadrante in cui la dimensione del ‘Game’ si incrocia con quella di ‘sistema intero’ troviamo il gioco vero e proprio. Pensiamo agli scacchi. Sono collocati qui anche i Serious Game, ossia quei giochi completi che trovano applicazione in contesti non ludici. Questo è lo spazio dei giochi strutturati e regolati (Game) in cui il gioco è presente nella sua interezza (Whole). Come esempio paradigmatico per questo quadrante si può prendere il videogioco, che ha il pregio fra gli altri di poter includere anche i Serious Game. Infatti, alcuni videogiochi originariamente pensati per contesti ludici hanno poi trovato posto in ambito educativo, come è accaduto per Assassin’s Creed che è stato utilizzato nell’insegnamento della storia.

3.2. Quadrante II: Game – Parts

In questo quadrante si colloca la Gamification. È lo spazio in cui la dimensione del ‘Game’, quindi della struttura del gioco provvisto di regole, si incontra con quella degli ‘elementi’ di gioco (Parts). Qui non si ragiona in termini di intero “sistema gioco” ma di alcune sue parti scelte, alcune qualità strutturali o regolarità come si è detto: punti, livelli, classifiche, ecc. Si

49 Deterding S., Dixon D., Khaled R., Nacke L. “From Game Design to Gamefulness: Defining Gamification”.

15th International Academic MindTrek Conference: Envisioning Future Media Environments, Tampere,

tratta dei tanto citati ‘elementi di gioco’ richiamati da gran parte delle definizioni disponibili sulla Gamification. Focalizzare l’attenzione su questo quadrante è fondamentale per capire di cosa parliamo e per fugare una serie di ambiguità e confusioni assai frequenti. Fare Gamification non vuol dire costruire un gioco vero e proprio. Significa piuttosto mettere gli strumenti del game design, la cassetta degli attrezzi del progettista di giochi, a servizio di scopi che gravitano al di fuori, nel mondo. A volte possono bastare anche solo uno o due elementi mutuati dai giochi e collocati al posto giusto per produrre dell’ottima Gamification.

3.3. Quadrante III: Playing – Whole

Nel quadrante in cui l’asse del passatempo libero (Play) si incontra con la dimensione del ‘sistema intero’ (Whole) si trova il giocattolo. Nella maggioranza dei casi, i giocattoli non hanno una rigida struttura normata ma sono strumenti che si prestano a un impiego libero e creativo. Per “baloccarsi” con una bambola non serve, in genere, il rispetto di una serie di regole prestabilite. Anzi, quanto più il giocattolo è semplice e generico, come un bastone dinoccolato raccolto per strada, tanto più viene stimolata l’inventiva.

Ecco, perciò, che in questo quadrante si trovano gli strumenti impiegati in passatempi totalizzanti ma privi di regole codificate. Anch’essi, tutt’altro che frivoli, hanno spesso delle funzioni fondamentali nel nostro apprendimento, assolvendo ad esempio a compiti pre- adattivi. È probabilmente per questo che non sono appannaggio esclusivo degli esseri umani. Si pensi, come esempio paradigmatico, al gomitolo di lana con cui gioca il gatto.

3.4. Quadrante IV: Playing – Parts

In questo quadrante la dimensione del passatempo libero (Play) incrocia l’asse degli ‘elementi’ di gioco (Parts). Qui si trova il Playful design. È un concetto che risulta particolarmente sfuggente. Consta nel prendere alcuni elementi dal gioco, afferenti all’esperienza libera e destrutturata del Play, e traslarli nell’ambito della progettazione. Si può citare come esempio generico di Playful design l’inserimento di elementi giocosi nella progettazione di interfacce per utenti.

Rispetto alla Gamification qui ci si focalizza meno sulle regole e più sugli aspetti di interazione ed esplorazione libera di un’interfaccia o di un prodotto. L’obiettivo è creare un’esperienza giocosa che abbia luogo interagendo con le “cose” del quotidiano. A volte consta semplicemente nell’aggiunta di qualche elemento eccentrico e spiritoso così che per l’utente l’interazione risulti gradevole e meno passiva. Nelle espressioni migliori è chiamata in causa anche la dimensione estetica dell’esperienza.

Questa opera classificatoria risulta di indubbio valore. Serve a mettere a fuoco alcuni concetti centrali che altrimenti, non sistematizzati, correrebbero il rischio di sfuggire o di rimanere sfocati fra zone d’ombra e ambiguità. Occorre ricordare però, e tanto più in questo ambito, che tagliare con l’accetta è spesso opera vana. I confini fra le diverse forme di gioco

a volte risultano indistinti e comunque sono in movimento perpetuo, le sovrapposizioni sono inevitabili e il giudizio rimane nell’alveo della soggettività. Così il compito di portare ordine è quanto meno problematico, seppur necessario. Distinguere fra Serious Game e Gamification è imprescindibile ma a volte, nella pratica, appare cavilloso: difficile riuscire a distinguere fra un gioco completo e alcuni elementi ludici configurati in modo che creino un’esperienza simile al gioco. E la simulazione? Dove va incasellata?

Alcune volte è semplice, la differenza si nota a occhio nudo. Altre volte si fa fatica e le distinzioni sono impercettibili. Talvolta è forse solo l’intenzione di chi progetta a fungere da vero discrimine. Lo stesso dicasi per i distinguo che intercorrono fra Playful Design e Gamification. In sintesi, è indispensabile individuare le differenze e definire i concetti di riferimento, poi però c’è da mettere in conto che qualcosa sfugge alla categorizzazione e che risultano inevitabili alcune sovrapposizioni in un panorama tanto ricco e complesso.