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Non abbiamo ancora avuto il tempo per stabilire se la Gamification è un modello valido e incisivo che qualcuno già propone un avanzamento al livello successivo: la Gamification 3.0.

Si tratta di una visione proposta nel white paper di Anitha Rao Gadiyar di Cognizant59, in

cui viene teorizzata la necessità di un cambio di paradigma per la metodologia in questione. Se dovessimo riassumere l’essenza di tale prospettiva in una sola parola diremmo senz’altro “personalizzazione”, portata alle estreme conseguenze. Il titolo del contributo suona infatti: “The Power of Personalization”. La direzione prefigurata va verso un tipo di progettazione

59 Pubblicato nel 2014 su SlideShare al seguente indirizzo web:

http://www.slideshare.net/cognizant/gamification-30-the-power-of-personalization (ultima visita il 05/02/2017).

che coniuga l’analisi dei big data con i modelli di psicologia del comportamento per creare esperienze su misura per l’utente.

Nel documento la posizione è netta: la Gamification al momento è poco sofisticata e spesso i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Il coinvolgimento, che dovrebbe essere il fulcro di tutto l’impianto, non si ottiene o si esaurisce insieme all’effetto novità. Per gli autori la causa va rintracciata nella scarsa personalizzazione delle attuali esperienze di Gamification.

Ma 3.0 rispetto a cosa? Quali sono i modelli obsoleti da superare?

• Al primo stadio di evoluzione troviamo i progetti “tradizionali” di Gamification. All’interno di queste esperienze gli utenti vengono ingaggiati esclusivamente mediante semplici sistemi di classifiche, livelli e ricompense finali. Non si tiene conto delle specificità dei progetti particolari, quindi si applica una metodologia pressoché standardizzata. Ciò porta ad iniziative fallimentari o di breve durata. • La seconda fase, definita di Gamification 2.0, corrisponderebbe allo stadio evolutivo

attuale. Si inizia ad assistere a dei primi esperimenti di personalizzazione, prodotti in base ad un’analisi più approfondita del percorso degli utenti. Si tratta però di esperimenti ancora molto timidi basati su analisi poco sofisticate.

• Infine c’è lo stadio evolutivo della Gamification 3.0. Si tratta di un approccio che punta a una più alta personalizzazione e perciò a una maggiore efficacia. Si basa, come si è detto, su due pilastri fondanti: i big data e gli studi di psicologia del comportamento. È un modello che punta a creare un’esperienza che risulti rilevante per il vissuto delle persone coinvolte. Con ciò, conseguendo l’ulteriore obiettivo di non far esaurire l’azione voluta nel breve periodo ma anzi di farla durare a lungo. Secondo questa visione, che fa capo alla società di servizi e consulenza internazionale Cognizant, la struttura di un progetto di Gamification 3.0 si compone di quattro livelli strettamente integrati tra loro.

I livelli o strati sono:

Activity tracking

(Tracciamento delle attività)

Questo livello è posto alla base dell’intero progetto e ne è il fondamento. Occorre monitorare e registrare tutte le attività dell’utente. Ogni azione o decisione va rilevata e opportunamente archiviata, così da poter disporre di dati concreti su cui lavorare.

Personality types

(Tipologie di personalità)

All’interno di una prospettiva che punta alla massima personalizzazione questo livello ha ovviamente un ruolo cruciale. Esistono vari modi per classificare i partecipanti in funzione

della loro personalità. Ne abbiamo visto uno per profilare i giocatori, il test di Bartle. Ma ve ne sono in gran numero, più o meno accreditati. I principali elementi da tenere in considerazione sono: il comportamento tenuto all’interno dell’ambiente gamificato, i tratti psicologici, le leve motivazionali e i risultati raggiunti.

Big data analytics

(Analisi dei Big Data)

Se l’obiettivo è indurre un cambiamento importante e profondo nel comportamento delle persone, più informazioni si posseggono e più si ha modo di attuare un impianto perfettamente centrato. Ecco perché diventa fondamentale raccogliere quanti più dati possibile. Tutti i dati possibili.

Behavioral framework

(Modelli comportamentali)

Infine c’è il livello della personalizzazione vera e propria, in cui ci si preoccupa di cucire l’esperienza a misura di ciascun partecipante. Per far ciò si devono comprendere le emozioni, le motivazioni e la mentalità degli individui. Il che consente anche di identificare subito le cause di alcuni fenomeni (come ad esempio l’inefficacia di una comunicazione), permettendo un intervento rapido e specifico.

Dall’integrazione di questi quattro livelli emerge la versione più evoluta dell’attuale Gamification, o almeno il modello si propone di esserlo. La Gamification 3.0 punta quindi alla costruzione di una esperienza significativa per i soggetti, sia mediante la raccolta di dati specifici su comportamento, atteggiamento, pensieri ed emozioni; sia attraverso l’utilizzo di modelli comportamentali derivati da studi psicologici e neuroscientifici.

Una sfida di non poco conto è rappresentata però dalla sostenibilità di tale impianto. Proporsi di progettare esperienze significative per tutti i partecipanti, anche se caratterizzati da profili psicologici differenti, rischia di accrescere a dismisura l’impegno e i costi richiesti da simili iniziative.

Personalizzazione e contestualizzazione, elevate alla massima potenza, sono le direttrici che vengono prospettate per i futuri orizzonti della Gamification. Non sappiamo se la proposta sia realistica e sotto determinati risvolti non sappiamo neppure se sia del tutto auspicabile. La raccolta di grandi quantità di dati sensibili non manca mai di suscitare perplessità e dilemmi. Una notazione interessante per l’ambito formativo è che si rintracciano dei collegamenti evidenti con quel modello didattico che da tempo auspica e invoca l’individualizzazione degli apprendimenti.

Non è dato sapere se il nuovo modello indichi la direzione che verrà realmente seguita. Quel che è certo è che dalla proposta di Gamification 3.0 emerge un’insoddisfazione diffusa per come si interpreta e declina concretamente la metodologia allo stato attuale. Vari dissidenti si uniscono al coro. Persino una delle guru più osannate del settore, Jane McGonigal, pur

sposando a pieno i concetti della Gamification si è distaccata da un certo modo di concepirla optando non a caso per il termine Gameful Design.