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10. La trasformazione dei ruoli

10.2. Ruolo del docente: la valutazione

La valutazione è uno di quegli argomenti che non è possibile risolvere e accantonare. Né è bene ritenersi paghi degli ultimi metodi specie quando rigidamente codificati, se non ci si vuole assumere il rischio di semplificare all’eccesso un’attività organicamente complessa. Questo non significa, banalmente, che non ci si possa far orientare nell’attività valutativa da alcune linee guida, ben salde. Dal dibattito in perenne fermento su quella che è una delle funzioni più delicate dell’attività didattica sono emerse riflessioni di alto profilo e metodologie di indubbio valore. Non viene disconosciuto perciò l’innegabile vantaggio che deriva dall’adozione di criteri valutativi appropriati ma ciò significa commisurarli alle scelte didattiche di volta in volta compiute; dunque occorre affidarsi non a parametri standard, buoni per ogni occasione, ma semmai ad una scelta flessibile fra gli strumenti disponibili. La valutazione dovrebbe essere ogni volta come un vero e proprio percorso di ricerca, seppure sostenuto da teorie forti e metodologie ben validate. I risultati di una ricerca non sono arbitrari ma non discendono neppure dalla semplice applicazione di un set di regole date, non trascurano le molteplici e complesse e confuse e ambigue e aggrovigliate relazioni che le variabili in gioco intrattengono fra loro. Persino per chi si sofferma solo sul versante

80 Martini, Ornella. “Essere studente on line”, in Maragliano Roberto (a cura di), Pedagogie dell'e-learning. Editori Laterza, Roma - Bari 2004. pp. 167-168

più in luce della valutazione, ossia la sua applicazione a soggetti singoli, è difficile espungere le problematicità e sbrogliare la matassa.

“All’inizio della mia carriera di professore, davo i voti ai compiti scritti degli studenti

seguendo un metodo convenzionale. Prendevo un fascicolo alla volta e leggevo tutte le risposte al test di quello studente in immediata successione, dando i voti mano a mano che procedevo; poi calcolavo il totale e passavo allo studente successivo. Alla fine notai che le mie valutazioni delle risposte scritte di ciascun fascicolo erano straordinariamente omogenee. Cominciai a sospettare che il mio criterio di assegnazione del voto risentisse dell’effetto alone e che la prima domanda alla quale assegnavo un voto avesse un effetto sproporzionato sul voto complessivo. […]

Lasciandomi fortemente influenzare dalla prima domanda nella correzione di quelle successive, mi risparmiavo di scoprire un’incongruenza, ovvero che lo stesso studente dava risposte eccellenti in un tipo di questionario e cattive in un altro. L’imbarazzante incoerenza che il mio passaggio alla nuova procedura aveva rilevato era reale: rispecchiava il fatto che le singole domande erano inadeguate a misurare le conoscenze dello studente e che il mio stesso metodo di assegnazione del voto era inaffidabile.”81

Così è impensabile ridurre l’attività valutativa all’applicazione di regole e strumenti oggettivi, sempre validi ed affidabili, astraendo dai casi, dalle situazioni e dai contesti specifici. L’affidabilità e la validità non di rado sono ottenute restringendo il campo delle verifiche per appuntarsi su aspetti fin troppo specifici, con il rischio di perdere a volte gran parte dell’orizzonte. Allargare lo sguardo, d’altra parte, può rendere scivoloso il terreno e far sprofondare in una soggettività estrema, troppo vaga e nebulosa per potersi porre a mo’ di base condivisibile. Se si considera il mai risolto groviglio di soggettività ed oggettività nella valutazione, alla perenne ricerca di un’armonia non precaria fra le due esigenze, occorre ammettere che l’eLearning fornisce in tal senso un eccellente sostegno. Perché ogni movimento ed ogni intervento dell’utente sulla piattaforma viene accuratamente registrato e ricordato, c’è inoltre una proliferazione straordinaria di strumenti appositamente predisposti per la creazione di test, questionari, quiz che risultano provvisti di domande a scelta singola, multipla, aperta e di misti a piacere, assoggettabili ai più minuziosi desideri. Dall’altro lato gli interventi, le interazioni, i materiali e le opere che si situano all’interno della piattaforma rimangono lì a testimoniare non solo della quantità di tempo o di gesti spesi ma della qualità del lavoro svolto da ogni partecipante. Non si naviga certo in un regime di scarsità di informazioni, anzi a volte il problema risulta opposto: fra la congerie di registrazioni minuziose il difficile è scovare le più significative e comporle in un quadro unitario. Si può forse dire che ogni problema valutativo evapora a contatto con la memoria prodigiosa della piattaforma? Ovviamente no, affatto. Però, una nuova tecnologia aiuta a mettere a fuoco ciò che rischiava di rimanere in ombra perché parte integrante della prassi inveterata. E purtroppo è assai semplice affidarsi ad una metodologia o ad una tecnologia senza la profonda consapevolezza degli elementi in gioco; si finisce per non interrogarsi, piuttosto continuando a fare così perché sempre si è fatto così. Ignorare gli aspetti pienamente didattici

che sono radicati a fondo nelle specifiche metodologie e tecnologie significa delegarli ad esse, abdicando dal proprio ruolo. Valutare significa necessariamente scegliere e dunque è non solo un atto discrezionale e contestuale ma risulta sempre espressione di una politica; il procedimento di selezione dei criteri rimane troppe volte implicito e spesso persino inconsapevole. Perciò una frase comune e pienamente comprensibile, quale: “Non ho superato il test” se ben analizzata potrebbe perdere gran parte della sua limpidezza. In che contesto ha valore? Nello specifico contesto poi cosa significa valutare? Che scopi si propone la valutazione e, di conseguenza, quali criteri assume? Riusciamo a comprendere la frase perché diamo per assodati un contesto ordinario ed una politica sottintesa che, ad esempio, sancisce le differenze in base al merito individuale. La meritocrazia merita un discorso a parte ma si può provare a cambiare prospettiva per un momento. Mettiamo che l’istituzione formativa si ponesse un obiettivo interamente diverso da quello consueto, che volesse far acquisire a ogni discente un livello sufficiente di competenza in determinati ambiti, ritenuti basilari; di perseguire il proposito per ciascun discente, nessuno escluso, senza distinzione di livello culturale o di doti innate. Ipotizziamo anche che fosse noto come misurare queste competenze. Il test non superato, allora, non rivestirebbe un significato ben diverso? Sancirebbe non più un risultato negativo per il singolo, quanto piuttosto per l’istituzione nel suo complesso perché incapace di raggiungere l’obiettivo prefissato. In questo contesto la stessa “bocciatura” perderebbe di significato; si starebbe infatti bocciando l’impianto stesso.

Dunque la valutazione porta con sé un progetto, dei criteri, delle scelte e solo in base a ciò acquista un senso e può avvalersi di alcune metodologie oppure di altre. Cambiare metafora significa perciò irrimediabilmente modificare le politiche ed il senso stesso della valutazione. Parole che acquistano limpidezza se si pensa, per l’eLearning, al passaggio dalla scuola alla bottega. Prima di tutto l’apprendista non è più un allievo da allevamento, si accolla più responsabilità e dunque assume su di sé anche parziali ruoli di valutatore. La sua centralità insomma fa sì che gli arrivino nelle mani degli strumenti valutativi, così è a lui che spesso si chiede di giudicare l’efficacia autopercepita del corso, quanto egli stimi l’intero itinerario gratificante o utile per la propria esperienza di vita. Non è facile disporsi a valutare questo tipo di studente come si faceva con l’altro. Si ricorre più spesso all’autovalutazione o a delle forme meno passivizzanti di assegnazione dei giudizi. A complicare la faccenda ci si mette anche il non irrilevante fattore che questo studente non è più da solo, individualmente posto di fronte a dei contenuti da assorbire; è invece un soggetto collettivo impegnato nella costruzione di contenuti. Valutare una esecuzione collettiva con l’idea di dover assegnare dei valori individuali è comprensibilmente assai delicato. Specie nei casi in cui il docente si ponga come un vero artigiano, ponendo egli stesso mano all’opera. A conti fatti risolvere tali questioni non è poi impraticabile. Si può generalmente disporre di diversi dati sui singoli contributi prestati all’opera comune e, soprattutto, si possiede un tale numero di elementi di giudizio da non far ritenere un gran danno la perdita di qualche traccia. Nonostante le molteplici vie alternative, agevolmente percorribili, la rimessa in discussione dei principi stessi della valutazione dovrebbe porsi come un obiettivo irrinunciabile. Fosse anche solo perché abbiamo scarsi strumenti e limitate conoscenze riguardo alla valutazione

di opere e progetti collettivi. Nell’abituale didattica non è praticato l’uso di giudizi aggregati neanche per i lavori di gruppo. Così come, nell’online, la stessa valutazione del corso in quanto processo collegiale è spesso assai scivolosa. Non è inusuale assistere ad articolate dichiarazioni di principio sulla necessità di apprezzare l’andamento del corso nel suo complesso e la portata dei suoi esiti finali, eppure a conti fatti sembrano del tutto assenti le capacità per effettuare simili bilanci. Così quell’impressionismo che si cerca a tutti i costi di espungere dalle valutazioni individuali, con metodi strumenti e marchingegni oggettivi, per quel che concerne la valutazione complessiva del corso pare venir ammesso senza che si sollevi alcun clamore. È vero che la valutazione dei processi collaborativi si presenta come una strada irta di difficoltà, specie permanendo in un’ottica analitica.

Si tende ad isolare il lavoro di ciascun individuo per emettere dei giudizi singoli, pur sapendo che l’opera complessiva non nasce dalla giustapposizione di singoli elementi e che dunque è un qualcosa che oltrepassa le parti isolatamente considerate, e sapendo altrettanto bene che ciò vale anche per gli individui che si trovano a cooperare: le relazioni possono produrre contributi individuali che non sarebbero stati possibili per gli stessi individui singolarmente presi.

Spostare lo sguardo sulla metafora della bottega dunque significherebbe ripensare i criteri della valutazione, come il suo stesso significato, per puntarla in direzione di una maggiore presa in carico di responsabilità da parte dei partecipanti e verso considerazioni più centrate sull’esplorazione dei gruppi e delle opere collaborative. Non è una via agevole da seguire. Eppure da questa ricerca sulla valutazione potrebbero scaturire nuovi modi per ripensare la didattica stessa, e non solo la didattica online. Per fare un esempio di come la valutazione online già oggi utilmente consenta di riconsiderare la pratica fuori rete ci si può riferire alla cosiddetta valutazione in itinere. Si tratta di quelle azioni di accertamento che vengono effettuate durante il percorso. La valutazione in itinere è un elemento sistemico della valutazione online. Il flusso continuo di elementi valutativi che investono la piattaforma, infatti, consentono un monitoraggio costante del processo, evitando di doversi limitare a prendere atto della situazione finale. La qual cosa accade invece sistematicamente fuori rete in cui da ultimo ci si trova ad avere sempre un ridotto spazio di manovra per effettuare correzioni di rotta. Nell’eLearning invece uno sguardo attento alla traiettoria mette in grado di correggere il tiro non solo per quel che riguarda il singolo soggetto ma gli stessi gruppi, ivi compreso lo staff, e di riorientare il corso nel suo complesso.