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1. Il ludico nel digitale

1.2. La natura ludica del computer

Risulta evidente il senso di reciproca interdipendenza fra videogame e computer se si guarda alla storia di questi due media.

Il videogioco vide la luce, o per meglio dire si animò, nei Laboratori di ricerca americani; innocuo passatempo o attrazione per visitatori annoiati, fu pienamente partorito dalle logiche e dentro le logiche del computer digitale. Eppure rese ampiamente il favore (per usare un’espressione antropomorfica) perché agevolò non poco l’ingresso nel mercato di massa del computer, nella sua forma ‘personal’; inoltre fornì un energico contributo nel renderci familiare quell’oggetto allora misterioso che oggi ci accompagna nella vita professionale e appunto personale.

È noto infatti che il videogioco riuscì prima e più facilmente del computer a introdursi nelle case. Poi fecero il loro ingresso per mano dei bambini quegli apparecchi ibridi come il Commodore 64 e l’Amiga, primi ‘home computer’ che potrebbero a buon diritto considerarsi anche come i primi antesignani delle consolle di oggi, strumenti che dai figli venivano propagandati ai genitori come “palestre per apprendere il linguaggio di programmazione del futuro” ma che erano a tutti gli effetti delle macchine per giocare. Annidati in quella che gli adulti credevano, o speravano, fosse un’occupazione seria e scrittoria, i videogiochi serbavano per il proprio pubblico l’irresistibile attrazione del passatempo disinteressato. Eppure, in un certo qual modo, hanno autenticamente funzionato da palestra. La generazione

del joystick si è familiarizzata alla logica del computer a colpi di click, mentre ripuliva lo

spazio da astronavi aliene o abbatteva muri di mattoni.

Non è quindi un caso se le prime applicazioni note, quelle che con più efficacia conferirono un’immagine appetibile ai computer domestici, furono sempre loro, i videogiochi. Fecero da apripista, spianando la strada all’ingresso del pc. Di quello strumento di cui oggi conosciamo numerose altre applicazioni, gran parte delle quali hanno scopi dichiarati di esemplare serietà: servono per la videoscrittura, per adoperare fogli di calcolo, per approntare presentazioni; strumenti che vengono quotidianamente utilizzati per lavorare e vanno perlopiù sotto l’etichetta “Office”. Se ci soffermassimo troppo a lungo sui nomi rischieremmo di lasciarci sfuggire l’essenza di ciò che facciamo quotidianamente, potremmo cioè commettere l’errore di ritenere che il lavoro al computer non abbia nulla a che spartire con il gioco. Poco importa, invece, se qualcuno non abbia mai fatto girare un videogame nel proprio elaboratore poiché il gioco è intimamente legato alla logica del personal computer, fa parte della sua natura più profonda.

Una prima indicazione, un segnale esteriore di una dinamica che è invece intrinseca, viene dal set di giochi che sin dall’inizio si è accompagnata al sistema operativo Windows. Dal gusto sobrio e dalla cifra essenziale, non si è mai trattato di giochi rivolti a un pubblico infantile. Solitari di carte, simulazioni di flipper e campi minati, divertimenti per adulti il cui successo ha favorito la proliferazione di un’ampia gamma di questi piccoli giochi prima distribuiti su Internet, poi attraverso le app. Ma questo indicatore potrebbe essere fuorviante

se conducesse a pensare che esistono nel computer degli spazi riservati che sono dedicati al gioco, mentre il resto è dedicato alle attività “serie”. Il gioco è insito nella natura stessa dello strumento digitale, è una sua caratteristica specifica e per questo risulta semplicemente pervasivo. Stiamo parlando di questo in sintesi: non del ludico nel digitale ma del ludico del digitale. Il computer così come gli altri strumenti digitali hanno una natura essenzialmente ludica.

Così, perfino le attività di videoscrittura che dovevano solo ampliare il raggio d’azione della macchina da scrivere e che hanno invece trasformato l’atto stesso dello scrivere, nel mondo digitale sono al contempo degli esercizi ludici. Possiamo colorare le parole, metterle in movimento, farle diventare arte (non a caso uno degli strumenti si chiama Word Art), inserire foto personali o clip art, ecc. Tutto ciò, a dispetto del nome serioso che porta il pacchetto di applicativi (Office) in cui è compreso uno dei più noti programmi di videoscrittura. O forse è semplicemente un nuovo tipo di ufficio in cui siamo stati proiettati senza preavviso, un ufficio in cui gioco e lavoro sono con-fusi, non presentano più confini nettamente distinti e distinguibili. Oggi si passa infatti fluidamente dallo spazio del lavoro a quello del gioco e viceversa, senza soluzione di continuità. L’e-mail ci coinvolge nel gioco di apertura di pacchetti a sorpresa, immergendoci in uno spazio aperto alle contaminazioni (e ai trojan), così è inevitabile ricevere la posta personale al lavoro, e viceversa, di scaricare mail di lavoro dal computer di casa. La dicotomia gioco/lavoro che aveva governato le nostre pratiche di vita fino a questo momento, la separazione fra “ozio” e “negozio”, è definitivamente entrata in crisi.

Abbiamo riportato solo alcuni esempi, segnali di un processo non sempre evidente ma anzi profondo e per gran parte sotterraneo, che tocca l’essenza stessa dei mondi simulati dentro l’universo digitale. La nostra scrivania digitale, quel desktop che fa bella mostra di fogli ben allineati, non sfugge alle logiche che stiamo delineando.

“A ben vedere, l’ambiente di lavoro di una interfaccia grafica è già un esempio di

ciberspazio: uno spazio virtuale all’interno del quale l’utente può ‘muoversi’ – attraverso il puntatore del mouse – e agire. Uno spazio popolato da ‘oggetti’ informatici (documenti e programmi) rappresentati da icone che hanno lo scopo di ricordarne, mnemonicamente, le caratteristiche.”39

E dentro questo spazio, inevitabilmente, veniamo coinvolti. Sperimentiamo piaceri sensoriali, ci muoviamo con leggerezza, ricerchiamo la gradevolezza dell’interfaccia oltre all’usabilità. Operiamo scelte dalla cifra personale. Videogiochiamo. Non bisogna infatti dimenticare che il videogioco, a dispetto del nome, è in primo luogo un piacere tattile, un reagire a stimolazioni sì visive ma attraverso i polpastrelli e la manipolazione. Così digitare

39 Ciotti, F., Roncaglia, G. Il mondo digitale, introduzione ai nuovi media. Editori Laterza, Roma-Bari 2000.
 Pag. 188

sulla tastiera, cliccare sul mouse o direttamente sullo schermo touch, manovrare il joystick sono tutte operazioni che utilizzano il senso del tatto.

“Guardare, giocare. Giocare con lo sguardo e scoprire, forse, che il guardare non basta

più. Che guardando viene anche voglia di toccare, di interagire.”40

Ma perché esiste questa stretta simbiosi fra ludico e digitale, fra computer e gioco, fra entrare in Rete e abitare il ciberspazio?

“Tutti i linguaggi e i media digitali e interattivi nascono e derivano dai videogiochi, che

sono il primo e tuttora fondamentale linguaggio della simulazione in tempo reale. Insomma in principio fu Pong [...], che in pochi byte e pochi pixel aveva già dentro tutti i meccanismi interattivi e le dotazioni simulanti necessarie per lo sviluppo successivo dei new media.”41

Quel che importa poi non è tanto stabilire il punto esatto d’origine, se sia nato prima l’uovo o la gallina, quanto tener presente che tutti i media digitali si trovano a condividere un linguaggio comune. Le qualità principali di tale linguaggio sono oramai ampiamente evidenziate dall’uso ricorsivo per riferirvisi a termini quali: interazione, coinvolgimento, esplorazione, collaborazione, ecc42. Si tratta del linguaggio che ha la cadenza dello slang

parlato dal videogioco proprio perché quest’ultimo è il mezzo che più e prima degli altri ha potuto saggiare, portare all’estremo della sperimentazione, le proprie caratteristiche. Ha rappresentato così un modello cui rifarsi e da cui attingere, rivelando, e in alcuni casi determinando alcuni degli elementi distintivi del linguaggio digitale.

Il videogame ha rappresentato e rappresenta ancora oggi, con le sue forme molteplici e ibride come le app, un laboratorio, una avanguardia posta in posizione strategica per prefigurare gli scenari possibili. Al suo interno è stato possibile sperimentare in libertà, sia per le caratteristiche del suo primo pubblico di riferimento che per la disponibilità di risorse economiche, potendo contare poi su un mercato vivace. Questo spazio aperto all’esplorazione ha assistito a ogni genere di prove, dalle ricerche che hanno riguardato l’intelligenza artificiale, alla simulazione dei più disparati fenomeni (caso esemplare è costituito dal campo militare: dal volo alle guerre).

Ma si è trattato essenzialmente del vero banco di prova del linguaggio digitale e con tutta probabilità ha giovato al suo debutto il fatto che si sia svolto su un palcoscenico parzialmente in ombra, ossia che il videogioco sia stato inizialmente sottovalutato e relegato fra il novero delle cose per ragazzi. Ha trovato infatti ad accoglierlo un pubblico più aperto e ricettivo, non solo una platea di spettatori ma degli attori competenti che parlavano lo stesso

40 D’Alessandro, A. (a cura di). Play, il mondo dei videogiochi. Palazzo delle Esposizioni, Roma 2002. Pag. 0.126

41 Carlà, F. Simulmondo. Vivere Internet. La rivoluzione simulata: dai videogiochi alla finanza democratica. Apogeo, Milano 2001. Pag. 79

42 Francesco Carlà a questo linguaggio, comune a tutti i media digitali, attribuisce le quattro seguenti caratteristiche già presenti nei primissimi videogiochi: la ludicità, l’interazione tramite oggetti visuali, l’obiettivo e il tempo reale.

linguaggio, i migliori giudici possibili del fenomeno ma anche dei piloti in grado di prevederne gli andamenti e anticiparne le traiettorie.