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Nel linguaggio comune (ma anche in quello giuridico) si riscontra spesso una confusione tra la fattispecie del demansionamento e quella del mobbing302. La fattispecie del mobbing non è prevista espressamente in alcuna disposizione di legge del nostro ordinamento ma è stata ricavata in via interpretativa dalla giurisprudenza dall’art. 2087 c.c. che prevede un ampio obbligo di protezione

300 La sentenza si inserisce nel solco di quell’orientamento che nel richiedere un

comportamento attivo al datore nel domandare il consenso del lavoratore al demansionamento, determinava l’estensione dell’obbligo di repêchage alle mansioni inferiori: per cui “viola

l’obbligo di repêchage il datore di lavoro che manca di attivarsi nella ricerca di mansioni, anche inferiori, cui adibire il lavoratore, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo”.

301E.GRAMANO, op. cit., p. 1342. La prima decisione sembra di fatto muoversi in

questa direzione: anche se sicuramente occorrerà attendere ulteriori pronunce per capire quale sia la via “scelta” dai giudici.

Tuttavia una siffatta interpretazione dell’art. 2103 c.c. potrebbe rendere il licenziamento pressoché impossibile: G.GAUDIO, Il repêchage tra riforma Fornero e Jobs Act, in Arg. dir.

lav., 2016, 4- 5, p. 904. Soprattutto se la giurisprudenza riterrà di estendere l’obbligo di repêchage a tutte le mansioni, a prescindere dalla professionalità posseduta dal lavoratore che

lo renda idoneo allo svolgimento delle nuove mansioni. (Abbiamo già visto come la dottrina abbia criticato una simile impostazione in relazione alle mansioni collocate nell’ambito del “medesimo livello di inquadramento”: v. Cap. 2, par. 2.8. C. PISANI ritiene che quanto osservato a proposito della mobilità orizzontale valga anche per le modifiche in pejus: “se fosse necessario impartire la formazione al lavoratore il cui posto è stato soppresso, egualmente tali mansioni non potrebbero rientrare nell’ambito del repêchage al fine della legittimità del licenziamento”: C.PISANI, op. cit., p. 542.

302 C.PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino,

a carico del datore di lavoro, il quale deve adottare nell’esercizio dell’impresa le misure necessarie a tutelare non solo l’integrità fisica ma anche la personalità morale del prestatore di lavoro303.

Così i giudici, sulla base di quanto stabilito dalla psicologia del lavoro304 hanno definito il mobbing un fenomeno complesso “consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”.

In particolare, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere molteplici elementi305: a) una serie di comportamenti di carattere

persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente; b) posti in essere contro il dipendente in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo; c) con intento vessatorio e/o persecutorio; d) l’evento lesivo della salute psico-fisica o della personalità morale del dipendente; e) il nesso tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima; f) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio, o comunque della volontà del datore di lavoro di intimorire psicologicamente il dipendente al fine di una sua emarginazione306.

Sicuramente il demansionamento potrebbe rientrare tra le varie condotte vessatorie poste in essere dal datore di lavoro, ma abbiamo appena visto come il mobbing non possa esaurirsi solo in esso: anche perché in tal caso saremmo

303 Art. 2087 c.c.: - Tutela delle condizioni di lavoro– “L’imprenditore è tenuto ad

adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

304 Il riferimento è in particolare a H. EGE, La valutazione peritale del Danno da

Mobbing, Giuffré, Milano, 2002, il quale ha definito il mobbing come“una situazione

lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare nella vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisica permanente”.

305 Che devono sussistere tutti affinché sia integrata la fattispecie.

306 Cass. Sez. Lav. 25 settembre 2014, n. 20230; Cass. Sez. Lav., 14 maggio 2014, n.

10424; Cass. Sez. Lav.,10 gennaio 2012, n. 87; Cass. Sez. Lav., 31 maggio 2011, n. 12048; Cass. Sez. Lav., 9 settembre 2008, n. 22858 consultabili su www.iusexplorer.it.

di fronte alla diversa fattispecie, costituita appunto dalla violazione dell’art. 2103 c.c.

Ove ne ricorrano i presupposti, però, il lavoratore può scegliere di far valere entrambe le fattispecie e di proporre quindi in giudizio entrambe le domande, chiedendo l’accertamento del demansionamento sia come causa petendi autonoma sia come uno dei vari fatti costituitivi del mobbing, “anche se, in tale ipotesi, potrebbe sorgere il problema di un’eventuale duplicazione del risarcimento del danno derivante dalla medesima condotta del datore per la parte relativa al demansionamento”307.

Tuttavia, è necessario sottolineare che si tratta comunque di due domande autonome e distinte per cui non sarà possibile per il lavoratore far valere solo il mobbing quale fattispecie più ampia, per poi poterne ricavare implicitamente anche il demansionamento qualora la domanda relativa al mobbing si rivelasse infondata. Infatti anche ove siano stati tempestivamente allegati i fatti relativi al demansionamento ed inseriti nella più ampia vicenda del mobbing, ma non si è prospettata, né chiesta la violazione dell’art. 2103 c.c., scatterebbe la decadenza ai sensi dell’art. 414, nn. 3 e 4 c.p.c. Il principio della domanda implica che la nuova domanda non tempestivamente dedotta nel ricorso ex art. 414 c.p.c. è inammissibile, anche in appello, non solo qualora introduca elementi modificativi del diritto originariamente azionato ma anche quando i fatti risultino già esposti nell’atto introduttivo al mero scopo di descrivere e inquadrare altre circostanze e soltanto successivamente (o in appello) siano stati dedotti a sostegno di una nuova pretesa308.

307 C.PISANI, op. cit., p. 97.

CAPITOLO QUARTO

L’ADIBIZIONE A MANSIONI SUPERIORI

SOMMARIO

: 4.1 La sostanziale continuità con la disciplina previgente– 4.2 La promozione automatica – 4.2.1 Il periodo di svolgimento delle mansioni superiori - 4.2.2 La sostituzione di altro lavoratore “in servizio” – 4.2.3 La volontà contraria del lavoratore – 4.3 Il trattamento economico - 4.4 La qualifica convenzionale.

4.1 La sostanziale continuità con la disciplina previgente

Il “vecchio” testo dell’art. 2103 c.c. disciplinava la mobilità verticale nel primo comma, insieme alla mobilità orizzontale: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi”.

Secondo una lettura consolidata, la disposizione disciplinava309 due distinte fattispecie di “mobilità verticale”: l’una (generale) di promozione definitiva del lavoratore, in caso di adibizione non provvisoria a mansioni corrispondenti alla qualifica superiore (comma 1, primo periodo); l’altra (specifica) di promozione c.d. automatica, in caso di assegnazione temporanea a mansioni superiori (comma 1, secondo periodo).

In particolare, rientrano nella prima ipotesi tutti i tipi di promozione definitiva, indipendentemente dalle modalità mediante le quali essa può essere stata conseguita: vi rientrano quindi sia le modifiche in melius delle mansioni espressamente previste dalle parti come immediatamente definitive ma anche le ipotesi di progressioni programmate di carriera (cc.dd. automatismi di carriera), disciplinate dai contratti collettivi, dove il passaggio alla qualifica superiore si perfeziona al realizzarsi di determinati presupposti oggettivi come il decorso di un determinato periodo di permanenza nel livello inferiore, anche a prescindere da un mutamento effettivo delle mansioni svolte310.

Quanto alla seconda ipotesi, invece, si fa riferimento ad un’assegnazione a mansioni superiori intesa in partenza come provvisoria, ma che dopo un certo periodo di tempo e in presenza di certe condizioni può diventare definitiva (v. infra).

Anche per l’assegnazione a mansioni superiori, come per la mobilità orizzontale311, si era posta la questione della fonte della modifica: così un primo orientamento, sulla base di un’interpretazione restrittiva dei poteri dell’imprenditore, riteneva che anche il mutamento di mansioni verso l’alto dovesse essere accettato dal lavoratore (si richiedeva quindi il consenso); alla stessa conclusione giungeva, però, anche chi muoveva dall’opposta tesi dell’esistenza di uno jus variandi orizzontale, ritenendo meritevole di tutela l’eventuale interesse del lavoratore al rifiuto della promozione (ad es., per evitare maggiori responsabilità, maggiori impegni).

Un secondo orientamento (maggioritario) invece, riconosceva la sussistenza di un potere unilaterale del datore di assegnazione a mansioni superiori (c.d. jus variandi verticale), seppur con qualche correttivo al fine di tutelare l’eventuale interesse del lavoratore contrario all’acquisizione della promozione definitiva312.

310C.PISANI, L’oggetto ed il luogo della prestazione, in A.VALLEBONA (a cura di),

I contratti di lavoro, Torino, 2009, tomo I, pp. 491-492.

Per una disamina del tema relativo alla c.d. qualifica convenzionale si veda il par. 4.4. 311 V. Cap. I, par. 1.5.

312 I principali correttivi erano stati individuati prima nell’ “equivalenza professionale”

Nel corso degli anni si era poi affermato un filone intermedio che distingueva tra le diverse tipologie di promozione: si riconosceva così la sussistenza del potere unilaterale del datore nei casi di spostamenti a mansioni superiori aventi carattere temporaneo (quindi anche nei casi di assegnazione temporanea “prolungata” di compiti di livello superiore); mentre si richiedeva il consenso del lavoratore nel caso di assegnazione definitiva a mansioni superiori313. Era questa tra l’altro l’interpretazione che si era affermata in giurisprudenza314,

anche se la stessa aveva avuto poche occasioni di occuparsi della fonte della mobilità verticale; e ciò anche perché l’adibizione a mansioni superiori, accompagnata da una maggiore retribuzione, corrisponde generalmente ad un interesse del lavoratore315.

La contrattazione collettiva, invece, in un’ottica di protezione dell’interesse del lavoratore allo sviluppo di carriera, non richiedeva il consenso per lo spostamento a mansioni superiori.

L’art. 3 del d. lgs. n. 81/2015 ha sostanzialmente confermato la disciplina previgente della c.d. mobilità verticale, verso mansioni superiori.

Si è sottolineato come proprio questa sostanziale continuità con la precedente norma metta al riparo la nuova disposizione da eventuali censure di eccesso di

stessa famiglia professionale di quelle da ultimo svolte; in questa prospettiva si riteneva che le mansioni cui si era adibiti prima della modifica in melius dovessero essere considerate come rientranti nella gamma di quelle “ultimamente svolte”, per cui la loro modificazione, anche in verticale, doveva sottostare alla regola dell’equivalenza.

Tuttavia tale impostazione, oltre ad andare ad irrigidire ulteriormente la disciplina delle mansioni, si scontrava con la lettera dell’art. 2103 c.c. che distingue tra mansioni “superiori” e mansioni “equivalenti”, entrambe a loro volta, per definizione, distinte da quelle di assunzione. Così altra dottrina era giunta al medesimo risultato mediante la mera applicazione delle regole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.: per cui si riteneva che l’assegnazione a mansioni superiori potesse essere legittimamente rifiutata “tutte le volte in cui il lavoratore non fosse in possesso del minimo di capacità tecnico-professionali necessarie al loro svolgimento”. M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni

e trasferimento, in P.SCHLESINGER (a cura di) Il codice civile. Commentario, Giuffré, 1997, p. 299 cui si rinvia per maggiori approfondimenti.

313 In questa direzione si riconosceva al lavoratore la possibilità di impedire il

perfezionamento della promozione automatica esprimendo il proprio dissenso all’acquisizione del superiore inquadramento sin dal momento della scadenza del termine (legale o contrattuale) previsto: F.LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Franco Angeli, 1982, p. 200. Contra M.BROLLO, op. cit., p. 300 ss.

314 V. Cass. Sez. Lav., 6 giugno 1985, n. 3372 (massima); Cass. Sez. Lav., 4 marzo 2004, n. 4463 disponibili su www.iusexplorer.it.

delega che potrebbero essere sollevate in virtù del fatto che la fattispecie in esame non fa riferimento a quei “processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale” cui la legge delega subordina la “revisione” della disciplina delle mansioni316.

Con la riforma del 2015 il legislatore ha provveduto a mettere in ordine l’articolato normativo precedente, dedicando alla materia due distinti commi: il primo comma che continua a fare riferimento all’ipotesi generale di promozione definitiva del lavoratore: “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansiono riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”, operando tra l’altro una specificazione del termine “mansioni superiori” per cui debbono intendersi come tali le mansioni la cui collocazione è prevista nel livello di inquadramento sovraordinato rispetto alle mansioni di partenza317.

Ed il settimo comma dell’art. 2103 c.c., che disciplina invece la c.d. promozione automatica: “Nel caso di assegnazioni a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”.

Mantenuto sostanzialmente inalterato l’impianto precedente, sono tre le principali modifiche che sono state apportate al “vecchio” art. 2103 c.c.: l’assegnazione a mansioni superiori diviene ora definitiva (e scatta quindi la promozione automatica) ove si sia protratta per un “periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”; qualora “non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio”; e infine se il

316 C.PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino,

2015, p. 154.

317 M. MENEGOTTO, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act in Working Papers

ADAPT UNIVERSITY PRESS, n.7/2016, p. 27; C.PISANI, op. cit., p. 157: Il vecchio testo utilizzava di fatto il termine “categoria” ma questo, in realtà, veniva inteso non come categoria legale ma contrattuale, cioè stabilita dai contratti collettivi.

lavoratore non abbia espresso una volontà contraria alla promozione318. Analizzeremo nel dettaglio tali profili per comprendere quali siano le possibili ricadute pratiche di tali modifiche.