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Le eccezioni legali all’art 2103 c.c

Tuttavia nel quadro di un generale divieto di dequalificazione del lavoratore, lo stesso legislatore aveva previsto alcune eccezioni al divieto di assegnazione a mansioni inferiori, ritenendo a fronte di particolari situazioni, di dover sacrificare la tutela della dignità professionale del lavoratore in favore della protezione di altri beni costituzionalmente tutelati: si trattava in particolare del bene-salute (art. 32, comma primo Cost.) e del bene- occupazione (art. 4, comma primo Cost.)190.

Così l’art. 3, l. n. 1204/1971 (trasferito poi nell’art. 7, d. lgs. n. 151/2001191) imponeva, ed impone al datore l’obbligo di adibire le lavoratrici durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, ad altre mansioni, eventualmente anche inferiori a quelle abituali, con diritto alla conservazione della retribuzione precedente, qualora il tipo di attività svolta o le condizioni ambientali siano pregiudizievoli o rivelino un rischio per la salute della donna192.

Nella stessa direzione, l’art. 4, comma 4, l. n. 68/1999193 prevede una specifica tutela per i lavoratori divenuti inabili per infortunio o malattia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, stabilendo che “l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a

189 V. Cass. Sez. Lav., 8 giugno 2001, n. 7821; Cass. Sez. Lav., 25 febbraio 2004, n. 3772

consultabili su www.iusexplorer.it.

190 Tali disposizioni derogatrici si ritengono tuttora in vigore, sia perché il d.lgs. n.

81/2015 non le richiama nell’ambito delle “abrogazioni” sia perché non risultano incompatibili con la novella (artt. 55 e 3, comma 2).

191 C.d. Testo Unico delle disposizioni legislative in materia dii tutela e sostegno della

maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della l.8 marzo 2000, n. 53.

192 Se lo spostamento ad altre mansioni non è possibile, viene disposta l’interdizione dal lavoro su provvedimento del Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 151/2001).

mansioni inferiori”; anche in questo caso il lavoratore avrà diritto alla conservazione del precedente trattamento retributivo.

L’art. 10, comma 3, l. n. 68/1999, statuisce invece che il lavoratore disabile, le cui condizioni di salute si siano aggravate nel corso dello svolgimento del rapporto, può chiedere che venga accertata, tramite apposita commissione, la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Il datore, laddove necessario, dovrà attuare i possibili adattamenti all’organizzazione del lavoro e adibire eventualmente il prestatore anche a mansioni inferiori; solo qualora nonostante gli adattamenti organizzativi non sia possibile reinserire il disabile all’interno dell’azienda, il rapporto di lavoro potrà essere risolto.

Sempre in nome del diritto alla salute l’art. 42, comma 1, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81194 stabilisce che il lavoratore che sia dichiarato, da una competente

commissione sanitaria, inidoneo alla mansione specifica195, deve essere adibito a mansioni equivalenti, o in difetto, a mansioni inferiori, con la conservazione del trattamento economico e normativo corrispondente alle mansioni di provenienza. Lo stesso vale per il lavoratore che debba essere allontanato dalla esposizione ad un agente chimico, fisico o biologico (art. 229, comma 5 dello stesso d. lgs. n. 81/2008).

Per quanto riguarda invece le ipotesi di “demansionamento legale” con riferimento all’esigenza di salvaguardia dell’occupazione, l’art. 4, comma 11, l. n. 223/1991196 prevede che gli accordi sindacali stipulati nell’ambito delle procedure di mobilità, possano assegnare i lavoratori ritenuti eccedenti (o in esubero) a “mansioni diverse da quelle svolte”, “anche in deroga al secondo comma dell’articolo 2103 del codice civile” (e quindi anche a mansioni inferiori). In questo caso la disposizione non si occupa espressamente del profilo retributivo, rinviando anche tale questione alla contrattazione collettiva.

194 “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”.

195 Trattandosi di mansioni comportanti rischi e pericoli per l’incolumità fisica nonché

per la salute dello stesso lavoratore.

196 Recante “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”.

3.3 Le deroghe giurisprudenziali

Anche la giurisprudenza, seppur in modo graduale, aveva introdotto alcune eccezioni al divieto dei patti contrari.

Già all’indomani dell’emanazione della norma, gli interpreti si interrogarono sull’ammissibilità di una pattuizione di mansioni inferiori, nei casi in cui tale misura avesse rappresentato l’alternativa alla misura ben più grave del licenziamento giustificato del lavoratore197: un primissimo orientamento, facendo leva sul dato letterale (chiaro e inequivocabile) e sul carattere imperativo dell’art 2103 c.c. aveva negato ogni possibilità di deroga al divieto di declassamento, anche di fronte all’alternativa del licenziamento198.

Si privilegiava l’esigenza di certezza del diritto, anche a costo del sacrificio di interessi, pur rilevanti, del prestatore di lavoro.

Nelle ipotesi in cui era lo stesso lavoratore a manifestare l’interesse a svolgere mansioni inferiori, l’unica via percorribile secondo questa interpretazione era la risoluzione consensuale del contratto di lavoro seguita dalla instaurazione di un nuovo rapporto avente ad oggetto mansioni inferiori rispetto a quelle svolte in precedenza dal lavoratore199.

Un successivo orientamento, mostrandosi più sensibile alle esigenze dei lavoratori, il cui interesse principale è quello di mantenere comunque l’occupazione, aveva cominciato ad ammettere deroghe al divieto dei patti

197 M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni e

trasferimento, in P. SCHLESINGER (a cura di), Il codice civile. Commentario, Giuffré, 1997, p.193.

198 V. Cass. Sez. Lav. 19 giugno 1987, n. 5388 consultabile su www.iusexplorer.it: “Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la norma dell’art. 2103 c.c. nel testo introdotto dall’art. 13 della legge 20 maggio 1970 n. 300, la quale vieta al datore di lavoro di adibire il lavoratore, anche se con la salvaguardia della retribuzione, a mansioni inferiori, non consente deroghe neppure nel caso in cui la sua applicazione possa, in definitiva, risolversi in un pregiudizio per lo stesso lavoratore, esponendolo al rischio di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La citata norma, sancendo la nullità di ogni patto contrario

al fine di eliminare la possibilità di elusione del divieto (…) ha adottato uno strumento di tutela rigido, che in condizioni particolari, può anche comportare un sacrificio per il prestatore di lavoro”.

199 In questo modo il demansionamento avveniva al di fuori del rapporto in corso e quindi

la tutela di cui all’art 2103 c.c. non veniva in rilievo. V. Cass. Sez. Lav. 23 gennaio 1988, n. 539; Cass. Sez. Lav., 17 aprile 1996, n. 3640 disponibili su www.iusexplorer.it.

contrari nei casi in cui la dequalificazione professionale avesse rappresentato per il lavoratore il “male minore”.

In particolare, il filone c.d. del “male minore” era stato inaugurato con la sentenza della Cassazione n. 266 del 12 gennaio 1984200 che aveva riconosciuto alle parti la facoltà di concordare l’assegnazione a mansioni inferiori in caso di sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore, che lo avesse reso inidoneo allo svolgimento delle precedenti mansioni, senza però configurare una disabilità ai sensi della l. n. 68/1999.

Quindi in presenza delle condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento del prestatore per giustificato motivo, si attribuiva alle parti il potere di “adottare pattiziamente un rimedio meno dannoso per il lavoratore, mantenendolo nell’organizzazione aziendale, sia pure in posizione dequalificata rispetto alla precedente”201.

In questa direzione la giurisprudenza era arrivata a riconoscere la legittimità del c.d. patto di demansionamento al fine di evitare il licenziamento, anche in presenza di ragioni oggettive non inerenti alla persona del lavoratore (come nel caso della sopravvenuta inidoneità alle mansioni) bensì al datore di lavoro: quindi in caso di crisi aziendale, ristrutturazione, riorganizzazione, soppressione della figura professionale senza possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti202.

Talune pronunce, “superando la barriera della dequalificazione

200 Leggibile in Riv.it. dir. lav., 1984, fasc. 3, p. 664 ss. E poi consolidato in via definitiva dalle Sezioni Unite con la sent. 7 agosto 1998, n. 7755. Cfr. Cass. Sez. Lav., 2 agosto 2001, n. 10574; Cass. Sez. Lav., 6 marzo 2007, n. 5112 consultabili su www.iuexplorer.it.

201 Sulla scia di questo ragionamento, la Corte aveva giustificato anche un

riproporzionamento del trattamento retributivo. V. Cass. Sez. lav., 24 ottobre 1991, n. 11297 disponibile su www.iusexplorer.it.

202 Quindi in tutte le ipotesi di sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di

licenziamento per motivi attinenti “all’attività produttiva” o all’”organizzazione del lavoro” ex art. 3, l. n. 604/1966. V. Cass. Sez. Lav., 9 marzo 2004, n. 4790; Cass. Sez. Lav., 10 ottobre 2005, n. 19686; Cass. Sez. Lav. 10 ottobre 2006, n. 21700 disponibili su www.iusexplorer.it. Ovviamente, come aveva specificato la stessa Corte “quando il datore di lavoro desiste dall’intento di licenziare per addivenire ad un c.d. patto di demansionamento, occorre che l’ intento di porre fine al rapporto sia stato serio, giustificato e non un espediente per ottenere prestazioni lavorative in elusione ad una norma imperativa”. Tra l’altro in caso di impugnativa dell’accordo, l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni di fatto che avrebbero giustificato il licenziamento gravava sul datore di lavoro, in osservanza tanto del disposto dell’art. 5 della l. n. 604/1966, che del divieto posto dall’art. 2103 c.c.: V. Cass. Sez. Lav., 22 agosto 2006, n. 18269 consultabile su www.iusexplorer.it.

professionale quale rigorosa alternativa ad un licenziamento per ragioni oggettive” erano arrivate ad ammettere la possibilità di un mutamento in pejus delle mansioni anche in presenza di una mera richiesta del lavoratore, “per soddisfare un proprio interesse non ulteriormente qualificato”203.

Secondo la Suprema Corte questo era possibile in quanto“le limitazioni allo jus variandi introdotte dall'art. 2103 cod. civ. nel testo di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 13, erano dirette ad incidere su quei provvedimenti unilaterali del datore di lavoro” ma non operavano nel caso in cui il mutamento di mansioni fosse stato disposto “a richiesta dello stesso lavoratore, ossia in base ad un’esclusiva scelta dello stesso, pervenuto a tale unilaterale decisione senza alcuna sollecitazione, neppure indiretta, del datore di lavoro”204.