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La prova e la liquidazione del danno

5.6 La tutela risarcitoria

5.6.2 La prova e la liquidazione del danno

Affinché ci sia danno e quindi diritto al risarcimento è (però) necessario che si produca una lesione autonoma rispetto al mero inadempimento: in giurisprudenza è ormai superata la concezione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituisce conseguenza automatica dell’illecito demansionamento527.

Ciò è stato ribadito con chiarezza anche dalle Sezioni Unite del 2006 le quali hanno affermato come il risarcimento abbia funzione riparatoria di un pregiudizio effettivo e non punitiva dell’inadempimento, da cui non deriva sempre automaticamente un danno: “l’inadempimento infatti è già sanzionato con l’obbligo di corresponsione della retribuzione” e “la forma rimediale del risarcimento del danno opera solo in funzione di neutralizzare la perdita sofferta, concretamente, dalla vittima”.

524 P. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, in P.

SCHLESINGER (fondato da), F.D.BUSNELLI (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, 2008.

525 L.FERLUGA, op. cit., pp. 160-161.

526 Cass. Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572.

527 V. Cass. Sez. Lav., 26 maggio 2004, n. 10157; Cass. Sez. Lav., 12 novembre 2002, n.

Il lavoratore dovrà quindi, secondo i principi generali fissati dall’art. 2697 c.c., fornire la prova dell’esistenza del danno subìto quale conseguenza immediata e diretta della condotta inadempiente del datore di lavoro528.

Quanto alla prova dell’esistenza del danno il prestatore dovrà “necessariamente e preliminarmente allegare specificamente tutti gli elementi, le modalità e le peculiarità della situazione di fatto”529.

In particolare per quanto riguarda il danno alla professionalità, andranno dedotti i fatti integranti l’impoverimento della capacità professionale acquisita oppure la mancata acquisizione di una diversa capacità530.

Allo stesso modo andrà data prova concreta della perdita di una effettiva chance di carriera o di ulteriore guadagno, indicando quali aspettative (che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto) siano state frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattività531.

Per il danno biologico, come abbiamo accennato, occorre dedurre una specifica lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile532. Per il danno morale, devono essere allegati e dimostrati fatti storici o

episodi specifici dai quali dedurre il turbamento interiore o la lesione del bene dignità.

Analogamente, per il c.d. danno esistenziale il lavoratore dovrà allegare precise circostanze attestanti l’alterazione in senso peggiorativo delle sue abitudini o della qualità di vita.

528 V. Cass. Sez. Lav., 23 novembre 2011, n. 24718: “tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo (…) cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno (non patrimoniale) e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale”. Cfr. Cass. Sez. Lav., 4 marzo 2011, n. 5237; Cass. Sez. Lav., 17 settembre 2010, n. 19785; Cass. Sez. Lav., 19 dicembre 2008, n. 29832; Cass. Sez. Lav., 20 dicembre 2006, n. 27197 consultabili su

www.iusexplorer..it.

529 C.PISANI, op. cit., p. 138.

530 Ad esempio, potrà essere dedotto “l’esercizio di un’attività soggetta ad una continua

evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale destinati a venir meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo”: Cass. Sez. Un. 24 marzo 2006, n. 6572.

531 V. Cass. Sez. Lav., 23 gennaio 2009, n. 1715; Cass. Sez. Lav., 18 gennaio 2006, n. 852 su www.iusexplorer.it.

532 V. Cass. Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361; Cass. Sez. Lav., 26 gennaio 2010, n. 1575;

In particolare le Sezioni Unite con la sentenza n. 6572/2006 hanno affermato che il danno esistenziale può essere dimostrato “attraverso tutti i mezzi che l’ordinamento processuale pone a disposizione: dal deposito di documentazione alla prova testimoniale su tali circostanze di congiunti e colleghi di lavoro”. E “considerato che il pregiudizio attiene ad un bene immateriale, precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo di danno la prova per presunzioni, mezzo peraltro non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove, cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva per la formazione del suo convincimento”533.

Sulla scia di queste affermazioni la giurisprudenza successiva ha cominciato a far largo uso di presunzioni “individuando alcune caratteristiche del demansionamento che possono assumere rilevanza quali elementi gravi, precisi e concordanti, per la prova presuntiva del danno: la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del periodo di demansionamento534, nonché la conoscibilità all’interno e all’esterno del luogo di lavoro dell’operato demansionamento”535. Questa utilizzazione sempre più crescente di presunzioni al fine di agevolare il lavoratore in ordine alla prova del danno, ha però aperto la strada per un ritorno alla configurazione del danno come danno in re ipsa.

Si è infatti sostenuto che per alcune tipologie di mansioni, caratterizzate da un elevato grado di specializzazione, la sussistenza del danno da demansionamento rientri nella comune esperienza, come fatto notorio, e che quindi non necessiti di essere provato536.

533 La sentenza non prende direttamente in considerazione anche il danno morale, ma tali affermazioni sono estendibili anche a quest’ultimo, proprio in quanto relativo a beni immateriali.

534 Cass. Sez. Lav. 18 marzo 2014, n. 6230 (consultabile su www.iusexplorer.it). 535 C.PISANI, op. cit., p. 139 s.: “Trattandosi di prova presuntiva, tali elementi di fatto debbono necessariamente essere valutati in maniera complessiva “poiché il loro artificioso isolamento farebbe venire meno due dei tre requisiti dei fatti indizianti, e cioè quello della concordanza e gravità, e quindi si risolverebbe in una violazione dell’art. 2729, comma 1, c.p.c., censurabile in Cassazione”.

Allo stesso modo le Sezioni Unite n. 3677/2009 hanno considerato il danno all’immagine come un’oggettiva conseguenza dell’illegittima revoca di un incarico dirigenziale, esonerando così il danneggiato dall’onere della prova537. Infine, ha espressamente riaffermato il danno in re ipsa la Cassazione nella sent. n. 7963/2012 con riguardo alla sottrazione totale di mansioni, sostenendo come in tal caso “tale lesione produce automaticamente un danno (non economico ma comunque) rilevante sul piano patrimoniale”538.

Anche la Corte Costituzionale539, ha posto l’accento sulla “particolare gravità” dei danni alla persona ed alla sua dignità nell’ipotesi di riduzione a zero delle mansioni, adombrando così “una discutibile aprioristica gerarchia in ordine alla entità del danno da demansionamento, che invece non può prescindere dalla realtà, e quindi dalla prova delle specifiche vicende”540.

Per il danno biologico, invece, si continua a richiedere l’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile541.

Come accennato, il lavoratore, oltre al danno deve provare anche il nesso di causalità rispetto all’illecito del datore di lavoro: deve quindi dimostrare che “senza l’illegittima modificazione delle mansioni non si sarebbe verificata la lesione della sua professionalità, immagine, reputazione, dignità e integrità psico-fisica”542.

537 Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2009, n. 3677 in www.iusexplorer.it. E come osserva anche

C.PISANI, op. cit., p. 140, tale soluzione “potrebbe trovare applicazione anche ai pregiudizi alla dignità, all’onore, alla reputazione alla stessa sofferenza interiore”.

L’Autore, inoltre, ha sottolineato come tale progressivo ampliamento nell’uso della prova per presunzioni ha portato a confondere la prova del demansionamento con quella del danno in quanto “alcune sentenze hanno valorizzato come elementi presuntivi di quest’ultimo aspetti quali la ‘riduzione delle responsabilità di vertice’, ‘l’estromissione logistica del dipendente’, le ‘mansioni residuate’ ovvero ‘la riduzione dell’autonomia e delle proprie incombenze, nonché del potere di coordinamento’; tutti elementi, questi, che attengono invece alla struttura dell’illecito”: C. PISANI, op, cit., p. 140 s.

538 Cass. 12 aprile 2012, n. 7963 in Riv. It. dir. lav., 2013, II, pp. 110-111. Anche se per non andare apertamente in contrario avviso alle Sezioni Unite del 2006, ha ricostruito la forzata inattività come fattispecie differente dalla violazione dell’equivalenza.

539 V. Corte Cost. 6 aprile 2004, n. 113 in www.iusexplorer.it. (Sentenza già ricordata

che ha esteso il privilegio generale sui mobili ai crediti per danno da demansionamento). 540C.PISANI, op. cit., p. 141: ”Non si vede perché debba considerarsi meno grave il

danno patito da un dirigente adibito a mansioni di gran lunga inferiori e posto alla mercé di coloro che erano i suoi sottoposti”.

541 Cass. Sez. Lav., 17 settembre 2010, n. 19785 in www.iusexplorer.it.

542 C.PISANI, op. cit., p. 142. Cfr. Cass. Sez. Lav., 28 maggio 2004, n. 10361; Cass.

Sez. Lav., 8 giugno 2012, n. 9343 in www.iusexplorer.it.“Ciò vale anche per il danno biologico medicalmente accertato, dovendo il lavoratore dimostrare, anche tramite consulenza

Per quanto riguarda la quantificazione dell’ammontare del danno, in relazione al danno alla professionalità, il criterio maggiormente utilizzato dalla giurisprudenza è quello della “parametrazione ad una percentuale della retribuzione mensile in base alla durata e alla gravità del demansionamento”543. Sul piano della quantificazione del danno non patrimoniale, la giurisprudenza concorda sulla necessità di una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.544, anche se dimostra una certa difficoltà nel definire criteri e parametri di liquidazione545.

Per il danno biologico, in realtà, sono state da tempo elaborate delle tabelle di riferimento attraverso le quali è possibile quantificare il danno subìto in virtù di punti percentuali di lesione e dell’età della vittima; ciò ovviamente non esclude la possibilità per il giudice di procedere ad un’adeguata “personalizzazione” del danno, dovendo questi accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, individuando quali ripercussioni negative si sono verificate sul valore-uomo e provvedendo alla loro integrale riparazione546. Con riferimento al danno morale, la giurisprudenza prevalente tende a

ricondurre la quantificazione di tale voce di danno nell’ambito di una percentuale (che va da un terzo alla metà) del danno biologico547, finendo così per ancorare il primo al secondo; tale soluzione è stata però ritenuta dalla dottrina discutibile “in considerazione della diversa natura delle due tipologie di danno”548.

Quanto al danno esistenziale, l’orientamento prevalente predilige un criterio equitativo puro, lasciando ampia discrezionalità al giudice di adeguare il quantum di risarcimento alle esigenze concrete emerse nella fattispecie posta alla sua attenzione; “quindi, nella determinazione del risarcimento potrebbero

tecnica d’ufficio, il rapporto eziologico tra la modifica delle mansioni e la malattia”: C.

PISANI, op. cit., ibidem.

543 C.PISANI, op. cit., p. 141. Cfr. Cass. Sez. Lav., 5 ottobre 2006, n. 21406; Cass.Sez.

Lav., 13 maggio 2004, n.10361 in www.iusexplorer.it.

544 Art. 1226 c.c.: ”Valutazione equitativa del danno: Se il danno non può essere provato

nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”. 545 L.FERLUGA, op. cit., p. 166.

546 Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972. 547 Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972.

presentarsi notevoli divergenze, anche in considerazione del fatto che diversi sono i sistemi astrattamente utilizzabili per il risarcimento del danno esistenziale”549.

Tuttavia dobbiamo ricordare che, sulla base di quanto affermato dalle sentenze gemelle del 2008, il danno biologico, morale ed esistenziale altro non sono che voci dell’unica categoria del danno non patrimoniale, rispondenti solo ad esigenze descrittive, e che quindi andranno liquidati in un’unica posta risarcitoria.

5.7 L’onere della prova della legittimità o illegittimità del