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Il primo comma dell’art 2103 c.c. come modificato dall’art 13 St. lav. nel disciplinare la mobilità orizzontale fissava il principio dell’irriducibilità del trattamento retributivo: l’adibizione a mansioni equivalenti doveva avvenire “senza alcuna diminuzione della retribuzione”, e questo anche al fine di “evitare il pericolo di eventuali mutamenti disposti esclusivamente per realizzare un risparmio”157.

Tra l’altro tale principio implicava che la retribuzione non fosse riducibile neanche a seguito di accordo tra le parti, stante l’inderogabilità dell’intera disciplina di cui al primo comma del “vecchio” art 2103 c.c.

Tuttavia data la natura complessa della retribuzione, nella prassi applicativa si poneva il problema di stabilire quali elementi dovessero considerarsi rilevanti ai fini del concetto di “retribuzione irriducibile” e quindi al fine della determinazione del “limite intangibile a garanzia del reddito del lavoratore”158 : in particolare il problema si poneva non tanto in relazione agli elementi retributivi c.d. “normali” (paga base e contingenza)159, ma riguardava quegli elementi c.d. accessori o integrativi della retribuzione, erogati in relazione a caratteristiche particolari o transitorie della prestazione (si pensi all’ indennità di lavoro notturno, all’indennità di trasferta o per sede disagiata, all’indennità per lavori nocivi) qualora queste fossero venute meno in caso di mutamento di

156 C.PISANI, op. cit., p. 1138. Una volta intervenuta l’autonomia collettiva il giudice

dovrebbe poi essere rispettoso delle valutazioni operate dalla stessa “anche se in teoria non vincolanti in quanto il giudice potrebbe applicare direttamente la norma di legge dell’“ove necessario”: C. PISANI, op.cit., ibidem.

157 L. FERLUGA, Tutela del lavoratore e disciplina delle mansioni, Giuffré, 2012, p.

100.

158 M.VENDRAMIN, Le mansioni del lavoratore: inquadramento e jus variandi.

Mansioni, qualifiche, jus variandi, in Trattato di Diritto del Lavoro diretto da Mattia Persiani

e Franco Carinci, Cedam, 2012, volume IV, tomo I, p. 552. 159 Era pacifico che tali elementi dovessero essere conservati.

mansioni.

Le diverse posizioni che erano state avanzate in dottrina possono essere ricondotte a due alternative di fondo160: secondo il primo orientamento, maturato nel clima del garantismo, il lavoratore aveva diritto a mantenere comunque la retribuzione “globale” di cui godeva in precedenza, senza alcuna distinzione e limitazione. Si vietava quindi ogni operazione diminutiva del livello retributivo del prestatore.

L’altro filone interpretativo (quello prevalente), invece, rifiutava una concezione omnicomprensiva della retribuzione, stabilendo come il lavoratore non avesse diritto alla conservazione delle indennità accessorie se connesse a caratteristiche della prestazione non più rinvenibili nell’espletamento delle nuove mansioni. Per cui si ammetteva anche una diminuzione della retribuzione.

La Suprema Corte, dopo alcune aperture verso la prima interpretazione, a partire dagli anni Ottanta si è consolidata su un orientamento161 che, rappresentando una soluzione intermedia tra le tesi prospettate in dottrina, distingue tra indennità connesse alla professionalità162del lavoratore (corrisposte quindi per particolari capacità o specifiche conoscenze tecniche) destinate a permanere anche dopo il mutamento di mansioni, e indennità accessorie collegate ad aspetti “estrinseci” della prestazione (corrisposte ad esempio per compensare particolari disagi o difficoltà legate al posto di lavoro: si pensi all’indennità di cuffia, di disagiata residenza o di maneggio denaro)163 suscettibili invece di essere soppresse al venir meno delle speciali situazioni che le abbiano generate164.

160 Per un’analisi più approfondita circa le varie tesi prospettate si veda M. BROLLO,

La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni e trasferimento, in P. SCHLESINGER (a cura di), Il codice civile. Commentario, Giuffré, 1997, p. 180 ss. 161 Inaugurato con la Sent. Cass. Sez. Lav., 9 gennaio 1981, n. 191 (massima)

disponibile su www.iusexplorer.it.

162 La Corte più precisamente parla di indennità corrisposte “in considerazione delle

qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore”: Cass. Sez. Lav. 7 dicembre

2000, n. 15517, consultabile su www.iusexplorer.it.

163 Inerenti quindi soltanto a particolari modalità di esecuzione della prestazione.

164 Tra le molte v. Cass. Sez. Lav. 13 novembre 1991, n. 12088; Cass. Sez. Lav. 10

Il nuovo comma primo dell’art 2103 c.c. nel disciplinare la mobilità orizzontale non dice niente in ordine alla garanzia retributiva165: si ritiene che il legislatore abbia voluto semplificare ulteriormente l’indagine del giudice “evitandogli di addentrarsi nell’insidioso terreno della nozione di retribuzione ai fini della definizione dei confini della mobilità orizzontale”166, rimettendo ancora una volta la materia nelle mani della contrattazione collettiva167. Così si è ipotizzato come l’autonomia collettiva in “futuro” potrebbe o prevedere due sistemi di inquadramento, uno avente la funzione di disegnare i percorsi di mobilità tra le mansioni, e l’altro quella di determinare la retribuzione; o “spacchettare” all’interno di ciascun livello retributivo ulteriori sub livelli di inquadramento ai soli fini del mutamento delle mansioni, “creando così percorsi di mobilità differenziati all’interno del medesimo livello, senza differenziazioni retributive” 168 (ovviamente sempre nel rispetto

del limite della categoria legale) ; oppure per converso prevedere all’interno di ciascun livello di inquadramento, diversi livelli salariali effettivi (come tra l’altro è già avvenuto, ad esempio, nell’ambito del CCNL 15.10.2015 per il settore chimico-farmaceutico)169.

Ma ancora il contratto collettivo potrebbe estendere la regola dell’irriducibilità

165 A differenza di quanto avviene invece nel comma 5, dove il legislatore richiama la

garanzia del trattamento retributivo in godimento in relazione alle ipotesi di demansionamento:” Nelle ipotesi di cui al secondo e quarto comma, il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”. (L’argomento dell’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori sarà trattato nel prossimo capitolo).

166 M. BROLLO, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act in Arg. dir. lav., 6/2015,

p. 1166.

167 Così anche F.LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni

contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro in Working papers C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT, n.

257/2015, p.9; A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativa

e tutela del prestatore di lavoro, in Giorn. dir. lav. Rel. Ind., fasc. 1, 2016, p.135; C. PISANI,

La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino, 2015, p. 51 ss.

168 C. PISANI op. cit p. 51.

169 A.GARILLI, op.cit., ibidem; M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art 3) in F.

Carinci (a cura di) Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n.81: le tipologie contrattuali e lo jus

variandi, ADAPT UNIVERSITY PRESS, 2015, n. 48, p. 63.

Naturalmente non ci dobbiamo dimenticare che “il sistema di inquadramento resta sindacabile ex primo comma art. 36 Cost., sotto il profilo del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”: M. BROLLO, op.cit., ibidem.

prevista al comma 5 agli spostamenti di cui al primo comma “magari delimitandola in positivo disponendo la conservazione di quelle attribuzioni strettamente corrispettive di specifiche qualità professionali del lavoratore”170.

2.8 Obbligo di repêchage e mansioni “equivalenti”

Il datore di lavoro che intenda licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo171, secondo la giurisprudenza consolidata, ha l’onere di provare oltre all’esistenza di effettive ragioni di carattere produttivo- organizzativo (che comportano la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto cui è addetto il licenziando172), anche l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale: c.d. obbligo di repêchage173.

Le “altre” mansioni, sulla base di quanto stabilito dalla stessa Cassazione174 devono essere individuate alla luce dell’art 2103 c.c., per cui il repêchage dovrà estendersi alle mansioni esigibili dal datore in via ordinaria: si trattava delle mansioni “equivalenti” nel vigore della formulazione del vecchio art 2103 c.c., e si tratta delle mansioni “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento” alla luce del nuovo art 2103 c.c.175. Una parte della dottrina, all’indomani dell’emanazione della norma, ha

170 C.PISANI, op. cit. p. 52.

171 Che ex art 3, l. n. 604/1966 può essere determinato “da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

172 Il datore deve quindi dimostrare anche l’incidenza delle ragioni organizzative e

produttive sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore.

173 Solo per fare qualche esempio: Cass. Sez. Lav. 20 dicembre 1995, n. 12999; Cass.

Sez. Lav. 3 luglio 2003, n.10554; Cass. Sez. Lav. 20 maggio 2009, n. 11720; Cass. Sez. Lav. 7 aprile 2010, n.8237 consultabili su www.iusexplorer.it.

E questo perché il licenziamento è concepito quale extrema ratio per il datore di lavoro, al quale quindi non devono presentarsi alternative valide allo stesso recesso.

174 Il riferimento è in particolare a Cass. Sez. Un. 7 agosto 1998, n. 7755 che ha individuato

ratio e limiti dell’obbligo di repêchage.

175 E. GRAMANO, Natura e limiti dell’obbligo di repêchage: lo stato dell’arte alla luce

delle più recenti pronunce giurisprudenziali, in Arg. dir. lav., 6/2016, p. 1316.

Dell’ambito di applicazione del repêchage in relazione alle mansioni inferiori si parlerà nel prossimo capitolo.

sostenuto come proprio a causa di un tale ampliamento dell’area delle mansioni esigibili, si determinerebbe un restringimento dell’ambito di applicabilità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “che potrà giustificarsi solo nel caso di inesistenza di un posto vacante appartenente al livello di inquadramento del lavoratore”176.

PISANI, invece, ritiene che tale tesi non sia condivisibile in termini così drastici: alla luce della nuova disciplina occorrerà comunque verificare se le nuove mansioni libere a cui dovrà essere assegnato il prestatore comportino o meno la necessità di un aggiornamento professionale; in caso affermativo, quelle mansioni andranno escluse dal repêchage dato che “non esiste un obbligo del datore di lavoro di fornire al lavoratore una ulteriore e diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro”177.

E tale obbligo non è ricavabile neppure dal nuovo art 2103 c.c.: come abbiamo visto la formazione di cui al comma 3 rappresenta per il datore di lavoro un onere qualora, nel suo interesse, intenda esercitare lo jus variandi. Ma la conclusione non cambierebbe nemmeno se si ritenesse che sul datore gravi un vero e proprio obbligo formativo in quanto questo comunque sorgerebbe solo a seguito della scelta del datore di esercitare il suddetto potere.

Inoltre, sottolinea l’Autore, non si può non ignorare la differenza tra tale situazione e il licenziamento: nella prima è comunque il datore che sceglie di adibire il prestatore a mansioni per le quali non ha le competenze e quindi di accollarsi i costi della formazione; in relazione al licenziamento invece si pone “il problema di stabilire fino a che punto si può imporre al datore il costo economico di una formazione in alternativa al licenziamento, senza collidere con l’art. 41 Cost.”178.

Sostenere la tesi opposta poi equivarrebbe a dire che il datore abbia comunque un dovere di riqualificare e ricollocare il personale anziché licenziare ed assumere lavoratori già formati, arrivando così paradossalmente a “ritenere ingiustificato il licenziamento di un capo treno per effettiva

176 F. LISO, op.cit., ibidem.

177 C. PISANI, L’ambito del repêchage alla luce del nuovo art. 2103 Cod.Civ., in Arg.

dir. lav. 3/2016, p. 539 ss.

soppressione del suo posto perché il giorno prima è stato assunto un pilota di ferry-boat (qualifica, quest’ultima, prevista dal contratto collettivo nello stesso livello della prima) sostenendosi che il datore di lavoro anziché licenziare il capo treno avrebbe dovuto ricollocarlo a pilota”179.

Quindi anche con il nuovo art 2103 c.c. l’obbligo di repêchage rimane “confinato” alle mansioni che il lavoratore è in grado di svolgere grazie alle proprie competenze e per le quali non è necessario impartirgli una diversa formazione (e che ovviamente si trovino inquadrate nello stesso livello).

179 C. PISANI, op.cit., p. 541. Pertanto anche alla luce del nuovo art 2103 c.c. si deve

escludere che nell’ambito del rapporto di lavoro “ordinario” viga un obbligo generale del datore di lavoro di formazione dei propri dipendenti: C.PISANI, op.cit., ibidem.

CAPITOLO TERZO

L’ADIBIZIONE DEL LAVORATORE A MANSIONI

INFERIORI

SOMMARIO

: 3.1 La disciplina previgente: la nullità dei patti contrari – 3.2 Le eccezioni legali all’art. 2103 c.c. – 3.3 Le deroghe giurisprudenziali – 3.4 L’art. 8 della l. n. 148/2011 – 3.5 Il nuovo testo dell’art.2103 c.c. e lo jus variandi in pejus unilaterale – 3.6 Le ulteriori ipotesi di demansionamento per previsione del contratto collettivo – 3.7 I patti individuali di deroga nelle sedi “protette” – 3.8 Cosa resta dell’inderogabilità dell’art. 2103 c.c. – 3.9 Repêchage e mansioni inferiori – 3.10 Demansionamento e mobbing.

3.1 La disciplina previgente: la nullità dei patti contrari

L’ultimo comma dell’art 2103 c.c. nella sua versione statutaria prevedeva che “ogni patto contrario” alle regole stabilite nel primo capoverso fosse “nullo”180, sancendo così espressamente l’inderogabilità della “nuova” disciplina181.

Dalla lettura complessiva della norma si ricavava così il divieto di adibire il lavoratore a mansioni di contenuto o valore professionale inferiore182 e secondo

180 Anche l’ultimo comma del “nuovo” art 2103 c.c. sancisce la nullità di ogni patto

contrario, ma vedremo meglio alla fine di questo capitolo come in realtà siamo ormai di fronte ad una ben diversa portata applicativa del medesimo precetto.

181 Come abbiamo visto, la norma era stata così riscritta proprio per evitare che le parti potessero concordare un mutamento di mansioni al ribasso, come avveniva nella vigenza dell’originario art 2103 c.c. (quando tra l’altro si riteneva sufficiente anche un consenso tacito dello stesso lavoratore).

182 Visto il significato attribuito alla nozione di equivalenza (V. Cap. II).

Il lavoratore di fatto non poteva essere adibito a mansioni non equivalenti a quelle di assunzione o a quelle ultime effettivamente svolte e non superiori (e quindi a mansioni inferiori).

opinione comunemente condivisa non solo attraverso patti individuali ma anche mediante accordi e contratti collettivi.

La regola dell’equivalenza comportava di fatto che il datore di lavoro dovesse consentire al dipendente di svolgere effettivamente le mansioni dedotte in contratto affinché il lavoratore potesse conservare ed eventualmente accrescere il bagaglio professionale acquisito183: così secondo un orientamento consolidato integrava gli estremi del demansionamento anche la sottrazione di compiti che non fosse meramente quantitativa ma che comportasse anche una riduzione qualitativa degli stessi, tale da determinare la sottoutilizzazione professionale del lavoratore e quindi la sua progressiva obsolescenza.184 Lo stesso valeva (e vale) in caso di riduzione totale dei compiti (c.d.

svuotamento di mansioni), ovvero di forzata inattività185.

Tra l’altro, una copiosa giurisprudenza, condivisa da autorevole dottrina, considera la riduzione a zero delle mansioni illegittima in quanto la prestazione lavorativa non costituirebbe solo l’obbligo che il dipendente assume in cambio della promessa di una retribuzione, ma “anche il contenuto di un altro suo

183 C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino,

2015, p. 99.

184 V. ad esempio, Cass. Sez. Lav., 11 gennaio 1995, n. 276 consultabile su

www.iusexplorer.it , dove la Corte afferma che lo svolgimento dapprima in via esclusiva e successivamente con altra persona delle medesime mansioni di alto livello (quali ad es. come nel caso di specie la “direzione tecnica della produzione con responsabilità diretta”) dà luogo ad una dequalificazione in violazione dell’art 2103 c.c.: “in simil caso la

congestione dei compiti non comporta infatti una riduzione solo quantitativa delle mansioni, ma anche qualitativa , che abbassa il livello professionale dell’attività svolta”. Cfr.

Cass. Sez. Lav., 19 maggio 2001, n.6856; Cass. Sez. Lav., 5 maggio 2004, n. 8589, Cass. Sez. Lav., 11 luglio 2005, n. 14496 su www.iusexplorer.it.

185 V. Cass. Sez. Lav., 4 ottobre 1995, n. 10405, disponibile su www.iusexplorer.it : “Una

violazione della lettera e della ‘ratio’ dell’art. 2103 c.c. può ipotizzarsi anche quando il dipendente sia lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazioni di compiti, costituendo il lavoro non solo un mezzo di guadagno ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del soggetto. Coerente è pertanto l’affermazione che detta norma sia tesa a far salvo il diritto del lavoratore alla utilizzazione, al perfezionamento e all’accrescimento del proprio patrimonio professionale”. Cfr. Cass. Sez. Lav., 13 agosto 1991, n. 8835; Cass. Sez.

Lav., 13 febbraio 1998, n. 1530; su www.iusexplorer.it.

Erano invece escluse dalla comminatoria di nullità eventuali rinunzie o transazioni aventi ad oggetto l’impugnazione dell’avvenuta dequalificazione,” trattandosi di negozi di disposizione di un diritto già sorto sottoposti alla generale disciplina dell’art. 2113 c.c.”: C.

PISANI, op.cit., p. 31.

diritto, quello ad esercitare effettivamente le mansioni dedotte in contratto”186, rappresentando il lavoro non solo un mezzo di sostentamento e di guadagno ma altresì un mezzo di estrinsecazione della personalità dello stesso lavoratore ai sensi degli artt. 2, 4, e 35 Cost.187. Per cui non sarebbe consentito al datore lasciare inattivo il lavoratore, quando la sua prestazione è possibile188.

I giudici facendo leva su una serie di principi quali gli obblighi di collaborazione e diligenza del lavoratore e le motivate esigenze dell’azienda, erano arrivati invece ad ammettere la possibilità di adibire il prestatore anche a mansioni inferiori, purché si trattasse di mansioni marginali, accessorie o

186G.LOY, Professionalità e rapporto di lavoro, p. 34, disponibile su www.csri.it; così anche F.LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta

nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro in Working Papers C.S.D.L.E.“Massimo D’Antona”. IT, n. 257/2015,

p.3.

187 V. Cass. Sez. Lav.,3 giugno 1995, n. 6265; Cass. Sez. Lav., 1 giugno 2002, n. 7967;

Cass. Sez. Lav., 5 ottobre 2004, n. 19899; Cass. Sez. Lav., 18 maggio 2012 n. 7963 disponibili su www.iusexplorer.it.

Il fondamento del diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento della propria prestazione di lavoro viene quindi individuato sia in riferimento al dato testuale dell’art 2103 c.c. che dispone che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, sia in relazione a quella che è la funzione del lavoro, che costituisce non solo un mezzo di sostentamento e di guadagno ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del lavoratore, ai sensi degli artt. 2, comma1, 4, comma 1 e 35, comma primo Cost.

Ha escluso l’esistenza di tale diritto in capo al lavoratore, negando il correlativo obbligo del datore di lavoro C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino, 2015, p. 100 ss. il quale sostiene come “la formula ‘deve essere adibito’ di cui al comma 1, sancisce un’obbligazione di non fare a carico del datore di lavoro [consistente nel divieto di adibire il lavoratore a mansioni non consentite] e/o un limite legale all’esercizio dello ius variandi, ma non un diritto del lavoratore allo svolgimento effettivo della prestazione”. Tale diritto secondo l’Autore non sarebbe ricavabile nemmeno “seguendo un’interpretazione costituzionalmente orientata, poiché il principio costituzionale di realizzazione della persona mediante il lavoro (artt. 1-4 Cost.) non sembra ancora annoverare, tra i modi di attuazione prescelti dal legislatore ordinario, l’obbligo del datore di lavoro di utilizzare effettivamente il dipendente”. (Secondo questa ricostruzione quindi l’attuazione di fatto del provvedimento adottato in violazione dell’art 2103 c.c. costituirebbe inadempimento contrattuale, consistente in un fatto positivo compiuto in violazione di un divieto).

188 F. LISO, op. cit., ibidem.

Ovviamente come ha osservato anche LOY “è del tutto evidente che l’esercizio di tale diritto da parte del lavoratore va incontro a tutte le limitazioni derivanti dal legittimo uso del fondamentale diritto all’esercizio dell’impresa, purché esercitato con modalità tali da ‘non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana’ “ (art 41 Cost.): così potrebbe accadere che il datore non possa avvalersi della prestazione per motivi tecnici od organizzativi, per un periodo nel quale l’eventuale esecuzione della prestazione si rivelasse inutile per l’impresa; per analoghe ragioni potrebbe utilizzare la prestazione in misura ridotta; oppure potrebbe ridurre l’intensità della stessa a fronte di una situazione di pericolo : G.LOY, op.cit., p. 35.

connesse allo svolgimento della prestazione contrattualmente dovuta189 .