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Il dibattito sulla definizione di tratta di esseri umani del Protocollo d

1. Premessa

1.1. Il dibattito sulla definizione di tratta di esseri umani del Protocollo d

La firma del Protocollo di Palermo aprì, inevitabilmente, le porte ad un intenso dibattito sulla definizione di tratta in esso contenuta.

Il Protocollo di Palermo fu, innanzitutto, criticato da molti in quanto, pur configurandosi come il principale strumento a livello internazionale contro lo sfruttamento, era stato sviluppato al di fuori di una convenzione incentrata sui diritti umani ed incorporato in una volta a favorire la coooperazione tra gli Stati nell’ottica di una più efficace repressione del crimine organizzato transnazionale141.

Nonostante ciò, vi è ancora una delle maggiori studiose del diritto anti-tratta, Anne Gallagher, che continua a difenderne i numerosi aspetti positivi.

In particolare, l’autrice ricorda come il Protocollo sia servito in primo luogo a cristallizzare la definizione di un fenomeno che per troppo tempo era stato lasciato ‘convenientemente’ indefinito e non regolato. Le critiche in ordine al fatto che il Protocollo di Palermo sarebbe incentrato sulla repressione penale e non sui diritti umani appaiono alla Gallagher ingenue, in quanto l’impostazione del problema dalla prospettiva incentrata sui diritti umani non avrebbe mai raggiunto il supporto politico necessario all’adozione di uno strumento di una tale portata internazionale. Configurare la tratta come un crimine transnazionale ha, comunque, consentito di inserire all’interno dell’impianto normativo anche una serie di misure di protezione142, seppur minoritarie.

In realtà, tale contrasto (tra approccio repressivo e approccio basato sui diritti umani) involge il più ampio tema delle funzioni proprie del diritto penale, che qui non è possibile approfondire. Sia sufficiente rammentare che, secondo Luigi Ferrajoli il diritto penale è uno strumento di tutela dei diritti fondamentali, i quali ne definiscono normativamente gli ambiti e i limiti in quanto beni che non è giustificato offendere né con i delitti né con le punizioni143. In breve, se si volesse adottare un tale approccio

141 Cfr. HATHAWAY J.C., The Human Rights Quagmire of Human Trafficking, cit.

142 Si veda anche: GALLAGHER A. T., The right to an effective remedy for victims of trafficking in

persons: A Survey of International Law and Policy, Paper submitted for the expert consultation

convened by the UN Speciale Rapporteur on Trafficking in Persons, especially women and children, Ms Joy Ngozi Ezeilo on «The right to an effective remedy trafficked persons», Bratislava, Slovakia, 22-23 November 2010.

143 FERRAJOLI L., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza (X ed.), Bari, 2011, pp.

329 e ss. Il corsivo nel testo è dello stesso autore. Si tratta, in breve, di ciò che l’autore intende per «garantismo penale».

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garantista, diventa paradossale sostenere che il diritto penale possa svilupparsi al di fuori di un sistema che non metta al centro i diritti fondamentali delle persone. Vi è sull’altro fronte chi ha criticato la decisione delle Nazioni Unite di concentrarsi sulla tratta di esseri umani piuttosto che sulla schiavitù in tutte le sue forme contemporanee: secondo Hathaway, non più del 3% dei «modern slaves» soddisfa la definizione di trafficking di cui al Protocollo di Palermo144. Secondo questa opinione, il fatto che la definizione del Protocollo non abbia preso in considerazione la stragrande maggioranza dei moderni schiavi, contemplando solo la proibizione di forme che conducono o facilitano la tratta, rappresenterebbe una sostanziale ritirata rispetto alle Convenzioni internazionali già esistenti. Il difetto principale consisterebbe allora nella mancanza, all’interno del Protocollo, di un obbligo di criminalizzazione riguardante la semplice condizione di sfruttamento.

Secondo Anne Gallagher, nonostante la definizione di tratta contenuta nel Protocollo non possa considerarsi perfetta145, considerarlo un documento statico vorrebbe dire fraintendere le intenzioni dei suoi redattori. Parallelamente al mutare del crimine di tratta, l’interpretazione del Protocollo dovrebbe, infatti, evolversi nel senso di far fronte alle nuove sfaccettature del fenomeno.

Come è stato rilevato, la definizione del Protocollo consente di spostare il centro dell’attenzione dalla criminalizzazione del processo di tratta alla criminalizzazione dello sfruttamento, ossia il fine stesso della tratta. Gallagher sostiene, in tal senso, che:

«[…] it is difficult to identify a ‘contemporary form of slavery’ that would not fall

within its [the definition of human trafficking] generous parameters. Because the definition encompasses both the bringing of a person into exploitation as well as the maintenance of that person in a situation of exploitation, it is equally difficult to identify an exploiter who would not be caught within its scope»146.

Non solo, la specifica previsione – tra le azioni – delle condotte di ‘harbouring’ e ‘receipt’ dovrebbe portare ad includere nella definizione di tratta situazioni di

144 HATHAWAY J.C., The Human Rights Quagmire of Human Trafficking, cit., pp. 4-5.

145 Per motivi di raggiungimento del consenso, i redattori del protocollo hanno lasciato

intenzionalmente vaghi gli aspetti chiave della definizione legale di tratta. Cfr. sul punto: GALLAGHER A., Human Rights and the New UN Protocols on Trafficking and Migrant Smuggling:

A Preliminary Analyses, cit., pp. 984-986.

146 GALLAGHER A.,Human Rights and Human Trafficking: Quagmire or Firm Ground - A Response

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sfruttamento nelle quali non vi è stato un precedente trasferimento147: a questo

proposito, Gallagher fa l’esempio di un ambiente di lavoro che muta da accettabile a sfruttamento coercitivo, nel quale le persone coinvolte non sono trasferite in una situazione di sfruttamento, ma sono accolte allo scopo di sfruttamento.

Questa posizione è stata, tuttavia, criticata da chi ritiene che in tal modo tutte le pratiche di sfruttamento incluse nell’elemento dello scopo, tra cui la schiavitù, la servitù e il lavoro forzato dovrebbero essere etichettate come human trafficking, sulla base della sola interpretazione di due azioni (harbouring e receipt)148. Il risultato sarebbe, pertanto, quello di una completa convergenza tra il concetto di tratta e quelli di schiavitù, servitù e lavoro forzato. Una tale interpretazione non terrebbe peraltro conto del contesto internazionale legale nel quale il Protocollo di Palermo è stato adottato, ossia all’interno della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato. Tutti gli obblighi derivanti agli Stati da questa Convenzione sono orientati al contrasto della tratta di esseri umani, al rafforzamento dei controlli alle frontiere e riguardano per lo più movimenti transnazionali, in cui viene in rilievo un attraversamento dei confini. Occorre, dunque, non perdere di vista lo scopo per il quale la definizione di tratta di esseri umani è stata adottata, ossia la standardizzazione del concetto di tratta al fine di facilitare la cooperazione penale internazionale in questa materia149. Il Protocollo non aveva, infatti, certo l’obiettivo di reprimere lo

sfruttamento all’interno degli Stati membri.

È stato sostenuto che uno dei fondamentali problemi di questa definizione è l’attenzione posta al modo (rectius l’azione) che conduce le vittime alla situazione di lavoro forzato o di sfruttamento simile alla schiavitù150.

Un uso della definizione che ponesse eccessivamente l’accento sul movimento potrebbe, infatti, condurre a misure discriminatorie, in quanto priverebbe alcune persone della libertà di movimento, per il solo rischio che possano essere trafficate, mentre escluderebbe dall’ambito applicativo della tratta altre perché soggette a lavoro forzato o pratiche schiavistiche in assenza di un precedente movimento. Ciò, tuttavia, non esclude che tali pratiche possano essere ricondotte ad altri, più specifici, reati.

147 Ivi, pp. 789-814.

148 STOYANOVA V., Human Trafficking and Slavery Reconsidered. Conceptual Limits and States’

Positive Obligations in European Law, cit., p. 38.

149 Ivi, p. 40.

150 WIJERS M., Purity, Victimhood and Agency: Fifteen years of the UN Trafficking Protocol, cit., pp.

70-71. In tal senso cfr. HATHAWAY J.C., The Human Rights Quagmire of Human Trafficking, cit., p. 10.

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Secondo tale ultima prospettiva, dunque, non dovrebbe rilevare tanto il percorso effettuato per arrivare nella situazione di sfruttamento, ma la situazione di sfruttamento in sé. Come rilevato da Vladislava Stoyanova, focalizzarsi sul processo, come azione avvenuta nel passato, devia l’attenzione rispetto alle attuali condizioni di sfruttamento151.

Come è stato efficacemente notato, il trasferimento della persona non è, però, rilevante in quanto tale, ma perché strumentale al condizionamento e all’asservimento della vittima: sradicare la persona dal suo ambiente sociale e dai suoi legami familiari, condurla in un ambiente estraneo e spesso ostile, costringerla all’isolamento linguistico e culturale significa accrescerne la vulnerabilità e privarla della possibilità di contare su qualunque tipo di aiuto152.

Il rapporto dell’UNODC del 2016153 affronta proprio questo peculiare legame tra displacement e vulnerability che caratterizza le attuali forme di tratta di esseri umani. Prendendo in considerazione la situazione di chi scappa dalle persecuzioni e dai conflitti, l’UNODC sottolinea come il processo di tratta inizi proprio nel Paese di asilo dove le persone si sono trasferite per ottenere protezione: in queste situazioni, infatti, i trafficanti si avvantaggiano della vulnerabilità derivante dallo spostamento.

Il problema relativo alla necessità o meno del ‘movimento’ all’interno del fenomeno della tratta appare, peraltro, fortemente ridimensionato dalle considerazioni del Global Report on Trafficking in Persons dell’UNODC del 2018, secondo cui oggi si assiste ad una netta prevalenza della tratta interna o ‘domestica’ rispetto a quella transnazionale154. Il 58% delle vittime sono infatti oggetto di tratta all’interno del proprio Paese e il 28% all’interno della propria sub-regione (ad esempio tra i Paesi del Nord America o all’interno dell’Africa Sub-Sahariana).

Secondo l’UNODC, ciò potrebbe essere dovuto in parte ad un generale rafforzamento dei controlli alle frontiere per quanto riguarda i Paesi che sono tipicamente oggetto di

151 STOYANOVA V., Human Trafficking and Slavery Reconsidered. Conceptual Limits and States’

Positive Obligations in European Law, cit., pp. 310 e ss.

152 GIAMMARINARO M.G., Il Protocollo sulla tratta degli esseri umani, in ROSI E. (a cura di),

Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano. La convenzione ONU di Palermo,

cit., p. 421.

153 UNODC, Global Report on Trafficking in Persons 2016, United Nations, New York, 2016, p. 61,

reperibile al sito: https://www.unodc.org/documents/data- andanalysis/glotip/2016_Global_Report_on_Trafficking_in_Persons.pdf

154 UNODC, Global Report on Trafficking in Persons 2018, United Nations, New York, 2018, p. 41,

reperibile al sito http://www.unodc.org/documents/data-and- analysis/glotip/2018/GloTIP2018_BOOKLET_2_Conflict.pdf. In realtà, si tratta di una considerazione già presente nel rapporto precedente (2016).

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tratta transnazionale; per i Paesi di origine, invece, il miglioramento dei controlli alle frontiere potrebbe aver comportato l’intercettazione di un maggior numero di vittime durante il processo di trasferimento all’estero. Tale aumento potrebbe però essere spiegato anche in termini di un aumento della consapevolezza tra le autorità dell’esistenza della tratta interna ovvero in termini di estensione giurisprudenziale della definizione di tratta.

Invero, il fatto che il numero delle vittime di tratta più significativo a livello mondiale sia quello delle vittime di tratta domestica

«also shows trafficking is rooted in the exploitation of victims, and not necessarily

their movement, although victims detected in their own countries may have been destined for exploitation elsewhere»155.

Si tratta di una presa di posizione estremamente significativa, perché radica la tratta sullo sfruttamento della vittima a prescindere dal fatto che vi sia stato un movimento, invitando esplicitamente gli Stati a prendere progressiva consapevolezza dell’aumento della natura nazionale del problema della tratta.