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La tratta di esseri umani nella giurisprudenza della Corte europea dei diritt

4. La distinzione tra tratta e schiavitù: nuovi spunti per un antico dibattito

4.3. La tratta di esseri umani nella giurisprudenza della Corte europea dei diritt

Il secondo caso di applicazione dell’art. 4 da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, a differenza della vicenda Siliadin, si è posto più in linea con la Convenzione del 1926 e con la giurisprudenza del Tribunale penale Internazionale dell’Ex-Iugoslavia nel caso Kunarac248.

Si tratta della prima sentenza ad affrontare, e a ricondurre sotto l’art. 4 della CEDU, il fenomeno della tratta di esseri umani.

245 Cfr. SCARPA S., Contemporary forms of slavery, cit.

246 Cfr. sul punto anche: BRHANE M.O., Trafficking in Persons for Ransom and the Need to Expand

the Interpretation of Article 3 of the UN Trafficking Protocol, in Anti-Trafficking Review, 2015, 4, p.

134, reperibile sul sito www.antitraffickingreview.org

247 Si veda: GIAMMARINARO M.G., La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e repressione della

tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, cit., p. 17.

248 CHAUDARY S., Trafficking in Europe: an Analysis of the Effectiveness of European Law, in

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Nel caso Rantsev c. Cipro e Russia249, il ricorrente è il padre di una giovane ragazza

russa (Rantseva) che si era recata a Cipro con un visto da artista per lavorare come ballerina in un locale notturno. Dopo pochi giorni si allontanò dalla casa dove abitava, e il datore di lavoro la denunciò per ritorsione alla polizia. Una volta convocata dalla polizia, la ragazza venne rimandata a casa insieme al datore di lavoro ma durante la notte la ragazza morì in circostanza mai chiarite.

In ordine all’art. 3 della CEDU, la Corte non ha ritenuto sussistente la violazione in quanto non vi era alcuna prova che la ragazza fosse mai stata sottoposta a trattamenti inumani o degradanti prima del suo decesso. La Corte precisa a tal proposito che, in assenza di allegazioni specifiche di trattamenti inumani o degradanti, se la vittima fosse stata sottoposta a tali trattamenti, questi sarebbero intrinsecamente legati alla tratta e allo sfruttamento allegato. Pertanto, conclude che non è necessario esaminare separatamente la denuncia sotto il profilo dell’art. 3, ma che le questioni sollevate dal contesto devono essere inquadrate unicamente sotto quello dell’art. 4.

Quest’ultima considerazione, sebbene non abbia un peso rilevante per la decisione del caso esaminato dalla Corte, sembra aprire alla possibilità che la tratta e lo sfruttamento possano rilevare anche sotto il profilo dell’art. 3, e non solo sotto quello dell’art. 4. Si tratta di una prima apertura alla riconduzione del fenomeno della tratta sotto l’art. 3, che è stata ribadita più recentemente, come si vedrà, anche nel caso J. e altri c. Austria. Sull’applicazione dell’art. 4 al caso di specie, la Corte precisa, innanzitutto, che tale disposizione non menziona la tratta di esseri umani, e ciò in quanto la CEDU, nel momento della sua emanazione si ispirò alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che non fa menzione della tratta di esseri umani in quanto tale, ma unicamente della tratta degli schiavi250. Allo stesso tempo, i giudici affermano però che la CEDU è un testo che richiede un’interpretazione evolutiva, che tenga conto dei fenomeni più attuali. La tratta rappresenta, infatti, un fenomeno che si è sviluppato a livello mondiale in maniera significativa, ed in Europa è stata in gran parte facilitata dal crollo del blocco comunista.

Secondo la Corte, per il fatto stesso della sua natura e del suo scopo, consistente nello sfruttare altre persone, la tratta di esseri umani riposa sull’esercizio dei poteri che si collegano al diritto di proprietà. In questo sistema, gli esseri umani sono trattati come

249 Corte europea dei diritti dell’uomo, Rantsev c. Cipro e Russia, cit.

250 Art. 4, Dichiarazione Universale dei diritti umani: «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato

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dei beni che si possono vendere e comprare e sono sottomessi a lavoro forzato, che esercitano spesso per poco o nulla denaro.

Questo inciso sembra, dunque, configurare la tratta di esseri umani come forma moderna del commercio degli schiavi. Si tratta di una precisazione che, in qualche modo, rappresenta un passo indietro rispetto agli sforzi compiuti sia a livello internazionale che a quello del Consiglio d’Europa per sganciare la tratta dalla schiavitù e ampliarne il raggio di applicazione.

Dopo aver precisato che la tratta comporta una lesione della dignità umana e delle libertà fondamentali delle sue vittime, in ordine all’obbligo di interpretare la Convenzione alla luce del mutato contesto attuale, la Corte prosegue nel suo ragionamento, precisando come non ritenga necessario determinare se i trattamenti oggetto delle denunce del ricorrente costituiscano schiavitù, servitù o lavoro forzato o obbligatorio. I giudici di Strasburgo si limitanto, infatti, ad asserire che la tratta, così come definita dal Protocollo di Palermo e dalla Convenzione di Varsavia, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 4, dal quale discendono una serie di obblighi per gli Stati che non comprendono esclusivamente la necessità di porre in essere un sistema legislativo adeguato a fronteggiare la schiavitù, la servitù, e il lavoro forzato o obbligatorio ma anche la tratta di esseri umani.

Letto, dunque, l’art. 4 alla luce del quadro normativo internazionale, che impone un approccio globale al fenomeno della tratta di esseri umani, sugli Stati ricade altresì, in certe circostanze, l’obbligo di proteggere le vittime effettive o potenziali della tratta di esseri umani.

In applicazione di questi principi, la Corte ritiene che il sistema legislativo cipriota, non avendo offerto alla vittima un’adeguata protezione dalla tratta e dallo sfruttamento, abbia in tal modo integrato una violazione dell’art. 4 della CEDU. Nel caso concreto, infatti, la polizia cipriota avrebbe commesso una serie di errori, tra i quali, quello di non aver verificato immediatamente se la ragazza fosse stata vittima di tratta, e quello di non aver posto in essere le misure di protezione previste dalla legislazione nazionale. La mancata identificazione deriverebbe, in particolare, dal mancato rispetto dell’obbligo – previsto dall’art. 19 del Protocollo di Palermo sul trafficking – di addestrare le proprie forze di polizia a confrontarsi con il fenomeno della tratta251.

251 Cfr. altresì: ANNONI A., La tratta di donne e bambine nella recente giurisprudenza della Corte

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La questione degli obblighi imposti dalla Convenzione in riferimento alle misure operative di protezione era già stata affrontata dalla Corte di Strasburgo nel caso Osman c. Regno Unito252, da cui traggono origine gli standard di tutela del c.d. Osman test. Secondo tale test, perché eventuali obblighi positivi possano ritenersi esigibili nei confronti delle autorità nazionali in un caso specifico, deve essere verificato che le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere in un dato momento che una determinata persona era minacciata in maniera reale ed imminente nella sua vita e deve essere constatato che tali autorità non abbiano adottato, nell’ambito dei loro poteri, le misure che, in base a un giudizio di ragionevolezza, avrebbero ovviato a tale rischio.

Nel caso Rantsev, la Corte aggiunge un ulteriore elemento all’Osman test: affinché sorga un obbligo positivo di porre in essere delle misure di protezione occorre verificare se vi fossero le circostanze per dar vita ad un credibile sospetto. La Corte non specifica quali dovrebbero essere gli standard di questo credibile sospetto, tuttavia, tale inciso sembra proprio richiamare la Convenzione sulla lotta contro la tratta di esseri umani del Consiglio d’Europa che impone l’adozione di una serie di misure di protezione quanto le competenti autorità hanno ragionevoli motivi di credere che una persona sia stata vittima di tratta253.

Sebbene la Corte, dunque, non espliciti da dove tragga questo elemento è evidente l’influenza esercitata dalla Convenzione di Varsavia, adottata solo pochi anni prima254. Peraltro, parlando di credibile sospetto la Corte sembra andare oltre la

suddetta Convenzione e richiedere uno standard inferiore per l’applicazione di misure di protezione, preconizzando in qualche modo quanto sarà previsto da lì ad un anno dalla Direttiva 2011/36/UE255.

Le statuizioni della Corte con riferimento alle violazioni poste in essere dal sistema di Cipro attengono, dunque, essenzialmente alle carenze relative al sistema di identificazione delle vittime di tratta ed, in particolare, al mancato rispetto da parte della legislazione dell’obbligo, previsto dall’art. 10 del Protocollo di Palermo di

252 Corte europea dei diritti dell’uomo, Osman c. Regno Unito, sentenza del 28 ottobre 1998.

253 Art. 10, par. 2, CEDU: «(...) Ciascuna delle Parti si assicura che, se le autorità competenti hanno

ragionevoli motivi per credere che una persona sia stata vittima della tratta di esseri umani, quella persona non venga allontanata dal proprio territorio finché la procedura d’identificazione, che la vede vittima di un reato previsto dall’articolo 18 della presente Convenzione, sia stata completata dalle autorità competenti e si assicura che la persona riceva l’assistenza di cui all’articolo 12, commi 1 e 2».

254 Cfr. STOYANOVA V., Dancing on the Borders of Article 4. Human Trafficking and the European

Court of Human Rights in the Rantsev case, in Netherlands Quarterly of Human Rights, 2012, 30(2),

pp. 192-193.

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addestrare le proprie forze di polizia a confrontarsi con il fenomeno della tratta256,

nonché con le previsioni della Convenzione di Varsavia sull’identificazione delle vittime di tratta. In effetti, secondo la Corte, proprio la condotta tenuta dagli agenti di polizia ciprioti è ciò che non ha consentito di identificare la giovane donna come vittima di tratta e, dunque, ha permesso di riconsegnare la vittima ai propri aguzzini. Per quanto riguarda la Russia, la Corte ha ritenuto, invece, che le circostanze del caso di specie non avvessero fatto nascere un obbligo positivo per le autorità russe di prendere delle misure positive per proteggere la ragazza.

La sentenza della Corte ha sollevato una serie di critiche per aver mancato nello sforzo di un’adeguata distinzione tra la tratta di esseri umani e la schiavitù257.

Secondo Jean Allain, in particolare, la Corte avrebbe mancato di cogliere la vera natura della previsione di cui all’art. 4 della CEDU, che è lo sfruttamento degli esseri umani. La Corte estende l’ambito di applicazione dell’art. 4 senza, tuttavia, ritenere necessario individuare nel caso di specie sotto quale situazione, tra quelle specificamente menzionate dall’art. 4, rientri il caso della Rantseva. Nel momento in cui la Corte afferma che la «tratta di esseri umani riposa sull’esercizio di poteri che si collegano al diritto di proprietà», sembra, però, affermare che la tratta è basata sulla schiavitù, in quanto la definizione utilizzata corrisponde alla stessa contemplata dalla Convenzione del 1926258. Così statuendo, la Corte sembra avvalorare la percezione

internazionalmente condivisa della tratta come «modern form of the old worldwide slave trade»259.

Le considerazioni della Corte appaiono, allora, riproporre un vecchio paradigma normativo secondo cui la definizione di tratta di esseri umani nasce e sviluppa nel medesimo contesto di quella relativa alla schiavitù. Le conclusioni della sentenza non sembrano, infatti, prendere adeguatamente in considerazione gli sforzi effettuati dal Protocollo di Palermo per giungere ad una definizione esplicativa della tratta di esseri umani che per la prima volta si emancipasse dal concetto di schiavitù. Sebbene la Corte non si avventuri in una completa sovrapposizione dei due concetti omette di

256 ANNONI A., La tratta di donne e bambine nella recente giurisprudenza della Corte europea dei

diritti dell’uomo, cit., 2011, 16, pp. 96-97.

257 ALLAIN J., Rantsev v. Cyprus and Russia. The European Court of Human Rights and Trafficking

as Slavery, in Human Rights Law Review, 2010, 10, 3, pp. 546-557.

258 Dello stesso parere Vladislava Stoyanova: STOYANOVA V., Irregular Migrants and the

Prohibition of Slavery, Servitude, Forced Labour & Human Trafficking under Article 4 of the ECHR,

26 aprile 2017, reperibile al sito: https://www.ejiltalk.org/irregular-migrants-and-the-prohibition-of- slavery-servitude-forced-labour-human-trafficking-under-article-4-of-the-echr/.

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spiegare in che modo la tratta di esseri umani rientri sotto l’ambito applicativo dell’art. 4 della CEDU, se non collegando tale nozione a quella di schiavitù; ciò lo si evince anche dal passaggio in cui si dice che la tratta può essere definita come una forma attuale del commercio di schiavi.

Quello della Corte sembrerebbe, allora, un escamotage per analizzare il caso sotto il profilo dell’art. 4 della CEDU, più che una chiara presa di posizione circa i rapporti tra tratta di esseri umani e schiavitù.

Tra le critiche che hanno colpito la sentenza in commento, riguardanti la mancata concettualizzazione della tratta260, si leva anche la voce di Vladislava Stoyanova, secondo cui la Corte avrebbe potuto utilizzare l’argomento della schiavitù, non sovrapponendolo al concetto di tratta, ma valorizzando, da una parte, il meccanismo del visto per artisti che comporta il deposito bancario da parte dei managers che vogliono portare degli artisti a Cipro: tale deposito, infatti, induce i managers a comportarsi come se fossero proprietari degli artisti che fanno venire a Cipro261. Dall’altra parte, tra i poteri legati all’esercizio del diritto di proprietà di cui alla Convenzione del 1926, si sarebbe potuto valorizzare quello dello spostamento nello spazio della Rantseva.

In realtà, l’autrice, più che porsi in contrapposizione con gli esiti della sentenza, sembra inserirsi nel solco già tracciato dalla Corte che, per far rientrare la tratta di esseri umani nell’art. 4 della CEDU, la assimila al concetto di schiavitù.

A parere di chi scrive, gli elementi valorizzati da Stoyanova potrebbero, allo stesso tempo, rilevare anche sotto il profilo della tratta di esseri umani: sia per lo spostamento che per il deposito bancario, il quale sembra avere degli elementi collimanti con l’ipotesi del debt bondage.