• Non ci sono risultati.

La Direttiva 2009/52/CE e le sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che

5. La tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo

5.2. La Direttiva 2009/52/CE e le sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che

Sul fronte europeo, uno strumento di prevenzione della tratta di esseri umani si rinviene nell’adozione della direttiva 2009/52/CE che, nelle intenzioni del legislatore unionale, avrebbero dovuto scoraggiare la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Si aggiunga, a tal proposito, che la lotta al traffico di esseri umani a livello di Unione europea si è andata proprio sviluppando congiuntamente ad una politica europea di controllo sugli ingressi derivanti dai flussi migratori, poiché quest’ultima è considerata un’interfaccia necessaria nelle politiche repressive del crimine organizzato transnazionale.

La direttiva in questione si propone, in particolare, di predisporre una serie di misure per un efficace contrasto dello sfruttamento di lavoratori di Paesi terzi privi di titolo di soggiorno, imponendo agli Stati di configurare come reato i casi in cui l’assunzione dello straniero irregolare sia accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento, definite come quelle condizioni, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi sia una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide ad esempio sulla salute o sicurezza della persona.

Si tratta dell’unico strumento normativo europeo adottato nella lotta allo sfruttamento lavorativo che, tuttavia, oltre a prendere in considerazione il fenomeno solo quando

life, fair treatment in employment, safe work environment, social protection, social dialogue and workplace relations, and the economic and social context of decent work».

277 RIJKEN C., Trafficking in Human Beings for Labour Exploitation: Cooperation in an Integrated

111

lo stesso riguardi un cittadino di un Paese terzo non in regola con le norme relative al soggiorno dello Stato membro, risulta costruito meramente in chiave sanzionatoria e repressiva, attraverso la previsione di numerose sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, finalizzate per lo più – se non esclusivamente – a scoraggiare l’immigrazione irregolare nell’Unione europea, escludendo dal raggio di azione i cittadini comunitari e gli stranieri in posizione regolare vittime di fenomeni di sfruttamento.

Tale finalità è, peraltro, manifestata dallo stesso preambolo della direttiva 2009/52/CE che al considerando n. 2 precisa che

«un fattore fondamentale di richiamo dell’immigrazione illegale nell’Unione

europea è la possibilità di trovare lavoro pur non avendo lo status giuridico richiesto» con la conseguenza che è ritenuto opportuno «che l’azione contro l’immigrazione e il soggiorno illegali comporti misure per contrastare tale fattore di richiamo».

In particolare, la direttiva impone agli Stati un obbligo di criminalizzazione laddove l’assunzione di cittadini di Paesi terzi avvenga in particolari circostanze:

«a) la violazione prosegue oppure è reiterata in modo persistente; b) la violazione

riguarda l’impiego simultaneo di un numero significativo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; c) la violazione è accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento; d) la violazione è commessa da un datore di lavoro che, pur non essendo accusato o condannato per un reato di cui alla decisione quadro 2002/629/GAI, ricorre al lavoro o ai servizi del un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare nella consapevolezza che lo stesso è vittima della tratta di esseri umani; e) la violazione riguarda l’assunzione illegale di un minore».

Ciò che preme sottolineare è che, al punto d), la direttiva impone agli Stati membri di comminare sanzioni penali al datore di lavoro che ricorre al lavoro e ai servizi della vittima di tratta. Tale disposizione è formulata, chiaramente, in termini obbligatori e conferma quella intenzione delle Istituzioni dell’UE di predisporre, con la direttiva 2009/52/CE, adeguate misure, oltre che per scoraggiare l’immigrazione irregolare, anche volte a prevenire la tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo. Questa previsione, passata decisamente in sordina nel 2009, non trova adeguato coordinamento con quanto verrà disposto – solo due anni dopo – con la direttiva

112

2011/36/UE che, abrogando e sostituendo la decisione quadro 2002/629/GAI, ha previsto, in termini del tutto facoltativi, la possibilità di adottare misure affinché costituisca reato la condotta di chi ricorre ai servizi di una persona che è vittima di tratta278.

Considerato che la direttiva 2009/52/CE è tuttora in vigore e non risulta essere stata abrogata da nessun altro atto successivo, una simile incongruenza tra queste disposizioni non potrà che essere risolta affermando che, quanto meno nelle ipotesi di sfruttamento lavorativo, la criminalizzazione del datore di lavoro che ricorre al lavoro o ai servizi della vittima di tratta debba intendersi obbligatoria, comunitariamente necessaria, e non rimessa alla libera valutazione degli Stati.

Come si è accennato, la direttiva 2009/52/CE fornisce, altresì, un’apposita definizione delle «condizioni lavorative di particolare sfruttamento», specificando che per esse si intende

«condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di

altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana»279.

Il richiamo, in via comparativa, alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti regolarmente consente, con tutta evidenza, una certa discrezionalità agli Stati membri nel determinare i contenuti essenziali dello sfruttamento lavorativo, anche in virtù delle differenti sensibilità nazionali rispetto al fenomeno. Dall’altro lato, il riferimento – ancora una volta – alla dignità umana segna uno standard minimo di tutela comune alle tradizioni costituzionali europee, la cui centralità nel sistema europeo si rinviene, innanzitutto, nell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea280.

Sebbene la direttiva si preoccupi di prevedere alcune tutele nei confronti del lavoratore irregolare, quali il pagamento delle retribuzioni arretrate e dei contributi previdenziali, le stesse appaiono, nel complesso dell’intervento legislativo, del tutto

278 Art. 18, par. 4, Direttiva 2011/36/UE, cit.: «Per far sì che la prevenzione e il contrasto della tratta

di esseri umani diventino più efficaci scoraggiando la domanda, gli Stati membri valutano la possibilità di adottare misure che dispongano che costituisca reato la condotta di chi ricorre consapevolmente ai servizi, oggetto dello sfruttamento di cui all’articolo 2, prestati da una persona che è vittima di uno dei reati di cui al medesimo articolo».

279 Art. 2, lett. i), Direttiva 2009/52/CE, cit.

280 Art. 1, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea «La dignità umana Ł inviolabile. Essa

113

insufficienti: in effetti, queste rivelano, ad un’attenta lettura, il reale intento di dissuadere il datore di lavoro dall’assumere cittadini in condizione irregolare sotto la minaccia di pesanti sanzioni economiche, anziché di tenere indenne il lavoratore sfruttato. Sotto questo profilo, è opportuno sottolineare che la direttiva impone agli Stati membri di addebitare al datore di lavoro anche il pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, legando di fatto della sanzione del datore di lavoro all’allontanamento dello straniero dal territorio europeo.

L’approccio sostanzialmente repressivo della direttiva 2009/52/CE si contrappone, come vedremo meglio tra poco, a quello protettivo della direttiva 2011/36/UE, che incentrando il disvalore della fattispecie di tratta di esseri umani sullo sfruttamento, amplia il suo campo di applicazione anche alle ipotesi in cui i lavoratori sfruttati sono cittadini di Paesi terzi in regola con le norme relative al soggiorno o cittadini dell’Unione europea e contempla numerose disposizioni idonee ad assicurare una tempestiva protezione e assistenza per le (anche solo presunte) vittime di tratta. Questa contrapposizione è, peraltro, evidente proprio per il diverso approccio dimostrato nei confronti della condotta di chi ricorre ai servizi della vittima di tratta, perché nella direttiva del 2009 si prevede un obbligo di criminalizzazione, mentre in quella del 2011 la punibilità è rimessa alla valutazione discrezionale degli Stati.

5.3. La tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo nella