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La Decisione quadro 2002/629/GAI e la Direttiva 2004/81/CE

2. Gli sviluppi in ambito comunitario

2.1. La Decisione quadro 2002/629/GAI e la Direttiva 2004/81/CE

I primi anni del nuovo millennio hanno costituito l’occasione per l’adozione di nuovi strumenti di contrasto alla tratta di esseri umani anche in seno alla Unione europea. Nel precedente capitolo, ci eravamo interrotti all’analisi dell’Azione comune 97/154/GAI, le cui note critiche si sostanziavano nell’essere la stessa ancora strettamente legata ad una concezione di tratta finalizzata unicamente allo sfruttamento sessuale e alla prostituzione, nonché nel prevedere una protezione delle vittime solo ‘incidentale’ rispetto all’accertamento delle responsabilità penali, mediante il rilascio di un permesso di soggiorno in cambio della collaborazione giudiziaria.

L’adozione da parte delle Nazioni Unite del Protocollo sul trafficking, unitamente al fatto che il 1° maggio del 1999 era entrato in vigore il Trattato dell’Unione europea firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, condusse le Istituzioni europee a rivedere i propri atti normativi in materia di tratta di esseri umani.

158 CARLING J., GALLAGHER A. T. e HORWOOD C., Beyond Definitions, Regional Mixed

Migration Secretariat, cit. Gli autori evidenziano come il limite della distinzione legale tra migrant smuggling e human trafficking. Molti migranti che finiscono in una situazione di tratta sono prima

‘trafficati’ attraverso i confini nazionali: «smugglers are increasingly taking on the role of trafficker:

using their clients for extortion, compelling them into situations of sexual enslavement; selling them for forced labour. Even when they have paid for their journey, migrants can remain in debt to those who founded their trip, makin them highlt vulnerable to exploitation in the country of destination».

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Occorre dar conto che con la firma del nuovo Trattato, l’Unione europea ottenne la possibilità di utilizzare lo strumento normativo delle decisioni quadro, atti simili alle direttive ma privi della idoneità a produrre effetti diretti.

Proprio nell’ottica di andare verso una maggiore armonizzazione delle legislazioni nazionali, in ordine alle sanzioni penali da comminare e alla necessità di stabilire definizioni comuni del fenomeno in ambito comunitario e all’interno dei diversi Stati membri, nel luglio 2002 venne adottata la Decisione quadro 2002/629/GAI159. Per molti l’iniziativa di una decisione quadro avrebbe fornito l’opportunità perfetta per l’UE di dimostrare l’impegno, spesso dichiarato, di voler proteggere i diritti delle vittime della tratta e delle loro famiglie, così come quello di affrontare le cause alla base del movimento e della domanda che lo nutre160. Nonostante l’incoraggiamento proveniente da una vasta gamma di agenzie e organizzazioni, la decisione quadro del 2002 non accolse tale sfida.

Il risultato fu uno strumento che, da un lato, dimostrò di essere enormemente influente nel garantire la massima uniformità tra gli Stati membri per quanto riguarda tale forma di crimine161, dall’altro, in tema di diritti delle vittime e prevenzione della tratta, la decisione quadro offrì molto poco e, in effetti, può essere vista come un sostanziale arretramento rispetto agli impegni precedenti dell’Unione europea, come quelli contenuti nell’Azione comune sulla tratta di esseri umani del 1997 che fu abrogata per effetto dell’entrata in vigore della decisione quadro.

Essa rappresentò, peraltro, un passo indietro anche rispetto allo stesso Protocollo di Palermo, che comunque prevede una serie di norme relative all’assistenza e alla protezione delle vittime, seppure in via meramente opzionale, nonché ai principi e linee guide adottati dall’Alto Commissariato per i diritti umani.

159 Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri

umani, in GUCE L 203 del 1° agosto 2002. Si rammenta che prima di questa decisione, 19 maggio del 2000, il Comitato dei Ministri del Consiglio europeo adottò una raccomandazione sulla tratta che includeva la seguente definizione di trafficking: «the procurement by one or more natural or legal

persons and/or the organisation of the exploitation and/or transport or migration – legal or illegal – of persons, even with their consent, for the purpose of their sexual exploitation, inter alia, by means of coercion, in particular violence or threats, deceit, abuse of authority or a position of vulnerability»,

Raccomandazione n. (2000) 11.

160 Cfr. GALLAGHER A., Recent Legal Developments in the Field of Human Trafficking, in European

Journal of Migration and Law, 2006, 8, pp. 163 e ss. e GALLAGHER A.T., The international law of human trafficking, cit., p. 99.

161 La decisione quadro richiese l’adozione di disposizioni comuni su scala europea relative alla

definizione di fattispecie criminose, sanzioni, circostanze aggravanti, competenza e condizioni di estradizione.

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La definizione di tratta della decisione quadro accolse gli elementi fondamentali di quella contenuta nel Protocollo di Palermo162, riconoscendola come un reato contro la

persona a scopo di sfruttamento163.

La condotta di tratta di esseri umani, descritta nella decisione quadro, riguardava qualsiasi forma di reclutamento, trasporto, trasferimento, il dare ricovero alla persona e la successiva accoglienza finalizzata allo sfruttamento di manodopera o sessuale, con l’utilizzo di determinati mezzi. In particolare, il consenso della vittima si considerava irrilevante quando si fosse riscontrato l’uso di coercizione, violenza o minaccia, compreso il rapimento, l’uso di inganno o fronde, l’abuso di autorità o di una posizione di vulnerabilità ovvero l’offerta di pagamenti o benefici.

A differenza del Protocollo di Palermo, scomparve ogni riferimento al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e alla transnazionalità del crimine. Tale scelta fu accolta con favore, poiché confermava la volontà in seno alla Unione europea di non volere aderire allo stereotipo della tratta di esseri umani164.

Fu, inoltre, punita la partecipazione alla tratta, più o meno indiretta, quando la stessa si fosse identificata nelle azioni di istigazione, favoreggiamento, complicità e tentativo165.

In ordine alle pene, la decisione non definì un minimo e un massimo edittale, ma impose agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché adottassero sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive. Occorre, tuttavia, sottolineare che fu previsto, in certi casi166, l’obbligo di adottare una pena non inferiore nel massimo

162 Art. 1, par. 1, Decisione 2002/629/GAI, cit.: «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie

affinché i seguenti atti siano puniti come reato: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento di una persona, il darle ricovero e la successiva accoglienza, compreso il passaggio o il trasferimento del potere di disporre di questa persona, qualora: a) sia fatto uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento; oppure b) sia fatto uso di inganno o frode; oppure c) vi sia abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità tale che la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima; oppure d) siano offerti o ricevuti pagamenti o benefici per ottenere il consenso di una persona che abbia il potere di disporre di un’altra persona a fini di sfruttamento del lavoro o dei servizi prestati da tale persona, compresi quanto meno il lavoro o i servizi forzati o obbligatori, la schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù o alla servitù oppure a fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell’ambito della pornografia».

163 Considerando n. 3, Decisione 2002/629/GAI, cit.: «La tratta degli esseri umani costituisce una

grave violazione dei diritti e della dignità dell’uomo e comporta pratiche crudeli quali l’abuso e l’inganno di persone vulnerabili, oltre che l’uso di violenza, minacce, sottomissione tramite debiti e coercizione».

164 KRIEG S.H., Trafficking in Human Beings: The EU Approach between Border Control, Law

Enforcement and Human Rights, cit., p. 779.

165 Art. 2, Decisione 2002/629/GAI, cit.

166 Ai sensi dell’art. 3, gli Stati dovevano rendere punibili tali reati con la pena della reclusione in

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ad otto anni: tra questi, vi rientrò l’ipotesi in cui il reato fosse stato commesso contro una vittima particolarmente vulnerabile. Quest’ultima fu considerata tale quando:

«non [avesse] raggiunto l’età della maturità sessuale ai sensi della legislazione

nazionale e quando il reato [fosse] stato commesso ai fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell’ambito della pornografia»167.

Tale indicazione destò, inevitabilmente, alcune perplessità, in quanto in primo luogo non si comprese perché si includesse, ai fini dell’operare della circostanza aggravante, una vulnerabilità rivolta unicamente allo sfruttamento sessuale e non anche inclusiva di altre tipologie di sfruttamento, in special modo quello lavorativo. In secondo luogo, apparve del tutto incongra – di fronte al tentativo di armonizzazione operato con la decisione – la specificazione che per «minore» si dovesse intendere «qualsiasi persona di età inferiore ai diciotto anni», facendo, al contempo, un sostanziale rinvio ai singoli sistemi nazionali per stabilire il periodo iniziale della maturità sessuale. È opportuno, comunque, evidenziare che tale nozione di vulnerabilità, per così dire soggettivizzata, nel senso di riferita a singole specificità soggettive di alcuni soggetti, si contrappone alla definizione di «abuso di una posizione di vulnerabilità» contenuta nella definizione del reato di cui all’art. 1168. Si tratta della medesima definizione presa

in considerazione durante i lavori preparatori del Protocollo di Palermo che, al contrario di quanto detto sinora, contempla un nozione in termini oggettivi della vulnerabilità, non riferita o legata dunque alle condizioni personali di un individuo ma ad una situazione in cui potrebbe ritrovarsi qualunque persona.

Gli aspetti di maggior innovazione nella decisione quadro in commento sono probabilmente le norme che estendono compiutamente la responsabilità civile e penale per i reati di tratta anche alle persone giuridiche, richiedendo al contempo agli Stati la fissazione di sanzioni adeguate169.

in pericolo la vita della vittima, qualora fosse stato commesso contro una vittima particolarmente vulnerabile oppure ricorrendo a violenza grave o avesse provocato un danno particolarmente grave alla vittima e, infine, qualora il reato rientrasse tra le attività di un’organizzazione criminale.

167 Art. 3, par. 2, lett. b), Decisione 2002/629/GAI, cit.

168 Art. 1, par. 1, lett c.), Decisione 2002/629/GAI, cit.: «(…) vi sia abuso di potere o di una posizione

di vulnerabilità tale che la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima».

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Rispetto a quanto detto sin qui, è evidente che la decisione quadro si concentrò quasi esclusivamente sulla necessità di ricostruire un nucleo di previsioni penali in grado di criminalizzare una vasta gamma di reati connessi alla tratta, anche qualora commessi da persone giuridiche.

In effetti, l’atto trascurò, se non tralasciò del tutto, di disciplinare la protezione di cui le vittime della tratta avrebbero dovuto beneficiare nello Stato Membro: soltanto un articolo di questa decisione concerne la protezione e l’assistenza alle vittime, mentre le sole due previsioni sostanziali sul punto riguardano, entrambe, unicamente i minori170.

Numerose critiche furono mosse alla decisione 2002/629/GAI per la mancata introduzione di un sistema adeguato di protezione dei diritti e degli interessi delle vittime, nonché per l’assenza di previsioni in materia di rimpatrio, di prevenzione e contenimento del fenomeno criminale in questione171.

La battuta d’arresto dell’Unione europea rispetto ai diritti delle vittime avvenuta con la decisione 2002/629/GAI fu possibile in parte attraverso le vaghe ma frequenti promesse delle istituzioni europee172, secondo cui queste questioni sarebbero state

170 Art. 7, Decisione 2002/629/GAI, cit.: «Gli Stati membri dispongono che le indagini o l’azione

penale relative a reati contemplati dalla presente decisione quadro non dipendano da una denuncia o accusa formulate da una persona oggetto del reato in questione, almeno nei casi in cui si applica l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a). I bambini che siano vittime di un reato di cui all’articolo 1 dovrebbero essere considerati vittime particolarmente vulnerabili ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, dell'articolo 8, paragrafo 4 e dell'articolo 14, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Se la vittima è un minore, ciascuno Stato membro adotta tutte le misure in suo potere per garantire un'appropriata assistenza alla sua famiglia. In particolare, ciascuno Stato membro, se possibile ed opportuno, applica alla famiglia in questione l'articolo 4 della decisione quadro 2001/220/GAI».

171 RIJKEN C., The External Dimension of EU Policy on Trafficking in Human Beings, in CREMONA

M., MONAR J. e POLI S. (eds.), The External Dimension of the European Union’s Area of Freedom,

Security and Justice, P.I.E. Peter Lang, 2011, p. 212.

172 Risoluzione del Parlamento europeo A2-52/89 del 14 aprile 1989, GU C 120 del 16.05.1989, pp.

352 e ss. specialmente il punto 8.2; risoluzione del Parlamento europeo B3-1264, 1283 e 1309/93 del 16 settembre 1993, GU C 268 del 4.10.1993, pp. 141 e ss., specialmente i punti 2 e 10; risoluzione del Parlamento europeo A4-0326/95 del 18 gennaio 1996, GU C 32 del 5.02.1996, pp. 88 e ss., specialmente il punto 25. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, 20 novembre 1996, COM(96) 567 def. Risoluzione del parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, A4-0372/1997 del 16 dicembre 1997; Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo per ulteriori azioni nella lotta contro la tratta di donne, COM(1998) 726 del 9 dicembre 1998. Dichiarazione ministeriale dell’Aia del 26 aprile 1997. Infine, la proposta legislativa di adozione di una direttiva concernente il rilascio di un titolo di soggiorno alle vittime di tratta venne annunciata nella comunicazione della Commissione su una politica comune in materia d'immigrazione illegale, COM(2001) 672 def., specialmente il punto 4.7.2.

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trattate in un successivo strumento volto a regolare il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per le vittime della tratta173.

Ed in effetti, a tal fine, due anni dopo, venne adottata la direttiva 2004/81/CE174 riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani: tale direttiva, tuttavia, ancora una volta, non realizzò appieno quanto sperato.

Il meccanismo disegnato dalla richiamata direttiva, tuttora vigente per certi aspetti, prevedeva che un titolo di soggiorno venisse rilasciato, solo al termine di un cosiddetto «periodo di riflessione», a seguito del quale lo straniero avesse deciso di accettare di collaborare attivamente alle indagini e sempre che lo Stato avesse valutato, a sua volta, l’opportunità presentata dalla proroga del soggiorno della vittima sul territorio nazionale ai fini delle indagini o del procedimento giudiziario, nonché la rottura di ogni legame con i presunti autori dei reati.

La direttiva stabilì, comunque, che durante il periodo di riflessione fossero assicurate alle vittime risorse sufficienti a garantire un livello di vita in grado di permettere la sussistenza e l’accesso alle cure mediche urgenti, nonché per aiutarle a ritrovare l’autonomia materiale e psicologica. Successivamente al rilascio del permesso di soggiorno, tra le altre previsioni, fu altresì garantito l’accesso a programmi volti a favorire «la ripresa di una vita sociale normale, compresi, eventualmente, corsi intesi a migliorare la loro capacità professionale, oppure la preparazione al ritorno assistito nel paese di origine»175.

Sebbene le misure di assistenza e protezione costituissero un importante passo avanti nella tutela dei diritti delle vittime di tratta, la portata innovatrice della direttiva apparve del tutto vanificata dalla subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno ad un’effettiva e proficua collaborazione giudiziaria, lasciando privi di qualsivoglia tutela coloro che non avessero potuto o non avessero voluto collaborare con le autorità degli Stati membri.

In altre parole, l’approccio adottato rifletteva una scelta opportunistica degli Stati membri, fondata sostanzialmente su un meccanismo premiale, che subordinava la permanenza della vittima sul territorio dell’Unione europea alla cooperazione con le

173 GALLAGHER A. T., The international law of human trafficking, cit., p. 100.

174 Direttiva 2004/81/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare

ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti, in GUUE L 261 del 6 agosto 2004.

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autorità dello Stato nei procedimenti a carico degli autori dei reati di tratta o di favoreggiamento dell’immigrazione illegale176.

Anche nella regolazione dello strumento attraverso il quale l’Unione europea avrebbe potuto assicurare una qualche protezione alle vittime della tratta, l’approccio adottato dalla Commissione, dunque, già nella proposta di direttiva, si rivelò estremamente restrittivo, per aver limitato la concessione di questo tipo di permesso unicamente ai casi di collaborazione delle vittime nelle indagini o più in generale nel procedimento penale.

Già nella proposta della Commissione era evidente, infatti, che lo scopo della direttiva non fosse quello di proteggere le vittime, ma di concedere loro permessi di soggiorno di breve durata, in cambio della loro collaborazione nella fase investigativa e nei procedimenti penali contro i loro presunti trafficanti e sfruttatori177.

L’intento della Commissione risiedeva evidentemente nella volontà di scoraggiare un abuso opportunistico del permesso di soggiorno ovvero nell’intento di evitare di aggravare il problema dell’immigrazione illegale nell’Unione europea178.

Tali obiezioni vennero prese in considerazione solo diversi anni dopo, nel giugno del 2009, quando il Gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani, istituito dalla Commissione nel 2007179, rese nota una dettagliata opinione sulla possibilità di

procedere alla revisione della direttiva in questione, a causa del fatto che il sistema

176 SCARPA S., La tutela dei diritti delle vittime di tratta di esseri umani e il sistema premiale previsto

dalla direttiva comunitaria 2004/81/CE, in Diritto Immigrazione e cittadinanza, 2005, p. 45.

177 Ivi, p. 60. La Commissione europea nel suo memorandum esplicativo dichiarava infatti che: «La

presente proposta di direttiva riguarda un titolo di soggiorno, e ne definisce il regime. A questo titolo, e nei limiti entro i quali alcune disposizioni relative alle condizioni di soggiorno costituiscono misure protettive (a cominciare dal titolo di soggiorno stesso, che de facto “protegge” dall’allontanamento), può sembrare che la presente proposta di direttiva miri a proteggere le vittime. Ma non è così: la presente proposta di direttiva prevedere il rilascio di un titolo di soggiorno e non riguarda la protezione, né dei testimoni né delle vittime. Non è questo il suo obiettivo, né è questo il suo fondamento giuridico» (COM (2002) 71 def. – CNS 2002/0043, in GUCE C 126E del 28 maggio 2002).

178 Il fondamento e la ratio di simile meccanismo trova peraltro conferma in una precedente

dichiarazione dei governi degli Stati Membri, di alcuni Stati terzi e delle Istituzioni europee, preoccupati nella gestione del possibile effetto ‘attrattore’ prodotto dall’eventuale previsione di un permesso di soggiorno per le vittime di tratta: European Conference in Preventing and Combating Trafficking in Human Being, Recommendations, Standards and Best Practices Brussels, in

Declaration on Preventing and Combating Trafficking in Human Beings – Global Challenge for the

21st Century, Brussels, Sept. 18-20, 2002: «The implementation of such a residence permit must be

carefully monitored and evaluated to prevent the incidence of ‘procedure shopping’ whereby the capacity to accommodate and support genuine trafficked victims is eroded by the claims of fraudolent victims».

179 Decisione della Commissione europea del 17 ottobre 2007 che istituisce il gruppo di esperti sulla

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così come configurato rischiava di essere inefficace rispetto agli obiettivi proposti180.

In tale occasione, si affermò che rimettere al centro delle misure nella lotta contro la tratta i diritti umani implicava necessariamente creare un sistema adeguato di protezione per la vittima. Il Gruppo propose, inoltre, che l’ambito della direttiva fosse ampliato fino a ricomprendervi tutte le vittime e non solo quelle provenienti dai Paesi terzi: trattandosi, infatti, di una direttiva fondante la propria base giuridica sull’art. 63, n. 3, TCE, riguardante l’immigrazione dei cittadini di Paesi terzi, la stessa escludeva automaticamente dalla tutela i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. Occorre ricordare, a questo proposito, che, dopo il 1° Maggio 2004, molti Paesi da cui originano fenomeni di tratta divennero parte dell’Unione europea; di conseguenza le vittime, che erano cittadini di questi Stati rimasero privi di protezione, in quanto non più appartenenti ai Paesi terzi. La direttiva stessa sembrava, inoltre, escludere dal suo raggio applicativo i cittadini di Paesi terzi soggiornanti in uno Stato membro con un valido permesso di soggiorno181.

Ancora oggi, tuttavia, le sollecitate modifiche, non sembrano essere state prese in considerazione dal legislatore europeo, che sebbene con la direttiva 2011/36/UE182, come si vedrà, abbia deciso di estendere l’assistenza e il sostegno anche alle vittime