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A partire dagli anni Ottanta, in Europa si assiste ad un progressivo mutamento dell’atteggiamento nei confronti degli spostamenti verso e al di fuori di essa. Il periodo è quello prossimo e successivo alla caduta del muro di Berlino, simbolo della crisi delle tradizionali frontiere erette, fisicamente ed ideologicamente, a partire dal secondo dopo guerra. La disgregazione dei blocchi politici contrapposti d’Europa segna, in effetti, l’inizio di un significativo incremento delle migrazioni provenienti da Paesi terzi373.

Con l’adozione dell’Accordo di Schengen in data 14 giugno 1985374, parallelamente

all’apertura delle frontiere interne tra alcuni Stati europei e successivamente tra quelle interne alla Comunità europea375, si innalzarono quelle con gli Stati terzi. Proprio la ‘fortezza’ in cui si rinchiude l’Europa con l’adozione di tale accordo caratterizzerà le politiche migratorie di tutti gli Stati membri376.

Dell’influenza di questo clima ha risentito, inevitabilmente, anche l’Italia, considerata la sua tempestiva decisione di aderire alla Convenzione di Schengen. In effetti, proprio da tale contesto politico presero le mosse i successivi tentativi del nostro Paese di regolare i flussi migratori.

Ancor prima della formale adozione della Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite, in Europa si sentì l’esigenza di distinguere le migrazioni volontarie da quelle

373 Si veda: DAVID F. e GALLAGHER A., The international Law of migrant smuggling, Cambridge,

Cambridge University Press, 2014.

374 Successivamente all’Accordo venne siglata la Convenzione di applicazione dell’Accordo di

Schengen nel 19 giugno 1990, che ebbe come primi firmatari i tre Stati del Benelux, la Germania e la Francia. Alla convenzione hanno aderito, poco dopo, diversi Stati membri dell’Unione europea: Italia (1990), Spagna e Portogallo (1991), Grecia (1992), Austria (1995), Danimarca, Finlandia e Svezia (1996).

375 Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1º maggio 1999, ha incorporato il sistema Schengen

nell’ambito dell’Unione europea; con la decisione 1999/435/CE del Consiglio dell'Unione europea del 20 maggio 1999 è stato adottato quindi l’elenco degli elementi che compongono l’acquis di Schengen.

376 Sul tema: GUILD E. e VAN SELM J. (a cura di), International migration and security: opportunity

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forzate, deputando loro discipline differenti. L’attuale contesto di c.d. mixed flows, come si è visto in conclusione al precedente paragrafo, dimostra che sempre più frequentemente fare questa distinzione nella pratica diventi molto difficile. Al di là delle distinzioni normative, trafficking e smuggling non sono due fenomeni rigorosamente diversi, ma manifestazioni diverse di uno stesso fenomeno, che per lo più si intersecano sino a diventare difficilmente distinguibili377: episodi di traffico si trasformano in itinere in casi di tratta. Accade, spesso, che il migrante inizi il viaggio all’interno di un’operazione di smuggling, ma una volta arrivato nel Paese straniero rischi di diventare vittima di forme di sfruttamento personale fino alla schiavitù. La complessità della distinzione sta anche nel fatto, come si è detto, che le condizioni sociali e personali da cui il migrante si vuole allontanare rappresentano la spinta a partire, rendendo estremamente arduo distinguere i casi in cui vi è consenso da quelli in cui vi è un abuso della posizione di vulnerabilità.

A ciò va aggiunto che nell’attuale contesto della globalizzazione, il mercato del lavoro appare segnato da modalità inedite e differenziate di sfruttamento della manodopera, facilitate anche da politiche economiche e dell’immigrazione che, aprendo alla possibilità di selezione e ricambio della forza lavoro senza precedenti, hanno compresso i diritti di tutti i lavoratori e penalizzato gravemente quelli in condizioni di maggior debolezza, quali sono sovente i lavoratori migranti378.

Nel comprendere, tuttavia, quali siano attualmente le modalità con cui l’interprete deve rapportarsi alle complessità dei fenomeni di sfruttamento, sarà opportuno ripercorrere mediante un excursus cronologico le tappe che hanno condotto in Italia alla repressione dei reati di smuggling e trafficking.

1.2. La tratta di esseri umani in Italia: tra smuggling e schiavitù. Premessa.

La disciplina della tratta di esseri umani, nel contesto italiano, ha vissuto un’evoluzione molto più lenta di quanto non è accaduto a livello internazionale. Per svariati anni, anche dopo l’adozione del Protocollo di Palermo, l’ordinamento italiano

377 Cfr. MILITELLO V., La tratta di esseri umani: la politica criminale multilivello e la problematica

distinzione con il traffico di migranti, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2018, 1, pp. 86

e ss.

378 Cfr. MEZZADRA S. e NEILSON B., Border as Method, or, the Multiplication of Labour, Duke

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ha continuato a mantenere una fattispecie di tratta (art. 601 c.p.) totalmente schiacciata sulla schiavitù (art. 600 c.p.). Solo con l’attuazione della direttiva 2011/36/UE, avvenuta con d.lgs. 24/2014379, l’art. 601 c.p. si è allineato alla definizione generalmente accolta a livello internazionale, e ciò è avvenuto nonostante fosse già stato modificato nel 2003380.

Come si vedrà, il ritardo nelle modifiche al reato di tratta e la difficile applicazione del reato di schiavitù, costruito per mezzo di una definizione estremamente problematica, sono circostanze che, almeno fino all’entrata in vigore del nuovo art. 603-bis c.p. che ha introdotto una normativa ad hoc381, hanno reso controversa la punibilità dello sfruttamento in Italia.

Ai nostri fini, tali premesse appaiono essenziali all’analisi del reato di sfruttamento lavorativo che verrà sviluppata nel prossimo capitolo.

Lo sfruttamento lavorativo è stato, infatti, per molti anni per lo più ricondotto a svariate fattispecie penali spesso inadeguate a cogliere le sfumature del fenomeno, alcune delle quali – come si vedrà – strettamente legate al tema dell’immigrazione, quasi a voler ammettere che i principali protagonisti dello sfruttamento lavorativo in Italia sono proprio gli stranieri. In questo senso, l’incriminazione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare (rectius smuggling) ha costituito l’occasione per incriminare anche lo sfruttamento ad essa, direttamente o indirettamente, collegato. Questo utilizzo confuso delle fattispecie penali da parte della giurisprudenza ha portato non solo ad oscurare il bene giuridico sotteso al reato di sfruttamento lavorativo, ma anche a distorcere la portata applicativa di reati posti a presidio di altri beni giuridici.

379 Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 24 Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla

prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI (GU Serie Generale n.60 del 13-03-2014).

380 Legge 11 agosto 2003, n. 228 Misure contro la tratta di persone (GU Serie Generale n.195 del 23-

08-2003).

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2. I primi passi verso la repressione dello smuggling nella normativa