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5. Il Protocollo di Palermo sulla tratta di esseri umani

5.2. La protezione delle vittime di tratta

Le principali critiche rivolte al Protocollo sulla tratta riguardarono, nell’imminenza della sua approvazione, l’assenza di un corpo sufficientemente soddisfacente di disposizioni rivolte alla protezione e all’assistenza delle vittime della tratta di esseri

132 HATHAWAY J.C., The Human Rights Quagmire of Human Trafficking, cit.; STOYANOVA V.,

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umani. Tale considerazione era accompagnata dall’idea che il Protocollo – e la Convenzione all’interno della quale era inquadrato – fossero caratterizzati da un approccio sostanzialmente repressivo e non fondato sui diritti umani.

È stato rilevato, in effetti, come la seconda parte del Protocollo relativa alla protezione delle persone trafficate contenga molto poco in termini di previsioni obbligatorie133. Tra quest’ultime, vi è il par. 2 dell’art. 6, il quale esplicita che ogni Stato parte deve fornire alle vittime della tratta tutte le informazioni sui procedimenti giudiziari e amministrativi pertinenti, nonché l’assistenza giudiziaria, affinché le proprie preoccupazioni siano esaminate nelle fasi del procedimento penale. Inoltre, il par. 4 del medesimo articolo impone agli Stati di assicurare che il proprio sistema giuridico interno contenga misure che offrano alle vittime della tratta di persone la possibilità di ottenere un risarcimento per il danno subito.

Le altre disposizioni della seconda parte sono, invece, formulate in termini facoltativi, ad esempio, per quanto riguarda la possibilità di fornire un alloggio adeguato, l’assistenza medica, psicologica e materiale, ovvero opportunità di impiego o educative. È previsto che ogni Stato assicuri l’incolumità fisica delle vittime della tratta mentre queste si trovano sul territorio dello Stato stesso, nonché di adottare misure legislative che consentano alle vittime di restarvi a titolo permanente o temporaneo.

Nonostante la maggior parte delle NGOs spingessero per l’inserimento di una previsione sulla protezione delle vittime, volta ad evitare il rischio che queste potessero essere perseguite per i crimini riguardanti l’immigrazione, tale linea non ebbe successo. Fu confermata, infatti, l’impostazione repressiva del Protocollo, tesa alla persecuzione dei trafficanti piuttosto che all’identificazione e alla protezione delle vittime.

L’art. 8, riguardante il rimpatrio delle vittime di tratta,134 prevede che lo Stato, di cui

la persona è cittadina o in cui aveva il diritto di risiedere a titolo permanente al

133 GALLAGHER A., Human Rights and the New UN Protocols on Trafficking and Migrant

Smuggling: A Preliminary Analyses, cit., pp. 990-991.

134 Art. 8, Protocollo sul trafficking: «Lo Stato Parte di cui la vittima della tratta di persone è cittadina,

o in cui la persona aveva il diritto di risiedere a titolo permanente al momento del suo ingresso nello Stato Parte d’accoglienza, facilita e accetta, tenendo debitamente conto dell’incolumità di questa persona, il ritorno di quest’ultima senza ingiustificato motivo o irragionevole ritardo. Quando uno Stato Parte fa ritornare una vittima della tratta di persone in uno Stato Parte di cui questa persona è cittadina o in cui questa aveva, all’epoca del suo ingresso nel territorio dello Stato Parte d’accoglienza, il diritto di risiedere a titolo permanente, questo ritorno è assicurato tenendo debitamente conto dell’incolumità della persona, nonché dello stato del procedimento penale connesso al fatto che quella persona è vittima della tratta di persone, ed è preferibilmente volontario».

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momento del suo ingresso nello Stato ricevente, facilita e accetta, tenendo debitamente conto dell’incolumità di questa persona, il ritorno di quest’ultima senza ingiustificato motivo o irragionevole ritardo. Gli Stati parte di destinazione dovrebbero, inoltre, assicurare che il ritorno avvenga avuto riguardo alla sicurezza della persona trafficata e allo stato in cui si trova il procedimento correlato al fatto che la persona è stata vittima di tratta.

L’art. 8 deve, comunque, essere letto in combinato disposto con l’art. 14 che prevede una clausola di salvezza per l’applicazione del principio di non-refoulement135.

Laddove l’art. 8 promuove l’adozione di una serie di tutele, affinché il rimpatrio della vittima di tratta avvenga in condizioni di sicurezza e che, possibilmente, avvenga in maniera volontaria, lascia intendere che un simile onere non rivesta un carattere cogente per gli Stati. Tuttavia, nell’adottare queste misure, gli Stati sono obbligati a tenere in considerazione quanto meno l’art. 14 del Protocollo, secondo cui, in nessun caso, l’applicazione delle disposizioni internazionali può comportare una violazione dei principi della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato. Evidentemente, allora, la clausola di slavaguardia di cui all’art. 14 non può subire deroghe per il solo fatto che le disposizioni relative al rimpatrio della vittime sono formulate in termini facoltativi.

Nel senso di una maggior protezione delle vittime di tratta, degno di nota risultò lo sforzo dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU (UNHCHR) nell’elaborazione di alcuni principi e linee guida136 due anni dopo la formale adozione

della Convenzione di Palermo. Pur trattandosi di uno strumento di soft law, non idoneo, dunque, a sostituire o ad integrare il Protocollo, tale iniziativa ebbe il merito di valorizzare e promuovere la tutela dei diritti umani all’interno del sistema tracciato dal Protocollo sulla tratta137.

135 Art. 14, Protocollo sul trafficking: «Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica i

diritti, gli obblighi e le responsabilità degli Stati ed individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status dei Rifugiati e il principio di non allontanamento. Le misure di cui al presente Protocollo sono interpretate ed applicate in modo non discriminatorio alle persone sulla base del fatto che sono vittime della tratta di persone. L’interpretazione e l’applicazione di tali misure è coerente con i principi internazionalmente riconosciuti della non discriminazione».

136 UN High Commissioner for Human Rights, Recommended Principles and Guidelinea on Human

Rights and Human Trafficking, UN Doc. E/2002/68 Add. 1, 20 maggio 2002. Tali principi e linee guida

vennero presentati al Consiglio economico e sociale da Mary Robinson (High Commissioner for Human Rights).

137 GALLAGHER A., Two Cheers for the Trafficking Protocol, in Anti-Trafficking Review, 2015, 4,

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Il documento è costituito di 17 principi e 11 linee guida che enfatizzano l’importanza dei diritti umani delle vittime di tratta, la necessità di proteggerle e assisterle e garantire loro adeguate misure legali. Sebbene non siano giuridicamente vincolanti, costituiscono una fonte di standard minimi che gli Stati potrebbero adottare per la protezione dei diritti delle vittime di tratta.

Tra le disposizioni più importanti, ve ne sono alcune volte a chiarificare le disposizioni del protocollo sui rimedi nazionali per le vittime di tratta in ordine agli obblighi previsti dal diritto internazionale138. Il documento articola, inoltre, per la prima volta il principio – che verrà recepito anche da successivi strumenti internazionali e sovranazionali in materia – della non criminalizzazione delle vittime in relazione ai reati commessi come risultato dell’essere state trafficate139.

Alcuni commentatori hanno apprezzato tale tentativo di sviluppare un diritto internazionale sulla tratta che tenesse insieme diritti umani e diritto penale internazionale.

Lo sforzo dell’Altro commissariato per i diritti umani di elaborare tali principi, come si vedrà, ha influenzato la successiva evoluzione del panorama giuridico europeo, il quale riprenderà frequentemente i concetti e il linguaggio già utilizzati nel 2002.