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Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e il suo rapporto con la

2. I primi passi verso la repressione dello smuggling nella normativa italiana

2.1. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e il suo rapporto con la

L’art. 12 della legge n. 943/1986 anticipò nell’ordinamento italiano quella che solo qualche anno dopo divenne la fattispecie di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.

In effetti, con il D.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito in l. 28.2.1990 n. 39 (c.d. Legge Martelli), – la quale per la prima volta previde un impianto di norme penali tese a sanzionare le condotte di favoreggiamento delle migrazioni – venne introdotto all’art. 3, comma 8, il reato volto a punire con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a due milioni di lire

«chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio

dello stato in violazione delle disposizioni del presente decreto».

Furono, poi, previste due circostanze aggravanti ad effetto speciale riguardanti il dolo specifico di lucro e il numero di concorrenti che sancivano un notevole innalzamento della pena.

Con il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale venne, dunque, sanzionata penalmente qualsiasi condotta agevolatrice, o meglio, diretta all’agevolazione di un fatto in sé penalmente irrilevante poiché l’ingresso contra ius rivestiva natura giuridica di mero illecito amministrativo384.

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La dottrina rilevò immediatamente l’ampiezza della sfera incriminatrice e le tensioni sul piano del rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie385.

Il primo vero tentativo di disciplinare i flussi migratori illegali fu costituito, però, dalla legge 6 marzo 1998 n. 40386 (c.d. Legge Turco-Napolitano), le cui disposizioni sono poi confluite nel vigente d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286.

Come chiarito dalla relazione di presentazione del disegno di legge alla Camera dei deputati, l’obiettivo di riforma, tra gli altri, era quello di tener fede agli impegni assunti per la partecipazione dell’Italia a Schengen e potenziare l’azione di contrasto delle immigrazioni clandestine anche attraverso norme sanzionatorie più severe e articolate sul piano penale e amministrativo387.

In effetti, la legge n. 40 del 1998, all’art. 3, comma 2, faceva riferimento agli obblighi internazionali del nostro paese ed, in particolare, a quelli derivanti dall’adozione della Convenzione di Schengen del 19 giugno 1990 di applicazione dell’Accordo del 14 giugno 1985 relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, il quale non consente l’attraversamento delle frontiere esterne, comuni ai Paesi contraenti, e pertanto l’ingresso e il soggiorno, se non in presenza di determinate condizioni388.

385 MENEGHELLO M. e RIONDATO S., Sub artt. 2,3,4. Profili penalistici, in NASCIMBENE B. (a

cura di), La condizione giuridica dello straniero, Cedam, Padova, 1997, p. 237.

386 A tal proposito la relazione di presentazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge n. 3240,

avvenuta il 19 febbraio 1997, afferma innanzitutto che: «Essenziale è innanzitutto mostrare

consapevolezza della necessità di un atteggiamento positivo, realistico, aperto verso l’immigrazione – alieno da velleità dı` chiusura e da complessi di timore e di rifiuto. Si tratta di comprendere fino in fondo come la spinta migratoria verso l’Italia e verso gli altri Paesi più sviluppati dell’Europa occidentale rispecchi una realtà mondiale segnata da profondi squilibri di crescita e di benessere, in particolare nel bacino del Mediterraneo. Tali squilibri non possono certo essere affrontati soltanto attraverso l’assorbimento e inserimento, nei Paesi più progrediti, di extracomunitari in cerca di lavoro, ma esigono politiche complesse e lungimiranti di cooperazione, capaci di ridurre disuguaglianze e di accrescere chances di partecipazione, anche per le aree più popolose e arretrate, a un processo di globalizzazione e sviluppo dell’economia mondiale. Ma anche se oggi l’intero Occidente non può assorbire annualmente che una modesta quota dell’eccedenza demografica dei Paesi meno sviluppati, è importante aprirsi a un flusso migratorio il più possibile programmato e regolato».

387 Si veda in proposito: NASCIMBENE B., Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione

sulla condizione dello straniero. Il commento, in Diritto penale e processo, 1998, 4, pp. 421 e ss.

388 Art. 27, Convenzione di Schengen: «Le Parti contraenti si impegnano a stabilire sanzioni

appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione di detta Parte contraente relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri». Cfr. sul punto: VENTRELLA e Mc

CREIGHT M., Crimes of assisting illegal immigration and trafficking in human beings in italian law:

illegal immigration between administrative infringemet and criminal offence, in GUILD E. e

MINDERHOUD P. (a cura di), Immigration and Criminal Law in the European Union: The Legal

Measures and Social Consequences of Criminal Law in Member States on Trafficking and Smuggling in Human Beings, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden, 2006, pp. 141 e ss.

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Come è noto, l’Italia ha aderito alla Convenzione di Schengen nel 1990 e l’ha ratificata con legge n. 388/1993, dunque, diversi anni prima dell’adozione della legge n. 40/1998, successivamente trasfusa nel Testo Unico Immigrazione (d.lgs. 2816/1998).

Come di lì a poco sarà rilevato dalla Corte di Cassazione,

«la legge 40/1998 aveva ulteriormente marcato alcuni caratteri peculiari rilevabili

già nella legge 943/86, sicché le finalità di ordine pubblico, di sicurezza e di razionalizzazione, di controllo e di regolamentazione della presenza e dell’attività dei cosiddetti extracomunitari, venivano filtrate attraverso i principi di pari opportunità e trattamento, di regolazione del mercato del lavoro al di fuori degli schemi della pubblica sicurezza, di generale impegno degli stati aderenti alle convenzioni internazionali e comunitarie di cui è attuazione per combattere le migrazioni clandestine, l’occupazione illegale ed i responsabili dei traffici illegali mediante la predisposizione di misure di politica attiva ed attraverso strumenti sanzionatori di vario tipo»389.

Al momento dell’approvazione del Testo Unico Immigrazione, l’art. 12 descriveva la condotta di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare negli stessi termini della precedente Legge Martelli:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a

favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire trenta milioni»390.

Al comma terzo dell’art. 12, venivano, inoltre, aggiunti due gruppi di circostanze aggravanti oltre a quelle già previste all’art. 3 della Legge Martelli: quelle del primo gruppo, che si riferivano al numero degli stranieri agevolati nell’ingresso e alle modalità delle condotte di favoreggiamento, indicative di una maggiore pericolosità

389 Cass. pen., sentenza 28.11.2002-23.1.2003, n. 3162

390 La norma riproduce quanto era previsto dall’art. 3, comma 8, della le. 39/1990: «Salvo che il fatto

costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente decreto punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire due milioni. Se il fatto commesso a fine di lucro, ovvero da tre o più persone in concorso tra loro, la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni».

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degli agenti; quelle del secondo gruppo integrate «se il fatto (…) riguarda l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento» e da un’ipotesi di dolo specifico riguardante la destinazione dei migranti alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione.

Emerge chiaramente dalla fattispecie di cui al primo comma che il fatto era punito anche nel caso in cui l’ingresso illegale non si fosse verificato391: in effetti, già sotto la vigenza della Legge Martelli era stato notato che la norma, essendo incentrata sul riferimento letterale alla direzione dell’atto, pareva prescindere dalla valutazione in concreto dell’idoneità agevolatrice, richiedendo solo la direzione soggettiva dell’atto ovvero, ammettendo il requisito dell’idoneità concreta, collocandosi sul piano del pericolo del bene tutelato392. Secondo gli stessi commentatori, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, mediante una formulazione che combina elementi del reato a consumazione anticipata con quelli del reato di agevolazione, sembrava reprimere meri atti preparatori di un concorso in un illecito non penale393.

È evidente, dunque, che il legislatore intendeva garantire una tutela rafforzata all’interesse dello Stato a regolare liberamente gli accessi sul proprio territorio da parte di cittadini extracomunitari, anticipando la punibilità alla soglia del pericolo394.

Affiancando al delitto di favoreggiamento dell’ingresso contra ius la nuova figura di reato di favoreggiamento della permanenza illegale (art. 12, comma 5, T.U.I.)395, il

Testo Unico abrogò espressamente sia la fattispecie delittuosa di cui all’art. 12 della legge n. 943/1986 sia l’art. 3 della legge Martelli.

391 Cass. pen., sentenza 9.6.2000, n. 1744, CED 216423.

392 MENEGHELLO M. e RIONDATO S., Sub artt. 2,3,4. Profili penalistici, cit., pp. 237 e ss. 393 Nonostante la giurisprudenza da tempo richieda anche per i delitti di attentato i requisiti della

idoneità e direzione non equivoca degli atti, che andrebbero pertanto accertati anche nei casi di cui all’art. 12 T.U.I., la giurisprudenza di legittimità sembra richiedere qualcosa di meno. In effetti, Cass. 19.5.2005 (in Guida al diritto, 2005, 43, p. 93) laddove afferma che la fattispecie di favoreggiamento è già integrata dall’accordo diretto al reclutamento degli stranieri da far entrare in Italia, estende la condotta ad un fatto che di per sé non presenta quei caratteri di idoneità e univocità necessari per attingere la soglia di rilevanza penale.

394 URBAN F., La legislazione penale italiana quale modello di attuazione della normativa

sovranazionale ed internazionale anti-smuggling e anti-trafficking, in Rivista Diritto Penale Contemporaneo trimestrale, 2018, 1, p. 130.

395 Si noti che la formulazione della condotta di cui all’art. 12, comma 5, T.U.I. a partire

dall’approvazione del Testo Unico non è mai stata modificata: «Fuori dei casi previsti dai commi

precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

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Come è stato rilevato, la disposizione si connotò per le medesime ambiguità dell’illecito di agevolazione dell’ingresso e, dunque, per l’incidenza della condotta criminosa su di un fatto penalmente non rilevante396.

Tuttavia, come si vedrà, nonostante questa similitudine, tra le due ipotesi esiste un’importante differenza, relativa all’elemento soggettivo richiesto ai fini della loro configurabilità. Mentre, infatti, per il delitto di favoreggiamento dell’ingresso clandestino sono sufficienti la consapevolezza e la volontà di compiere attività dirette a trasgredire le norme del T.U.I., il reato di favoreggiamento della permanenza illegale prevede come elemento essenziale della fattispecie il «fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero». Il fine dell’ingiusto profitto, su cui ci si concentrerà nelle prossime pagine, rileva sotto il profilo dell’elemento soggettivo ed è configurato in termini di dolo specifico. Al momento è sufficiente rilevare che la norma pone una correlazione tra l’ingiustizia del profitto e la condizione di illegalità dello straniero, ma che tale correlazione, attenendo al dolo specifico, si sviluppa su un piano tutto soggettivo, relativo alle finalità dell’agente. Lo ‘sfruttamento’ dello straniero non riguarda, dunque, una componente oggettiva del fatto tipico, ma la proiezione teleologica dell’agente397.

In ordine alla tipologia di reato, ci si è chiesti se la fattispecie di cui al comma 5, al pari di quella di cui al comma 1, possa essere considerata quale reato di pura condotta, a dispetto della terminologia utilizzata. La giurisprudenza, sul punto, ha confermato la natura di reato di pura condotta, nel senso che assumono rilevanza penale tutte le attività che si pongono in direzione della permanenza, senza che questo aspetto assurga ad elemento costitutivo di fattispecie398. Vi è chi ha rilevato che la tesi che individua nel delitto in esame un reato di mera condotta svaluterebbe la lettura della disposizione che esige un risultato, ossia un evento, quale effettivo contributo agevolatore dell’agente alla permanenza dello straniero399. Tale interpretazione

sarebbe, peraltro, più conforme ad una lettura costituzionalmente orientata dalla norma rispetto al principio di offensività: ciò consentirebbe di ridurre i rischi connessi

396 Sul punto e per approfondimenti si veda: LANZA E., La repressione penale dell’immigrazione

clandestina, ottobre 2001, reperibile sul sito: https://www.diritto.it/articoli/penale/lanza.html.

397 CAPUTO A., Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit, p. 98.

398 Trib. Monza, sentenza 6-13.12.1999, in Diritto immigrazione e cittadinanza 2000, 3, pp. 156-157. 399 Cfr. CAPUTO A., Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit, p. 94.

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all’indubbia vaghezza con cui è stato formulato il precetto, evitando di anticipare eccessivamente la soglia della punibilità400.

Con l’entrata in vigore del Testo Unico si posero fin da subito problemi di coordinamento con le norme previgenti, in particolare, con l’art. 12 della legge n. 943/1986 riguardante l’impiego di lavoratori migranti extracomunitari in condizioni illegali al fine di favorirne lo sfruttamento e il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale ex art. 12, comma 5, del T.U.I. All’orientamento inizialmente favorevole alla tesi della mera successioni di leggi nel tempo è, poi, subentrata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione la ricostruzione in termini di abolitio criminis a motivo del fatto che diversa è da ritenersi la finalità della nuova norma incriminatrice funzionale a regolamentare i flussi di immigrazione nel territorio italiano, laddove la disposizione abrogata aveva essenzialmente lo scopo di tutelare le condizioni dello straniero lavoratore401.

L’introduzione della fattispecie di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare nell’ordinamento italiano avvenne, dunque, ben due anni prima rispetto alla formale adozione del Protocollo sullo smuggling nell’ambito della Convenzione di Palermo che, come si è visto, ha imposto agli Stati parte di punire il traffico di migranti402.

Un attento esame della fattispecie interna, tuttavia, mostra come la definizione del reato non fosse (e tuttora non sia) esattamente corrispondente a quella contenuta nel Protocollo (neanche dopo le modifiche del 2002403 e del 2009404).

Chi ha analizzato il processo di criminalizzazione intrapreso dagli Stati parte della Convenzione di Palermo ha, in effetti, rilevato come questo abbia avuto sviluppi e risultati diversi nei vari ordinamenti nazionali405.

Mentre in Sud America gli Stati hanno introdotto il reato di traffico di migranti descrivendolo in termini quasi identici a quelli usati nel Protocollo sullo smuggling, la maggioranza degli Stati dell’Unione europea ha previsto e introdotto nei rispettivi ordinamenti giuridici solo un reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.

400 Ivi, p. 96.

401 Cass. pen., sentenza 20.11.2001 – 16.2.2002 n. 6487, in Cass. pen., 2002, n. 1329; Cfr. altresì:

CAPUTO A., Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 53.

402 Secondo l’art. 3 del Protocollo sullo smuggling, il «traffico di migranti» indica il procurare, al fine

di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente.

403 Legge 30 giugno 2002, n. 189 (c.d. Legge Bossi-Fini).

404 Decreto Legge 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. Pacchetto sicurezza).

405 VEAS ESCOBAR J., Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti: analisi critica della

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Secondo la ricostruzione offerta da tale autore, la fattispecie di favoreggiamento, tuttavia, non può dirsi coincidente con lo specifico reato di traffico di migranti (smuggling).

Il caso paradigmatico di tale imprecisa sovrapposizione sarebbe proprio l’Italia, in quanto questo Paese avrebbe previsto l’elemento del profitto non come elemento costitutivo della fattispecie, ma come circostanza aggravante406.

Come si è visto nel primo capitolo, l’art. 3 del Protocollo sullo smuggling richiede che l’autore del reato ponga in essere la condotta «al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale». Questo requisito aveva lo scopo – secondo le intenzioni degli estensori del Protocollo – di non sanzionare la condotta di familiari, affiliati ad organizzazioni non governative, gruppi religiosi, o di altre persone che per ragioni non lucrative aiutassero il migrante ad entrare nello Stato di destinazione407.

Si tratta di una definizione, dunque, non sovrapponibile a quella contemplata nella fattispecie semplice, non aggravata, di cui al primo comma dell’art. 12 T.U.I.

Occorre considerare che, già prima del 2000, la legislazione europea aveva adottato un modello simile a quello contenuto nel Protocollo della Convenzione di Palermo. L’art. 27 della Convenzione di Schengen, infatti, aveva introdotto un obbligo di criminalizzazione del delitto di traffico di migranti esprimendosi negli stessi termini di cui al successivo Protocollo di Palermo sullo smuggling408, ossia richiedendo lo

scopo di lucro tra gli elementi della condotta da criminalizzare.

Come si è visto, però, l’Italia, nel 1990, quando introduce la fattispecie di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non inserisce il fine del profitto. L’approccio italiano, a dire il vero, sebbene si discosti da quanto richiesto dalla Convenzione di Schengen, ha successivamente influenzato l’evoluzione del panorama normativo a livello unionale.

406 Art. 12, comma 3, T.U.I.

407 GALLAGHER A., Human Rights and the New UN Protocols on Trafficking and Migrant

Smuggling: A Preliminary Analyses, cit., p. 996 e UNODC, Travuax Préparatoires of the Negotiotions for the Elaboration of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols Thereto, cit., parr. 88 e 92.

408 Art. 27, par. 1, Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i

governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni: «Le Parti

contraenti si impegnano a stabilire sanzioni appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione di detta Parte contraente relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri».

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Qualche anno dopo l’adozione della Convenzione di Palermo, furono promulgate la Decisione quadro 2002/946/GAI409 e la Direttiva 2002/90/CE410, che insieme

costituiscono il c.d. Facilitators Package, ossia il quadro delle disposizioni in tema di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Qui, in linea con le previsioni dell’ordinamento italiano, si impone agli Stati di adottare sanzioni nei confronti del facilitatore anche se la condotta non è compiuta a scopo di lucro; tale ultima finalità è, infatti, prevista come mera circostanza aggravante e non rientra tra gli elementi costitutivi della fattispecie411. A parziale temperamento di tale rigore, la direttiva precisa che gli Stati possano non adottare sanzioni nei confronti della condotta compiuta senza scopo di lucro, se posta in essere per ragioni umanitarie412.

La normativa italiana sembra, pertanto, aver fatto da traino alla legislazione europea sotto questo profilo; in effetti, le successive modifiche all’art. 12 T.U.I. non mutarono l’impianto originario della norma.

La legge n. 189/2002 (c.d. Legge Bossi-Fini), sostituendo l’espressione «attività dirette a favorire l’ingresso» con quella «atti diretti a procurare l’ingresso»413,

sembra esprimere, tuttavia, il tentativo di rendere il sistema nazionale più possibile conforme agli strumenti internazionali e in particolare al Protocollo di Palermo sullo smuggling414.

La legge Bossi-Fini ha, inoltre, trasformato alcune circostanze aggravanti in autonome fattispecie di reato: in particolare, il comma terzo prevede che il delitto di

409 Decisione quadro del Consiglio del 28 novembre 2002 relativa al rafforzamento del quadro penale

per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali in GUCE L 328 del 5.12.2002.

410 Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002 volta a definire il favoreggiamento

dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali in GUCE L 328/17 del 5.12.2002.

411 Ivi, art. 1, par. 1: «Ciascuno Stato membro adotta sanzioni appropriate: a) nei confronti di chiunque

intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all'ingresso o al transito degli stranieri; b) nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti, a scopo di lucro, una persona che non sia cittadino di uno Stato membro a soggiornare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri».

412 Ivi, art. 1, par. 2: «Ciascuno Stato membro può decidere di non adottare sanzioni riguardo ai

comportamenti di cui al paragrafo 1, lettera a), applicando la legislazione e la prassi nazionali nei casi in cui essi abbiano lo scopo di prestare assistenza umanitaria alla persona interessata».

413 Sul punto si veda: CERASE M., Riformata la disciplina dell’immigrazione: le novità della “Legge

Bossi-Fini” – Il commento, in Diritto penale e processo, 2002, 11, p. 1347. L’autore ritiene che

l’avvento della legge n. 189/2002 abbia determinato una successione di leggi ex art. 2, co. 3, c.p. e non un fenomeno di abolitio criminis; tuttavia, la nuova formulazione esprimerebbe una più rilevante