2.10 LA CREAZIONE E LA RELAZIONE
2.10.1 I PRIMI DIBATTITI FILOSOFICI SULLA CREAZIONE
2.10.1.1 Il dibattito sull’eternità del mondo
La riflessione sull’origine del mondo si sviluppa, nel Medioevo latino, già a partire dal confronto con il Timeo di Platone. In quest’opera, il cosmo viene presentato come il risultato dell’azione di un artefice, il Demiurgo, il quale agisce guardando a dei modelli esemplari intelligibili164. Il testo del celebre mito platonico pone una netta distinzione tra il mondo intelligibile dei modelli esemplari, dove ogni cosa è sempre uguale a se stessa, e il mondo sensibile, il quale è in continuo cambiamento. Il modo di essere del mondo sensibile è caratterizzato dal tempo, mentre il modo di essere dei modelli esemplari è caratterizzato dal concetto di “αἰών”, che Calcidio tradurrà con il latino “aevum”. A prima vista sembrerebbe che la parola “aevum” significhi una condizione atemporale, cioè del tutto estranea al tempo165; tuttavia, la parola “aevum” può significare anche il semplice persistere nel tempo senza mutamento o movimento166. Di fatto, il testo platonico viene recepito secondo due
163 Cf. Ivi, 523. In realtà, forme di monismo o dualismo si possono rintracciare in diverse forme religiose ereticali
già a partire dal XII secolo. Si veda, in proposito: L. SILEO, Università e Teologia, in G.D’ONOFRIO (a cura di),
Storia della teologia nel Medioevo. II. La grande fioritura, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria), 1996, 523. 164 Cf. PLATONE, Timeo, 28A-38C, in PLATONE, Timeo, introduzione, traduzione, note, apparati e appendice
iconografica di G. Reale; appendice bibliografica di C. Marcellino, Rusconi, Milano, 1994, 83-109 [testo greco a fronte]). Si veda anche: R. DALES, Discussions, 4-8.
165 Agostino è tra coloro che intendono “aevum” come condizione atemporale. La sua riflessione sulla natura del
tempo porta alla luce un problema cruciale sotteso alle domande circa l’inizio del mondo, ossia il rapporto tra l’eternità e il tempo. Secondo Agostino, nulla che sia creato può esistere in modo perpetuo perché solo ciò che è semplice può essere eterno. Tuttavia, poiché il mondo comincia insieme al tempo, si può affermare che in un certo senso non vi è un “prima” della creazione e che quindi non vi è un vero inizio della creazione. La riflessione agostiniana sta alla base di tutte le successive discussioni sul tema dell’eternità del mondo, poiché ha il merito di porre in rilievo i problemi principali della questione: il rapporto tra creazione e inizio del mondo; i differenti significati della parola “prima”, secondo il tempo oppure secondo l’origine; l’immutabilità della volontà di Dio in rapporto all’atto creativo; l’onniscienza e l’onnipresenza di Dio; l’interrogativo circa la possibilità, da parte di Dio, di creare il mondo prima di quando è stato creato. Su questo si veda: R. DALES, Discussions, 11-13.
166 Con il De consolatione philosophia di Boezio, nello schema agostiniano bipartito di eternità e tempo, si
introduce un terzo elemento, corrispondente a un diverso significato di “aevum”. Secondo Boezio, il termine “aevum” significa un’estensione interminabile di tempo, un’esistenza perpetua. Questo significato caratterizza un nuovo modo di essere, uno stato intermedio tra l’eternità, che è propria di Dio, e il tempo, proprio del mondo sensibile. In questo stato esistono gli angeli e le sostanze incorruttibili. In ogni caso, anch’egli come Agostino ritiene che l’eternità debba essere accompagnata dalla semplicità, motivo per cui questo modo di essere appartiene
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interpretazioni differenti riguardo a questo punto: Aristotele e Agostino intendono “αἰών”/”aevum” come una condizione atemporale, mentre Calcidio e Boezio come uno stato di persistenza immutabile167.
La concezione di eternità delineata da Agostino e da Boezio è compatibile con una visione in cui il mondo è privo di un inizio temporale pur essendo creato dal nulla: la creazione implica l’idea di un inizio, ma non si tratta di un inizio nel tempo, perché il tempo stesso inizia con il mondo. Secondo Dales, Agostino e Boezio hanno effettivamente insegnato una tale dottrina, ma la loro eredità sarà recepita in maniera problematica dai posteri, spesso a causa non solo della difficoltà delle questioni in sé, ma anche a motivo di una certa confusione terminologica (si pensi ai diversi significati del termine “aevum”)168.
Intorno al primo quarto del XIII secolo, Guglielmo di Durham († 1249) dedica molti sforzi a restituire chiarezza a una terminologia per nulla coerente169. La serie di questioni sull’eternità del mondo a lui attribuita è importante perché rappresenta una delle prime testimonianze di un dibattito duecentesco sul tema dell’eternità del mondo. Egli non offre soluzioni particolarmente brillanti, ma presenta alcuni problemi e alcune argomentazioni che diventeranno classiche nel dibattito successivo. Guglielmo di Durham si confronta soprattutto con il pensiero di Agostino e di Boezio, ma coglie anche alcune sollecitazioni provenienti dal Libro II delle Sentenze di Pietro Lombardo170. Inoltre, mostra di conoscere la Fisica di Aristotele, il De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi e il De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno. I temi da lui discussi si raccolgono intorno a due nuclei: l’eternità del mondo e il rapporto tra l’eternità e il tempo. Tra i due nuclei, quello che acquisterà maggiore importanza nei decenni successivi è il primo, anche a motivo del sorgere, al suo interno, di una diatriba parallela attorno la corretta interpretazione
solo a Dio. La perpetuità, al contrario, non ha il carattere della semplicità, perché è pur sempre pensata come un’estensione, benché infinita. Su questo si veda: R. DALES, Discussions, 13-17.
167 Cf. R. DALES, Discussions, 9.
168 «The progressive development in antiquity of the concept of eternity as being simple and nontemporal
introduced a serious ambiguity into medieval discussions of the eternity of the world. Plato had confused matters by his vague and apparently contradictory remarks on whether time had a beginning point or whether it was infinitely extended and differed from eternity only by virtue of movement and change, not by having a “beginning” in the sense of a temporal starting point, but only a superior principle upon which it depended. As eternity was conceived by Augustine and defined by Boethius, it clearly could not be a condition of the world, which unarguably exists in time. But this leaves unanswered the question of whether the world is beginningless, although both Augustine and Boethius held that a beginningless world would not be coeternal with God. Augustine unequivocally says that the world had a beginning, but not a beginning in time; time and the world were created together, so there was no time before the world was. And yet there was a zero point from which it all began. If “eternal” means coterminous with the whole of time, then in a sense the world is eternal, but not beginningless. But the phrase ab
aeterno in Latin nearly always means “of infinite temporal duration in the past,” and this inconsistency in language
bred inconsistency in thought» (Ivi, 17; corsivi originari).
169 «This work […] begins with a word by word criticism of Boethius’s definition of eternity in De consolatione philosophiae 5, pr. 6; the master is at pains to distinguish among many similar words which seem to mean almost
the same thing (eternitas, evum, perenne, perpetuum, eternum, tempus, and temporale), although the attempt was not particularly successful (in William’s defense, we must point out that there is hopeless inconsistency in the use of these terms among his authorities, thus adding further confusion to an already difficult problem)» (Ivi, 51-52).
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di Aristotele al riguardo. Sembra, infatti, a molti che il Filosofo abbia insegnato che il mondo è eterno e ciò lo pone in aperto contrasto con la dottrina cristiana171. Ma, già poco dopo il 1220, si possono osservare posizioni contrastanti circa una simile interpretazione del pensiero aristotelico172.
Il problema della corretta interpretazione di Aristotele e della sua compatibilità con la dottrina cristiana della creazione si sovrappone al problema di come intendere i rapporti tra filosofia e teologia. Intorno alla metà del ‘200, specialmente con le opere di Bonaventura da Bagnoregio (seppur con qualche riserva), di Tommaso d’Aquino (1124/6 – 1274) e di Pietro di Tarantasia (c. 1224 – 1276), si afferma un orientamento, già promosso da Filippo il Cancelliere (1165/85 – 1236) e da Alessandro di Hales (1185 ca. – 1245), che tende a “scusare” Aristotele per il suo errore circa l’eternità del mondo, affermando per esempio che Aristotele ha parlato come filosofo naturale, trascurando le produzioni di tipo soprannaturale (è la tesi di Alessandro di Hales e molti altri), oppure ritenendo che non vi siano argomenti probanti l’inizio temporale del mondo, ma che questo debba essere accettato solo per fede (è la posizione di Tommaso)173. Ma queste soluzioni non saranno accettate da tutti. Il sospetto nei confronti di Aristotele e della filosofia, visti in opposizione al sapere teologico, si inasprisce intorno al 1270: alcuni maestri secolari saranno accusati di tenere posizioni inconciliabili con la fede o, addirittura, di insegnare una doppia verità174. Questo clima turbolento porterà, infine, alla stesura di un elenco di 219 tesi ritenute contrarie alla fede, ad opera di una commissione voluta dal vescovo di Parigi,
171 Stando a quanto si trova nelle opere di Aristotele, non è affatto certo che egli abbia inteso dimostrare l’eternità
del mondo. Su questo si veda: Ivi, 39-43.
172 A partire da Filippo il Cancelliere comincia a circolare l’idea che l’insegnamento di Aristotele sia compatibile
con l’insegnamento della Chiesa sull’inizio temporale del mondo. Alessandro di Hales, seguendo questa linea interpretativa, sostiene che ciò che Aristotele insegna sull’origine del mondo è che questo non può essersi prodotto per via naturale. Questa conclusione sintetizza in sé due tesi. La prima tesi è che il tempo e il mondo sono venuti all’essere simultaneamente; la seconda è che Aristotele parla da filosofo naturale, mentre la creazione è l’effetto di una causa soprannaturale. Nella prima tesi si può riconoscere un chiaro tentativo di rileggere Aristotele alla luce di Agostino, come già aveva fatto in precedenza Guglielmo di Conches (ca. 1080 - ca. 1154). Nella seconda tesi è evidente il debito nei confronti del Dux dubitantium di Mosè Maimonide (1138 - 1204), in cui si afferma che né la creazione del mondo, né la sua eternità possono essere dimostrate razionalmente e Aristotele si è guardato bene dal proporre argomenti probanti in un senso o nell’altro. Non mancano, comunque, le reazioni contro simili tentativi di accomodare Aristotele. Una delle prime e più veementi è certamente quella di Roberto Grossatesta (ca.1168 - 1253), il quale accusa i suoi avversari di avere la presunzione, a partire da pochi testi tradotti in latino e spesso corrotti, di voler comprendere il filosofo greco meglio di quanto non erano stati capaci di farlo coloro che ne avevano letto l’intero corpus nell’originale greco. Su questo si veda: R. DALES, Discussions, 57-75.
173 «De aeternitate mundi excusari posset, quod intellexit hoc ut philosophus, loquens ut naturalis, scilicet quod
per naturam non potuit incipere» (BONAVENTURA, In Hex., collatio 7, § 1 [OpOm., V, 365b]). Si veda anche: R. DALES, Discussions, 45-46.
174 Cf. R. DALES, Discussions, 153.172-177. Si vedano anche: G.F.VESCOVINI, L’aristotelismo, 253-256; R.
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Stefano Tempier, nel 1277175. Tra le tesi condannate compaiono una trentina di proposizioni riguardanti il tema della creazione e dell’eternità del mondo176.
Le condanne di Tempier imprimono un grave colpo al dibattito universitario circa l’eternità del mondo, ma non ne decretano la fine. Per di più, verso la fine del secolo, comincia a maturare a Parigi il bisogno di revocare tali condanne. Goffredo di Fointaines († 1306/9), nel 1295, denuncia l’impossibilità per i docenti di svolgere il loro lavoro, nonché le incomprensioni, lo scandalo e le divisioni che le condanne di Tempier generano fra gli studenti; inoltre, egli riafferma il valore del dibattito razionale per raggiungere la verità, piuttosto che il ricorso alle condanne177.