2.10 LA CREAZIONE E LA RELAZIONE
2.10.3 B ONAVENTURA E LA CREAZIONE COME RELAZIONE
2.10.3.1 L’asimmetria tra creazione attiva e creazione passiva
Il problema dell’eternità della “creatio actio” segue più o meno la traccia già segnata nel De
duratione mundi di Alessandro di Hales: la “creatio actio” è un’azione di Dio; l’azione di Dio
è Dio stesso; Dio è eterno; dunque, la “creatio actio” è eterna. Per bloccare questa catena transitiva di equivalenze, bisogna in qualche modo porre una distinzione tra la “creatio actio” e Dio. Bonaventura introduce tale distinzione concedendo che, almeno secondo il modo di comprendere del nostro intelletto, la “creatio actio” sia qualcosa di intermedio tra il Creatore e la creatura. In questo modo, sebbene nella realtà l’azione creativa non indichi altro che l’essenza divina, nondimeno, in qualche modo, può essere distinta da Dio204. Alessandro di Hales sceglie di ricondurre questa distinzione alla semantica del termine “creatio”, riconoscendo che esso è un termine complesso, significante due realtà distinte: una eterna, l’altra temporale. Non è la strada seguita da Bonaventura. Egli preferisce ricorrere a un’altra spiegazione, la quale non si basa sulla significazione del termine, ma sul modo in cui l’intelletto conosce la realtà. Le espressioni adoperate nel testo per qualificare la distinzione tra Dio e la “creatio actio” sono due: “secundum rationem intelligendi” e “secundum modum nostrum accipiendi”.
Per quanto riguarda la “creatio passio” e la sua identità con la creatura, il discorso appare più articolato, ma la conclusione è quasi speculare al caso della “creatio actio”. Da una parte, si afferma che la “creatio passio” non è qualcosa di realmente distinto dalla creatura, bloccando così l’inferenza dell’argomento dell’anonimo di Douai, ossia che il soggetto della creazione debba precedere la creazione stessa; dall’altra, anche in questo caso, tra la creatura e la creazione viene ammessa una distinzione, la quale viene qualificata con l’espressione “secundum rationem et habitudinem”205.
L’argomento della proporzione, tratto da Alessandro di Hales, pone un’asimmetria tra il modo in cui la “creatio actio” e la “creatio passio” si identificano, rispettivamente, con il Creatore e la creatura. Nel testo bonaventuriano, un’analoga asimmetria può essere rintracciata
204 Il problema della distinzione o identità tra la “creatio actio” e Dio è alquanto delicato. Identificare totalmente
Dio con la sua azione (“Deus est sua actio”) potrebbe condurre a pensare che la creazione sia qualcosa che appartiene all’essenza divina, così che Dio non possa non essere creatore; ne conseguirebbe che la creazione sarebbe un atto necessario e non libero. D’altra parte, separare l’azione creativa da Dio condurrebbe ad affermare una qualche forma di composizione tra Dio e la sua azione, così da negare la perfetta semplicità divina. Bonaventura scongiura il secondo pericolo, affermando l’identità tra Dio e la sua azione, e il primo pericolo attraverso la distinzione tra predicazione “per se” e predicazione “per accidens”. L’analisi di quest’ultimo aspetto non può essere svolta in questa sede; quanto ad essa si veda: BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 30, a. un., q. 2, co. [OpOm., I, 524a-b]. Per un’analisi sintetica del problema relativo all’attributo “creator”, si veda: M.PANGALLO,
Il Creatore del mondo. Breve trattato di teologia filosofica, Leonardo da Vinci, Roma, 2004, 270-272.
205 Se si considera il termine “creatura” in senso generico, per indicare qualsiasi cosa che riceve l’essere “dopo” il
non essere, allora esso include anche il significato della “creatio passio”. In tal modo, si deve dire che la “creatio passio” non è “creata”, ma “concreata”. Pertanto, in questa accezione, essa non è intermedia né realmente, né concettualmente. Su questo si veda: BONAVENTURA, Super Sent., II, d. 1, p. 1, a. 3, q. 2, co. [OpOm., II, 34a-b].
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a partire da un confronto tra le espressioni “secundum rationem intelligendi” e “secundum rationem et habitudinem”. Le due espressioni segnalano il modo in cui la “creatio actio” e la “creatio passio” si distinguono, rispettivamente, dal Creatore e dalla creatura. Affinché il tipo di distinzione sia diverso in un caso e nell’altro, occorre che le due espressioni che qualificano tale distinzione non siano equivalenti. In particolare, secondo Bonaventura la distinzione “secundum rationem intelligendi” è più debole rispetto alla distinzione “secundum rationem et habitudinem”. Da ciò consegue che la “creatio passio” si distingue dalla creatura più di quanto la “creatio actio” si distingua dal Creatore:
«Plus tamen est idem creatio actio cum creante quam creatio passio cum creatura, quia ibi non est differentia nisi solum secundum modum nostrum accipiendi; hic autem est differentia rationis et etiam habitudinis, quae non facit diversitatem per essentiam, quia habitudo illa est essentialis»206.
In entrambi i casi, si tratta di una differenza che non pone nella realtà qualcosa di diverso secondo l’essenza. Quando si afferma che due cose non sono distinte “secundum rem” o che significano la stessa realtà, si intende affermare che nella realtà vi è una sola essenza. Allo stesso modo, quando si parla di identità tra la “creatio actio” e il “creante” o tra la “creatio passio” e la “creatura”, si intende dire che ciascuna coppia di termini significa nella realtà una sola essenza. In questo senso, l’identità può essere qualificata come “reale”, mentre la differenza è tale solo per l’intelletto (“secundum rationem”).
Per Bonaventura, una distinzione di ragione implica sempre la negazione di una diversità di essenza207. Tuttavia, vi sono diversi modi di differire secondo ragione, più o meno forti a seconda di quanta sia la parte svolta dall’intelletto nel porre tale differenza. Talvolta, la differenza esiste solo dalla parte dell’intelletto ed è nulla dalla parte della realtà. Questo tipo di differenza è la più debole di tutte, in quanto dipende solamente dal modo di apprendere dell’intelletto. Talvolta la differenza ha un fondamento non solo nell’intelletto ma anche, in una certa misura, nella realtà. È il caso delle proprietà personali all’interno della Trinità, le quali si predicano di persona divina ad esclusione delle altre due208.
206 Ivi, 35a.
207 Cf. BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 26, a. un., q. 1, ad 2um [OpOm., I, 453a]. “Differre ratione” può essere
interpretato in diversi modi: può significare che vi è una differenza nella “ratio”, ossia nel contenuto intenzionato dall’intelletto o può significare una differenza costruita dall’intelletto stesso. Queste due interpretazioni non sono nettamente distinte da Bonaventura. I punti saldi della sua teoria circa la distinzione secondo ragione sono espressi tra l’altro in un contesto trinitario, nel tentativo di giustificare la predicazione di una pluralità di attributi (alcuni, addirittura, esclusivi di qualche persona divina), salvaguardando allo stesso tempo l’unità e la semplicità divina.
208 Senza entrare troppo nei dettagli, è sufficiente richiamare la questione nelle sue linee generali. Le persone
divine sono distinte tra loro realmente, ma la loro essenza è unica. Il problema più difficile è spiegare in che modo le singole persone si rapportino all’essenza o in che misura se ne distinguano. Per un approfondimento sulla questione, si veda: R.L.FRIEDMAN, Intellectual Traditions, 64-88; Z.HAYES, Bonaventure’s Trinitarian Theology, in J.M.HAMMOND ET ALII (eds.), A Companion to Bonaventure, Leiden - Boston, 2014, 189-214.
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Il contesto trinitario in cui queste considerazioni vengono sviluppate non esclude che esse possano trovare qualche applicazione anche nel campo della creazione. In particolare, sembra che il caso della “creatio actio” possa essere ricondotto al primo tipo di differenza di ragione: si tratta, infatti, di un attributo non esclusivo di una persona divina (come sono, invece, le proprietà personali). Questa ipotesi sarebbe confermata anche dal fatto che la “creatio actio” differisce dall’essenza divina solo secondo il “modus accipiendi”, ossia solo secondo il modo di apprendere dell’intelletto. Più difficile è, invece, inquadrare la “creatio passio” nello schema delle differenze di ragione elaborato per il contesto trinitario. Ma si può ritenere che esso non corrisponda certamente a quella differenza minima che dipende solo ed esclusivamente dall’intelletto. Nella creatura vi è un qualche aspetto di distinzione “a parte rei”, e tale aspetto è propriamente una relazione (“habitudo”), la quale non è una mera comparazione operata dall’intelletto, ma qualcosa di reale.