3.2 LA RELAZIONE NELLE OPERE FILOSOFICHE E TEOLOGICHE
3.2.2.3 La differenza tra “intrinsecus adveniens” ed “extrinsecus adveniens”
Per comprendere come mai alcuni “respectus” sono estrinseci e altri intrinseci, e per dare un significato preciso a questa distinzione, bisogna guardare alla causa del “respectus”. La diversità del “respectus” infatti viene rispecchiata nel modo in cui esso dipende dal suo fondamento. Tale dipendenza può assumere diverse forme, a seconda di come il “respectus”/“relatio” sorge dal suo fondamento. Talvolta, è sufficiente porre solo il fondamento per avere la relazione; altre volte bisogna porre sia il fondamento, sia il termine, ma questi due elementi sono sufficienti affinché si stabilisca la relazione; altre volte, invece, porre il
of Relation, are nonabsolute in that an item belonging to each depends for its being on something that is neither it nor its subject. However, this distinction does not capture what is unique to the category of Relation; if anything, it suggests that the nonabsolute categories could be amalgamated» (P. KING, Scotus on Metaphysics, 33). King parte dall’assunto che assoluto e relativo siano due differenze dell’ente e che, pertanto, le categorie debbano dividersi in assolute e relative. Tuttavia, è ancora da dimostrare perché alcune siano assolute e altre non-assolute. Il criterio, come si vedrà, è l’inerenza. Si veda, infra, par. 2.2.3.3.
210 Lect., III, 1, § 82, XX, 32.
211 Cf. Ord., I, 17, adnot. Scoti, V, 173, 6.
212 «Hic dici potest quod, si secundum communiter dicta salvanda sit distinctio decem generum et, per consequens,
sex genera ultima non contineantur sub genere relationis, cum non appareat quod importent formas absolutas nec simul important absolutum et respectum, ut argutum est, consequens est dicere quod sint essentialiter respectus, nec tamen de genere relationis. Igitur oportet distinguere inter respectum et respectum, etiam distinctione secundum genus. Potest autem distinctio respectuum, quos important illa sex genera, ab illo respectu qui proprie dicitur relatio quae est quartum genus, accipi ex illo dicto communi, quo dicuntur respectus de genere relationis esse respectus intrinsecus advenientes, respectus autem illorum sex generum extrinsecus advenientes. Hoc potest intelligi sic: Nullus respectus sic intrinsece advenit absoluto, quod conveniat ei secundum se sive ad se, quia tunc non esset respectus, de ratione enim respectus est quod sit unius ad alterum; ille igitur respectus dicitur intrinsecus adveniens, qui necessario consequitur fundamentum posito termino; quia non potest esse respectus magis intrinsecus absoluto; et per oppositum ille est extrinsecus adveniens qui non necessario consequitur fundamentum, etiam posito termino. Si ista sint vera, responderi potest ad illam auctoritatem Philosophi 5. Physic. quod neget motum ad relationem proprie dictam, quae pertinet ad quartum genus, non autem ad quemcumque respectum pertinentem ad aliquod sex generum; imo concedit ibi motum esse in ubi, qui communiter non dicitur esse motus ad formam absolutam, quia ubi, ut videtur, non est forma absoluta, sed respectus corporis contenti ad locum continentem» (Quodl., q. 11, §§ 13-14 [Vivès, XXV, 449b-450a]). Il contesto generale della discussione di questo brano, da una parte ricorda quello di Ord., III, 1, §§ 57ss, laddove si affronta l’autorità di Fisica, V, 2, dall’altra è vicino alla discussione di Ord., IV, 13, §§ 41ss (e ai paralleli della Lectura), in cui si cerca di conservare la divisione dei dieci predicamenti distinguendo tra diversi tipi di “respectus”.
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fondamento e il termine non è sufficiente perché si abbia la relazione. Scoto si dedica al chiarimento di questi aspetti quando affronta il tema teologico dell’Incarnazione del Verbo213.
L’Incarnazione è l’unione della persona divina del Verbo con una natura umana creata. Unita al Verbo, la natura creata si trova a dipendere dal Verbo. Questa unione e questa dipendenza sono relazioni. Scoto si interroga sul modo in cui tali relazioni sorgono e prende in considerazione due possibili risposte. La prima è che l’unione sorga a partire da un fondamento, il quale si aggiunge ai due estremi come una realtà positiva e nuova; la seconda è che l’unione metta in connessione i due estremi senza che intervenga alcun fondamento, cioè senza che alcuna nuova realtà debba aggiungersi ai due estremi affinché si stabilisca la relazione. Scoto propende per la seconda soluzione, ossia che non vi è nulla di positivo che debba aggiungrsi perché si stabilisca la relazione di unione; ma questa tesi va incontro a un inconveniente: si deve concedere che la relazione sia termine di un movimento “per se”214. Questo va contro quanto stabilito da Aristotele nel Libro V della Fisica, per il quale non vi è movimento nel genere della relazione215. Scoto tenta, allora, di accordare la propria soluzione con il dettato aristotelico distinguendo tre modi in cui la relazione sorge a partire dal fondamento.
«Relatio potest tripliciter se habere ad fundamentum:
Uno modo, quod fundamentum non potest poni sine relatione illa absque contradictione, quia fundamentum non potest absque contradictione esse sine termino illius relationis; nec etiam sine relatione ad terminum, quia illa relatio necessario requirit talem terminum ad sui ‘esse’. Tales sunt relationes creaturae – in quantum creatura – ad Deum in quantum creator. Huiusmodi relatio est idem realiter fundamento, sicut patet ex prima distinctione II libri.
Alio modo, fundamentum potest esse sine relatione, quia potest esse sine termino; tamen ipso posito et termino, necessario consequitur illa relatio, ita quod illa duo – simul posita – sunt necessaria causa relationis, sive in altero extremo sive in utroque. Exemplum de similitudine in albo et albo.
Tertio modo, relatio potest non necessario consequi fundamentum, quia illud non necessario coexigit terminum nec habitudinem illam ad terminum; nec etiam fundamento et termino positis, necessario consequitur relatio ad ambo extrema vel unum, sed contingenter dicitur advenire extremo, etiam postquam quodlibet absolutum in ipso et in termino fuerit positum in esse. Et in isto modo non oportet ponere aliquod absolutum novum in altero extremorum, etiam dato quod relatio sit nova. Hoc modo se habent multae relationes, puta communiter uniones absoluti ad absolutum: si enim forma per se esset et materia per se esset (ut corpus organicum separatum et anima separata), vel si subiectum per se esset et accidens per se (ut panis et quantitas), si de novo uniantur, nullum absolutum novum est in altero extremo, sed ista relatio contingenter se habet, etiam ut possit esse et
non esse extremis positis»216.
213 Cf. Ord., III, 1, §§ 1-84, IX, 1-39.
214 Normalmente, la relazione può essere termine del movimento “per accidens”, ossia perché vi è qualcos’altro
che muta o si muove. Per questo, viene specificato che il problema riguarda la relazione quando questa si troverebbe ad essere termine “per se” di un movimento. Il caso preso in esame da Scoto (l’unione della natura umana e di quella divina) ha come assunto che nulla muti eccetto l’unione stessa, la quale incomincia ad esistere. L’unone, perciò, si troverebbe ad essere il termine di un mutamento “per se”.
215 Cf. Supra, par. 2.3.3.
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Il testo è di fondamentale importanza per comprendere la teoria di Scoto sui rapporti tra fondamento e relazione217. Vi sono tre modi in cui una relazione si stabilisce. Il primo modo si verifica quando il fondamento non può esistere senza la relazione o senza il termine della relazione, pena la contraddizione. In questo caso, la relazione è identica al fondamento
realmente218. Il secondo modo è quando il fondamento può esistere senza la relazione, dal momento che può esistere senza il termine della relazione. La relazione, però, una volta che il termine e il fondamento sono posti, sorge necessariamente. Si tratta dei casi più comuni di relazione, come la relazione di somiglianza. Il terzo modo si distingue dal secondo per il fatto che, posti il fondamento e il termine, la relazione non sorge necessariamente, ma solo contingentemente219.
Nel primo caso, non è possibile avere il fondamento senza la relazione; nel secondo caso è
necessario avere la relazione, posti il fondamento e il termine; nel terzo caso è possibile non
avere la relazione, posti il fondamento e il termine. In quest’ultimo caso, non si ha alcuna necessità, né che sia posto il termine, né che sorga la relazione; nel secondo caso, si ha una necessità solo dalla parte della relazione, perché essa non può non esserci; nel primo caso, si ha la necessità sia dalla parte della relazione, sia dalla parte del fondamento, infatti, posto il fondamento è necessario porre anche il termine ed è necessario che sorga la relazione.
La distinzione dei due tipi di “respectus” (o di “relatio”, se sono sinonimi) porta alcune conseguenze. La prima conseguenza riguarda l’interpretazione dell’autorità di Fisica, V, 2, secondo la quale nessuna relazione è termine del mutamento. Una seconda conseguenza riguarda il modo di intendere l’inerenza degli accidenti, da cui scaturisce anche la distinzione tra accidenti assoluti e relativi. Una terza conseguenza è che, a partire dalla distinzione tra cose assolute e cose relative, Scoto si risolve ad affermare con estrema decisione che nessun “respectus” può rientrare nella nozione di una cosa assoluta.
217 SI vedano anche altri testi simili: «Ad tertium dico quod – positis extremis – non oportet relationem extrinsecus
advenientem necessario sequi: in hoc enim differt a relatione proprie dicta seu respectu intrinsecus adveniente» (Ord., IV, 10, 257, XII, 131); «Et tunc illa Sex principia, de quibus auctor agit, pro tanto non sunt species ‘relationis’, quia ‘relatio’ dicit respectum intrinsecus advenientem, illa autem dicuntur respectus extrinsecus advenientes» (Ord., IV, 13, § 44, XII, 451); «Duo autem alii respectus, scilicet productionis vel inductionis vel eductionis, et hoc sive activae sive passivae, pertinebunt ad genus relationis proprie dictae, quia sunt intrinsecus advenientes» (Ord., IV, 13, § 55, XII, 453); «Secundum secundam et tertiam, est respectus intrinsecus adveniens, et sic proprie in genere ‘relationis’» (Ord., IV, 13, § 62, XII, 454).
218 L’identità reale non vieta che vi possa essere una distinzione formale tra la relazione e il fondamento. Su questo
si veda: infra, par. 5.1.
219 Talvolta, sembra che inerire contingentemente ed essere “extrinsecus advenines” siano due determinazioni
differenti, benché legate l’una all’altra (cf. Ord., IV, 12, § 249, XII, 128) Altre volte, si afferma che essere “estrinsecus adveniens” non comporti sempre lo stesso tipo di contingenza (cf. Ord., IV, 12, § 279, XII, 381). Inoltre, talvolta si afferma che il “respectus extrinsecus” è “accidens per accidens” (cf. Ord., IV, 10, § 72, XII, 76;
Ord., IV, 12, § 77, XII, 322; Ord., IV, 12, § 282, XII, 382). Sulla nozione di “accidens per accidens” si veda: Ord.,
180 3.2.2.3.1 L’autorità di Fisica, V, 2
Vi è un primo uso della distinzione tra “respectus intrinsecus adveniens” e “respectus extrinsecus adveniens” nella discussione sulla natura del carattere sacramentale220. Nel corso della discussione, viene presentata una prima opinione secondo cui il carattere deve essere una forma assoluta. Scoto rifiuta tale opinione sulla base della definizione stessa del carattere sacramentale, dalla quale si evince che esso è una specie di segno; ma il segno esprime un “respectus”, mentre nessun “respectus” è incluso nella “ratio” di una forma assoluta: «Ad quiditatem formae absolutae non pertinet essentialiter aliquis respectus, quia tunc illa quiditas esset ad se et non esset ad se»221. Sembra, dunque, che si debba rigettare l’opinione che vede nel carattere sacramentale una forma assoluta222.
Dopo questo argomento principale, Scoto passa a distruggere le ragioni in favore dell’opinione avversaria. La prima di tali ragioni sostiene che il carattere dev’essere una forma assoluta perché nessun “respectus” è termine del mutamento; mentre il carattere è termine di un mutamento. Scoto attacca la premessa maggiore dell’argomento, la quale però si fonda sull’autorità di Fisica, V. È qui, perciò, che Scoto deve fare i conti con l’autorità aristotelica. Egli presenta due argomenti per sostenere la propria confutazione della tesi avversaria, ai quali aggiunge una personale interpretazione del brano di Fisica, V.
1) Il primo argomento, abbastanza contorto, può essere ricostruito secondo tre passaggi. In primo luogo, si afferma che se un “respectus” può avvenire estrinsecamente al fondamento, esso non sorge necessariamente dal fondamento, nemmeno quando il termine del riferimento viene posto223. Infatti, un “respectus” che sorge necessariamente, posti il fondamento e il termine, avviene intrinsecamente. Se non sorge necessariamente, viene meno l’intrinsecità. Fin qui, viene semplicemente ripetuta la dottrina della distinzione tra “respectus” intrinseci ed estrinseci.
In secondo luogo, viene presupposto che il “respectus” è per sua natura posteriore al termine e al fondamento; dunque, esso deve sorgere senza che vi sia alcun mutamento nei due estremi, dopo che questi sono stati posti. Se fosse richiesto un mutamento in uno degli estremi (o in
220 Il testo di Ord., IV, d. 6, parla della reiterazione del battesimo. 221 Ord., IV, 6, § 291, XI, 384.
222 Scoto, a proposito della natura assoluta o relativa del carattere sacramentale, si limita ad avanzare alcune ragioni
in favore dell’una e dell’altra opinione. Alla fine, egli lascia aperte entrambe le possibilità (cf. Ord., IV, 6, § 333, XI, 397). È importante, invece, osservare come vengono confutati gli argomenti in favore della prima opinione, che si può ricondurre a Tommaso d’Aquino.
223 «Si aliquis respectus potest extrinsecus advenire fundamento, sequitur quod non necessario sequitur
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entrambi), ciò significherebbe che uno dei due (o entrambi) non era stato effettivamente posto, e che esso risulterebbe posto solo dopo il mutamento.
In terzo luogo, segue la conclusione dell’intero ragionamento: il nuovo “respectus” avviene come termine di un mutamento. Non può essere altrimenti, perché il “respectus” è nuovo, e nient’altro è nuovo: né il fondamento, né il termine; quindi l’unica cosa che sorge al termine del mutamento è il “respectus”224.
2) Il secondo argomento teso a dimostrare che vi può essere un mutamento che ha come termine proprio il “respectus”, quando questo è estrinseco, prende le mosse dal rapporto tra l’agente e il paziente. Quando un agente si riferisce realmente a un paziente ciò può avvenire per tre motivi: o perché l’agente ha in sé una nuova forma appropriata, o perché tale forma è nel paziente, oppure perché c’è una nuova disposizione (“habitudo”) reciproca tra i due. Quest’ultimo caso rispecchia il fatto che un “respectus” possa sorge in maniera non necessaria.
Per esempio, poste nel mondo due cose bianche, necessariamente esse saranno simili (non importa quanto distanti, purchè esistano entrambe). Invece, posti nel mondo un agente e un paziente (p.es., il fuoco e il legno), non è detto che il primo possa agire effettivamente sul secondo, perché può accadere che vi siano degli impedimenti esterni che ostacolano il sorgere dell’azione (p.es. la distanza eccessiva oppure una barriera isolante). Tolto l’impedimento, sorge l’azione, cioè si stabilisce un “respectus” tra l’agente e il paziente che prima non c’era. La somiglianza e l’azione esprimono entrambe il riferimento esistente tra due cose; la differenza sta nel modo di sorgere dell’uno e dell’altro: il primo “respectus” richiede solo e soltanto l’esistenza dei due estremi, mentre il secondo “respectus” richiede, oltre all’esistenza dei due estremi, anche il soddisfacimento di alcune circostanze esterne agli estremi stessi225.
224 «Respectus non potest magis intrinsece advenire fundamento quam quod necessario sequatur ipsum posito
termino, quia omnino non potest inesse fundamento, circumscripto termino, quia tunc non esset respectus, sed forma absoluta; igitur si aliquis respectus potest extrinsecus advenire fundamento, sequitur quod non necessario sequitur fundamentum, etiam termino posito; igitur respectus ille potest esse novus omnino sine novitate fundamenti vel termini, – ergo ad eius esse novum potest esse aliqua mutatio, quia non ad aliquod absolutum» (Ord., IV, 6, § 295, XI, 385). Scoto continua affrontando una piccola obiezione, che risolve riaffermando tra le altre cose la distinzione tra soggetto e fondamento: «Quod si dicas respectum aliquem extrinsecus advenire subiecto, non tamen fundamento, – hoc nihil est, quia relationes intrinsecae (ut similitudo quae consequitur albedinem et huiusmodi) possunt extrinsecus advenire subiecto, quia fundamentum de novo advenit; ita ergo si istae sint intrinsecae et aliae extrinsecae, erit differentia earum in comparatione ad fundamentum» (Ord., IV, 6, § 296, XI, 385).
225 «Hoc patet experimento, quia activo eodem modo se habente, secundum formam activam, et passivo eodem
modo se habente secundum potentiam passivam proximam, si fuerit aliquod impedimentum interpositum inter ista, non aget illud agens in passum; amoto autem illo impedimento seu obstaculo, aget; ergo est ibi nova habitudo agentis ad passum sine nova forma absoluta» (Ord., IV, 6, § 298, XI, 386). P. King, quando deve spiegare la differenza tra “intrinsecus adveniens” ed “extrinsecus adveniens” afferma: «The sense of this distinction is as follows: the category of Relation is the only category that is completely defined by the “reference to something else” (i.e., the relation) mentioned previously. In the remaining six categories, apart from the intrinsically advenient relation that defines their nature there must be a further extrinsically advenient relation, one that forms a condition for the categorical item to be present» (P. KING, Scotus on Metaphysics, 33). Questa descrizione, tuttavia, non
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In questo modo, Scoto giustifica la propria interpretazione dell’auctoritas di Fisica, V, senza rifiutarne la validità: Aristotele afferma che non vi è alcun mutamento o movimento nel genere “ad aliquid”, ma in tale genere rientrano solo i “respectus” intrinseci226. Perciò nulla vieta di ammettere il movimento secondo i “respectus” estrinseci. Anzi, lo Stagirita concede che il moto locale avviene secondo il predicamento “dove”, il quale è uno dei “sex principia” ed è quindi (secondo Scoto) un “respectus” estrinseco227.
La discussione sul carattere sacramentale costituisce un punto fermo per quel che riguarda la concezione del “respectus”, tanto che Scoto vi rimanda spesso in altre occasioni nel corso del Libro IV dell’Ordinatio228. In particolare, è degno di nota il caso in cui si discute sulla localizzazione del corpo di Cristo nell’Eucaristia. Scoto afferma che il corpo di Cristo, dopo la consacrazione delle specie eucaristiche acquista un “respectus extrinsecus” e quindi pur ricevendo la nuova determinazione dell’essere “hic”, esso non muta in se stesso.
Il richiamo al discorso sul corpo di Cristo può aiutare a chiarire anche un aspetto ulteriore: il “respectus extrinsecus” non sorge a partire dai principi della cosa su cui si fonda229; pertanto, esso si produce perché c’è un terzo elemento che entra in gioco, esterno sia al fondamento, sia al termine230. Questo aspetto è importante per comprendere quando il “respectus extrinsecus” è
sembra cogliere del tutto lo spirito della distinzione scotiana, perché finisce per introdurre anche nei “sex principia” un “respectus intrisecus”.
226 Henninger non sembra riconoscere la differenza operata da Scoto tra i diversi “respectus” poiché sostiene che
Scoto contravviene all’autorità di Fisica, V; si veda: M.G. HENNINGER, James of Viterbo, 103; M.G. HENNINGER,
Scotus and Auriol, in V. CARRAUD - P. PORRO (a cura di), L’ontologia della relazione (dalla filosofia antica a
Wolff) / The Ontology of Relation (from Ancient Philosophy to Wolff) / L’ontologie de la relation (de la philosophie antique à Wolff), Brepols - Pagina, Turnhout - Bari, 2014 (Quaestio, 13), 226.
227 «Istud probatur ex intentione Philosophi V Physicorum, quia licet neget motum esse in ‘ad aliquid’, prout ad
genus ‘ad aliquid’ pertinent relationes intrinsecus advenientes, non negat tamen motum vel mutationem esse in ‘ad aliquid’ intrinsecus adveniens, immo concedit: concedit enim in genere ‘ubi’ esse motum proprie, – et tamen ‘ubi’ non est nisi respectus quidam corporis circumscribentis ad locatum vel corpus circumscribens» (Ord., IV, 6, § 299, XI, 386-387). Il testo dell’edizione sembra contenere un errore: alla fine delbrano, dove compare il termine “intrinsecus”, dovrebbe esserci “extrinsecus”, altrimenti il discorso non ha senso. Lo stesso errore si può riscontrare nell’edizione Vivès (cf. Ord., IV, 6, § 4, Vivès, XVI, 618b). Invece, per la versione che è stata qui seguita, e che dovrebbe essere quella corretta, si veda il testo dell’edizione di L. Wadding: «[…] non negat tamen motum, vel mutationem esse in Ad aliquid extrinsecus adueniens» (Ord., IV, 6, § 4, Wadding, VIII, 352). Si veda anche: Rep., IV-A, 6, § 133, in JOHN DUNS SCOTUS, The Report of the Paris Lecture. I/1-2. Reportatio IV-A: Latin
Text And English Translation, edited from manuscript and translated by O.V. Bychkov, edited by R. Trent
Pomplun, The Franciscan Institute, Saint Bonaventure (NY), 2016, 239va).
228 Cf. Ord., IV, 10, §§ 53.55, XII, 69; Ord., IV, 12, §§ 37.77, XII, 310.323. Scoto afferma che il “respectus”
acquisito dal corpo di Cristo nell’Eucaristia è molto vicino al genere “ubi”, anche se poi lascia intendere che potrebbe non rientrare esattamente né in quel genere, né in alcun altro. Ciò significa che Aristotele non ha definito i generi così ampiamente come avrebbe potuto; ma certo non significa che si dovrebbero ammettere più di dieci generi sommi: «Si forte non sit proprie in illo genere, sequitur quod decem genera non sufficienter evacuant totum