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La creazione passiva e la relazione essenziale

2.10 LA CREAZIONE E LA RELAZIONE

2.10.3 B ONAVENTURA E LA CREAZIONE COME RELAZIONE

2.10.3.2 La creazione passiva e la relazione essenziale

La “ratio” della creazione passiva non è un concetto vuoto, ma esprime qualcosa; tuttavia, ciò che esprime non è essenzialmente diverso dalla creatura («non dicit aliquid per essentiam diversum a creatura»209). Ciò significa che quanto alla realtà significata, la creazione e la creatura sono la stessa cosa, mentre quanto alla “ratio nominis”, il termine “creatio” aggiunge qualcosa di diverso: il venire all’essere dal non-essere a causa di qualcos’altro; pertanto, il nome “creatio” esprime un riferimento sia al non-essere precedente, sia al principio che produce l’essere.

In sintesi, ciò che la “ratio” della “creatio passio” esprime è una “habitudo”, una relazione al non-essere e al Creatore. Questa “habitudo” è ciò che salva la creazione dall’essere un mero nulla; allo stesso tempo, però, si tratta di qualcosa che non ha una propria essenza, o meglio, non è diverso per essenza dalla creatura stessa. Bonaventura cerca di mostrare come possa intendersi tutto ciò esaminando entrambi i versanti della relazione, verso il non-essere e verso il Creatore.

In comparazione al non-essere, la creazione è una mutazione perché essa esprime la novità dell’essere, il “nunc primo esse” di qualcosa che prima non esisteva: “essere mutato”, nel caso della creazione, significa “essere-ora-primariamente”210. Quindi, significa l’essere della

209 BONAVENTURA, Super Sent., II, p. 1, a. 3, q. 2, co. (OpOm., II, 34b)

210 «Et ideo mutari primo modo nihil aliud est, quam nunc primo esse» (BONAVENTURA, Super Sent., II, p. 1, a. 3,

q. 2, co. [OpOm., II, 34b; corsivi originali]). Si veda anche: BONAVENTURA, Super Sent., II, p. 1, a. 3, q. 1, co. (OpOm., II, 32a).

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creatura con l’aggiunta della novità. Più che un diverso modo di essere, la novità rappresenta un diverso modo di comprendere l’essere.

In comparazione al producente, cioè al Creatore, la “creatio passio” rappresenta un tipo particolare di relazione. Bonaventura distingue tre tipi di relazione a partire dal modo in cui esse vengono a costituirsi: alcune relazioni si fondano su una proprietà accidentale e perciò sono relazioni accidentali, le quali possiedono una propria essenza, distinta dall’essenza del fondamento; altre si fondano sull’origine, come nel caso delle persone divine, e queste aggiungono al fondamento solamente l’essere padre o figlio, ecc.211; altre, infine, si fondano sulla dipendenza essenziale. In quest’ultimo caso la relazione significa una realtà che sotto certi aspetti è distinta dal fondamento, sotto altri aspetti no. Non si dice, però, se essa aggiunga qualcosa al fondamento: l’espressione “dicit aliquid, quod est quodam modo idem, quodam modo aliud” (tra l’altro, mutuata dalla Summa di Alessandro di Hales) lascia intendere che qualcosa venga aggiunto al fondamento; ma, quando si cerca di capire che cosa e in che modo venga aggiunto, la risposta purtroppo è sempre la medesima: «creatio non est aliud secundum rem a creatura, nec medium inter ipsam et Deum secundum essentiam, sed secundum rationem et habitudinem»212. Vengono messe in luce solamente due particolarità di questa relazione, ossia che essa si fonda sull’essenza della creatura e che non ha un’essenza distinta da quella della creatura.

Per cercare di comprendere meglio lo statuto ontologico della relazione significata dalla “creatio passio” è utile guardare a due esemplificazioni riportate nello stesso testo. Il primo esempio è il rapporto tra materia e forma, il secondo è quello delle proprietà trascendentali213. Il rapporto tra materia è forma viene presentato come un caso di relazione essenziale. Altrove, Bonaventura offre qualche delucidazione in più circa questo rapporto:

211 «Terza relatio nihil aliud [addit] nisi pure esse» (BONAVENTURA, Super Sent., II, p. 1, a. 3, q. 2, co. [OpOm.,

II, 34b-35a; corsivi originali]). Si è cercato di rendere l’espressione “nisi pure esse” con la parafrasi “solamente l’essere padre o figlio”. Bonaventura, infatti, afferma che le persone divine si distinguono per mezzo della loro origine e ognuna possiede una diversa relazione nei confronti delle altre. Ma l’origine non aggiunge nulla alla natura divina (cf. BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 25, a. 1, q. 2, co. [OpOm., I, 440]), mentre la relazione aggiunge semplicemente l’“esse” (cf. BONAVENTURA, Super Sent., II, d. 1, p. 1, a. 3, q. 2, co. [OpOm., II, 35a]). L’origine, però, non è la relazione, ma costituisce la “ratio” della relazione (cf. BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 27, p. 1, a. un., q. 2, co. [OpOm., I, 469b]). Ciò vuol dire che, per esempio, la prima persona possiede la relazione di paternità perché genera, e non viceversa. Quando si tratta di specificare la differenza tra l’origine e la relazione, Bonaventura afferma: «Hoc quod est generare importat productionem, et generatio emanationem; sed hoc quod est esse patrem proprie importat habitudinem» (BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 27, p. 1, a. un., q. 1, co. [OpOm., I, 468b, corsivi originali]. Da questo testo si può evincere che l’“esse” aggiunto dalla relazione non è altro che il mero “essere padre”. Non è possibile addentrarsi oltre nei dettagli di un simile problema entro i limiti del presente lavoro. Per un approfondimento della questione, si veda: supra, par. 2.10.3.1, nota n. 208.

212 BONAVENTURA, Super Sent., II, d. 1, p. 1, a. 3, q. 2, co. [OpOm., II, 35a].

213 Bonaventura non parla usualmente di “proprietà trascendentali”. Anche in questo testo, egli non parla di

“proprietà” ma di unità, verità e bontà essenziali. Chiaramente, si tratta di quelle proprietà dell’ente che comunemente vengono dette “trascendentali”. Perciò, per comodità, è stato conservato tale nome. Su questo si veda: J.A. AERTSEN, Medieval Philosophy, 148.

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«Refertur materia ad formam et forma ad materiam; unde dicit Philosophus, quod «materia hoc ipsum quod est ad alterum est»; tamen nec materia est suus respectus, nec forma, quia non habent omnimodam simplicitatem»214.

La materia e la forma, pur riferendosi l’una all’altra essenzialmente, non sono dei meri riferimenti (“respectus”), ma sono distinti da essi. Il motivo che impedisce la completa identificazione con il “respectus” è la loro mancanza di semplicità215. Allo stesso modo, la creatura non si riferisce al Creatore per mezzo di una relazione ma, in qualche modo, per mezzo di se stessa: «referri se ipso potest intelligi […] quia inter rei respectus et essentiam non cadit medium»216. La realtà intermedia che il testo dichiara assente è la relazione. Solitamente, qualcosa si riferisce a un’altra per mezzo di una relazione. È la relazione che comporta un “respectus”. Nelle relazioni essenziali la relazione (intesa come qualcosa di intermedio) non c’è, mentre il “respectus” continua ad esistere. Pertanto, si deve concludere che è l’essenza stessa che comporta un tale “respectus”. È facile vedere come questo discorso possa essere applicato al caso della creatura. Tuttavia, la creatura – così come la materia o la forma – non è un “respectus”, ma è qualcosa di assoluto su cui si fonda un “respectus”217.

Il secondo esempio è tratto dalle proprietà trascendentali: «Similiter iudicandum est de unitate, bonitate, veritate essentiali»218. Secondo questo paragone, la “creatio passio” costituisce un tipo di aggiunta fatta sulla creatura, simile alla “additio” di una proprietà trascendentale fatta sopra l’ente. Secondo Bonaventura, le proprietà trascendentali aggiungono all’ente qualcosa solamente a livello concettuale, poiché esse contraggono l’ente “secundum rationem”. Nonostante ciò, l’essere uno, vero o buono sono condizioni reali dell’ente e non mere finzioni dell’intelletto. Similmente accade per la “creatio passio” nei confronti della creatura. Tuttavia, sembrano esservi importanti differenze tra i due casi: l’unità, la bontà e la verità sono le condizioni dell’ente più nobili e più generali, le quali possono essere attribuite a Dio in sommo grado; la “creatio passio”, invece, non gode di questo statuto di eccellenza e, certamente, non può essere attribuita a Dio in nessun grado. Il perno del paragone risiede probabilmente solo nel modo della distinzione rispetto al soggetto di cui si predicano. L’unità,

214 BONAVENTURA, Super Sent., I, d. 26, a. un., q. 1, ad 6um [OpOm., I, 453b].

215 «Pater refertur se ipso ad Filium, et e converso. Nam Pater est sua paternitas, et hoc propter summa

semplicitatem» (Ibidem). Nelle persone divine, in cui si riscontra la somma semplicità, si può dire per esempio che il Padre è la stessa paternità. Anche in quel caso, comunque, non si deve intendere che il Padre sia allo stesso tempo assoluto e relativo; la proprietà relativa sia in Dio, sia nella creatura – anzi, maggiormente nella creatura – deve in qualche modo distinguersi da ciò a cui appartiene.

216 Ibidem.

217 Cf. Ivi, 453b-454a. Bonaventura conserva in maniera decisa la distinzione tra assoluto e relativo e sostiene che

qualsiasi proprietà relativa deve fondarsi su qualcosa di assoluto.

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la verità e la bontà non significano qualcosa di diverso dall’ente, ma solamente l’ente in quanto numerabile, l’ente in quanto conoscibile e l’ente in quanto comunicabile219. Allo stesso modo, la “creatio passio” non significa qualcosa di diverso dall’essenza della creatura, ma solamente tale essenza in quanto prodotta “ex nihilo” da Dio.

Riassumendo, vi sono tre rilievi importanti circa il modo di intendere la “creatio passio”220. In primo luogo, si parla della “creatio passio” come di una relazione; essa si fonda direttamente sull’essenza in ragione della dipendenza reale e totale della creatura rispetto al Creatore; per tale motivo tale relazione viene detta “essenziale”. In secondo luogo, tale relazione è identica realmente o per essenza alla creatura. Per tale motivo, essa non è una relazione accidentale; infatti, ogni relazione accidentale si fonda su una proprietà accidentale e possiede un’essenza diversa dall’essenza del fondamento; ciò che non avviene nel caso della “creatio passio”. Ad ogni modo, la relazione di creazione non è perfettamente identica all’essenza della creatura per due ragioni: primo, a causa della mancanza di semplicità della creatura; secondo, perché non può esistere una relazione pura, non fondata su qualcosa di assoluto. In terzo luogo, pur essendo essenzialmente identica alla creatura, questa relazione aggiunge qualcosa alla creatura stessa, allo stesso modo in cui si realizza la “additio” delle proprietà trascendentali (unità, verità, bontà).