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L A POSTERITÀ DI T OMMASO : E GIDIO DI R OMA

2.7 LA SISTEMATIZZAZIONE DI TOMMASO D’AQUINO

2.7.4 L A POSTERITÀ DI T OMMASO : E GIDIO DI R OMA

L’equilibrio raggiunto da Tommaso non perdura a lungo e già negli autori immediatamente successivi, che pure sentono l’influenza del suo pensiero, si possono notare slittamenti significativi nella dottrina. È il caso di Egidio di Roma, il quale, pur richiamandosi in larga parte alla dottrina e alla terminologia dell’Aquinate, introduce un’importante variazione nel modo di considerare l’“esse in” della relazione.

quando consistit in aliquali relatione ad tempus. Ubi vero, ad locum. Positio autem ordinem partium importat. Habitus autem relationem habentis ad habitum» (TOMMASO D’AQUINO, In Metaph., V, lectio 17, n. 1005 [Cathala- Spiazzi, 266b; corsivi non originali]).

112 Cf. A. KREMPEL, La doctrine, 255-259. 113 Cf. Ivi, 259-269.

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Secondo Egidio, la relazione quanto al suo “esse” non è distinta dal fondamento, perché l’“esse in” della relazione è identico all’“esse in” del fondamento114. Ciò è motivato anche dal fatto che la relazione è sia una “res”, sia una “ratio”. Quando esiste il fondamento ed esiste il termine, vi è un ordine reale tra i due e la relazione è reale, è una “res”. Se però il termine viene meno, anche l’ordine scompare e la relazione non è più una “res”, ma permane solo come “ratio”. Ciò significa che la relazione non è completamente distinta dal fondamento, ma è una “ratio” del fondamento stesso, la quale acquista realtà (cioè, diventa una “res”) al sopraggiungere del termine. Ma la presenza o assenza del termine non influisce sull’“esse in” della relazione, bensì sull’“esse ad”. Quindi la relazione non diventa reale perché acquista l’essere “in”: in qualche modo quell’essere era già presente prima, benché non avesse la forza di costituirla come relazione reale. L’“esse in” che pre-esiste alla relazione non è altro che l’essere del fondamento.

Tommaso, non pone mai in questi termini il problema della distinzione tra la relazione e il fondamento. Secondo l’Aquinate, è sufficiente affermare che il fondamento è la causa della relazione o che esso appartiene a un genere diverso da quello della relazione oppure che l’assoluto non può identificarsi con il relativo per concludere che si tratta di due realtà distinte; la duplice considerazione della relazione come “esse” e come “ratio” è tutta interna alla relazione stessa, perciò se essa è distinta dal fondamento, tale sarà anche il suo “esse”. Invece, in Egidio si assiste a un procedimento alquanto differente: la duplice considerazione della relazione come “esse” e come “ratio”, comporta quasi una scomposizione della relazione in due elementi, il primo dei quali, l’essere, viene a identificarsi con l’essere del fondamento. Anche Egidio ammette una distinzione reale tra la relazione e il fondamento, ma si tratta di una distinzione dovuta al solo elemento della “ratio”.

Da un certo punto di vista, è vero anche per Tommaso che la relazione non si distingue dal fondamento per il modo di essere, tuttavia, ciò si potrebbe affermare per qualsiasi altro accidente. Infatti, l’essere “in” è un modo di essere che accomuna tutti gli accidenti. In Egidio questo aspetto evolve in una direzione impensabile per l’Aquinate115: non solo l’essere “in”

114 «Relativum… si consideratur quantum ad esse, sic non distinguitur a suo fundamentum» (M.G. HENNINGER, Relations, 28, nota n. 49). Per Henninger, il quale ritiene che anche Tommaso identifichi l’accidentalità della

relazione e quella del fondamento, la posizione di Egidio è conforme a quella di Tommaso.

115 Per Tommaso, l’inerenza della relazione è l’essere stesso della relazione. La relazione ha un essere suo proprio,

distinto da quello della sostanza, nel senso che è questo “esse”, o meglio, “inesse” è ciò che fa della relazione un ente reale. La realtà della relazione proviene dall’essere che essa possiede, il quale è un “inesse” perché a sua volta dipende dalla sostanza. Pertanto, è fuorviante “separare” l’essere della relazione dalla sua “ratio”, come se fossero due parti che possono stare l’una senza l’altra, perché anche la “ratio” trova la sua attualità nell’“inesse” della relazione. Si vedano i seguenti testi: «[Relatio realis] habet aliud esse ab esse substantiae cui inest» (TOMMASO D’AQUINO, De potentia, q. 8, a. 1, ad 5um [Bazzi, 215b]); «Cum relatio sit accidens in creaturis, esse suum est

inesse; unde esse suum non est ad aliud se habere; sed esse huius secundum quod ad aliquid, est ad aliud se habere» (TOMMASO D’AQUINO, De potentia, q. 8, a. 2, ad 12um [Bazzi, 219a]); «In creaturis existentibus est aliud esse

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della relazione non si distingue dall’essere “in” del fondamento, ma addirittura l’essere “in” della relazione è il medesimo essere “in” del fondamento. Da qui deriva l’affermazione dell’identità dei due “esse in”, identità che si fonda sull’unità dei due “esse in”. Tommaso non potrebbe ammettere una tale unità vicendevole dell’essere “in” della relazione e del fondamento; piuttosto, volendo trovare l’unità dell’essere degli accidenti, non si potrebbe far altro che cercarla nell’essere della sostanza, il quale fonda e dà unità all’essere di tutti gli accidenti.

Benché le formulazioni dei due autori possano essere vicine, lasciando spazio solo a una variazione di accentuazioni e sfumature, si tratta in realtà di accentuazioni e sfumature significative, rivelatrici di una differente comprensione dell’essere. Il rapporto tra la relazione e il suo fondamento, messo in luce in quanto problema, apre un nuovo campo di riflessione e di confronto polemico. L’impostazione di Egidio diventerà uno dei bersagli diretti delle critiche di Enrico di Gand, la figura che domina gli ultimi anni del XIII secolo. Enrico ebbe un ruolo importante nelle condanne del 1277116 ed Egidio stesso, rimastone coinvolto, avrà modo di riprendere il dibattito solo a partire dal 1285, anno che segna la sua reintegrazione nell’università di Parigi con il conseguimento della licentia docendi117.