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2.3 ARISTOTELE

2.3.2 M ETAFISICA , V

Il secondo testo fondamentale per l’elaborazione delle dottrine medievali della relazione è rappresentato dal capitolo 15 del Libro V della Metafisica. Il capitolo si occupa dell’essere relativo, di cui Aristotele individua tre differenti modalità31:

«Ad aliquid dicuntur alia ut duplum ad dimidium et triplum ad tertiam partem, et totaliter multiplicatum ad multiplicati partem et continens ad contentum. Alia ut calefactivum ad calefactibile et sectivum ad secabile, et omne activum ad passivum. Alia ut mensurabile ad mensuram et scibile ad scientiam et sensibile ad sensum»32.

Il primo modo di essere relativi è quello in cui i rapporti che si instaurano tra gli estremi sono di natura quantitativa, secondo una certa unità di misura, come il doppio e il mezzo. Qui le parole chiave sono “unità” e “misura”, le quali entrambe rientrano nell’ambito della quantità. In particolare, in ragione dell’unità, anche l’identico, il simile e l’uguale vengono considerati dei relativi appartenenti a questo primo modo33.

Il secondo modo di essere relativi è quello che si stabilisce secondo l’azione e la passione, oppure secondo la potenza attiva e la potenza passiva. Aristotele porta come esempio il rapporto tra ciò che può scaldare e ciò che può essere scaldato (secondo la potenza) oppure il rapporto tra ciò che taglia e ciò che viene tagliato (secondo l’atto)34. Una delle esemplificazioni dei

31 Secondo Henninger, il brano aristotelico del capitolo 15 di Metafisica, V, disintgue tre classi di relazioni:

numeriche, causali e psicologiche. Si veda: M.G. HENNINGER, Relations, 6. Segue un’impostazione simile anche J. Decorte; si veda: J. DECORTE, Avicenna’s Ontology of Relation. A source of inspiration to Henry of Ghent, in J. JANSSENS - D. DE SMET, Avicenna and his heritage. Acts of the International Colloquium, Leuven - Louvain-La-

Neuve, september 8 - september 11, Leuven University Press, Leuven, 1999, 197. 32 ARISTOTELE, Met., V, 1020b, 26-32 (AL, XXV/3.2, 112).

33 «Hec igitur ad aliquid omnia secundum numerum dicuntur et numeri passiones. Et amplius equale et simile et

idem secundum alium modum; secundum enim unum dicuntur omnia. Eadem namque quorum una est substantia, similia vero quorum qualitas est una, equalia vero quorum quantitas est una; unum autem numeri principium et metrum, quare haec omnia ad aliquid dicuntur secundum numerum quidem, non eodem autem modo» (ARISTOTELE, Met., V, 1021a, 8-14 [AL, XXV/3.2, 113]).

34 «Activa vero et passiva secundum potentiam activam et passivam sunt et actiones potentiarum; ut calefactivum

ad calefactibile quia potest, et iterum calefaciens ad id quod calefit et secans ad id quod secatur tamquam agentia. Eorum vero quae sunt secundum numerum non sunt actiones sed aut quomodo in aliis dictum est; quae autem secundum motum actiones non existunt. Eorum autem quae secundum potentiam et secundum tempora iam dicuntur ad aliquid, ut quod fecit ad factum et facturum ad faciendum. Sic enim pater filii dicitur pater; hoc quidem enim fecit, illud autem passum quid est. Amplius quaedam secundum privationem potentie, ut impossibile et quaecumque sic dicuntur, ut invisibile» (ARISTOTELE, Met., V, 1021a, 14-26 [AL, XXV/3.2, 113]).

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relativi del secondo modo maggiormente ricorrenti negli scrittori medioevali è la coppia padre- figlio, di cui Aristotele parla poco più avanti nello stesso brano35.

Vi è, infine, un terzo modo di essere relativi, ossia quando il relativo non è tale per il suo riferimento ad un altro, ma perché un altro si riferisce ad esso. Il rapporto tra il conoscibile e la conoscenza (“scibile”-”scientia”) è l’esempio canonico di tale modo di essere relativi: una cosa si dice “conoscibile” non perché si riferisce alla conoscenza ma, al contrario, perché la conoscenza si riferisce ad essa36.

Poiché nei relativi del terzo modo solo uno dei due estremi si relaziona all’altro, è opinione comune tra i pensatori medievali che, secondo Aristotele, questi relativi siano non mutui, ossia non reciproci, a differenza dei relativi del primo modo e del secondo modo che, invece, sono reciproci37.

Questo testo diventa il luogo ‘canonico’ in cui i pensatori del ‘200 leggeranno una suddivisone delle relazioni a partire dal loro fondamento. Vi sono visioni contrastanti, naturalmente, su quali tipi di fondamento bisogna ammettere e su quanti tipi di relazioni esistano; ma nessuno obietta – al pari di Ockham – che la parola “fondamento” non compare mai in questo testo: vi è ancora un sostanziale accordo sul fatto che ogni relazione abbia un

35 Cf. ARISTOTELE, Met., V, 1021a, 23-24 (AL, XXV/3.2, 113). Poiché questo testo non sarà disponibile in

traduzione latina per lungo tempo, la prima attestazione significtiva dell’esempio padre-figlio, all’interno della dottrina delle relazioni, si deve in realtà a Boezio, il quale lo introduce nel suo commento alle Categorie: «Dico enim servus domini servus, et hic quoque nominativus ad genitivum relatus est. Eodem quoque modo sese habet pater filii pater, et filius patris filius, et magister discipuli magister, et discipulus magistri discipulus, haec ergo id quod sunt, similiter aliorum dicuntur» (SEVERINO BOEZIO, In Cat., II, c. De relativis [PL, 64, 217, D]). In ogni caso, già Agostino adopera l’esempio padre-figlio nell’Epist. 170, 6 (cf. AURELIUS AUGUSTINUS, Epistulae. Pars

III: Ep. CXXIV-CLXXXIV A, recensit et commentario critico instruxit A. Goldabcher, Tempsky, Vindobona -

Freytag, 1904 (CSEL, 44), 627) e nel De trinitate (cf. AGOSTINO, De trin., V, 11, 12, [CCSL, 50, 219]); ma la particolarità dell’uso boeziano è che tale esempio viene fatto in un contesto in cui già vi è una teoria esplicita della “relatio”. Questo è quanto sostiene Ch.J. Martin in suo recente contributo: «Although Aristotle in the Categories provides us with dominus and servus as an example of correlatives, it is Boethius who is responsible for introducing

pater and filius, the pairing which will become paradigmatic in eleventh-and twelfth-century discussions of

relation» (Ch.J. MARTIN, The Invention of Relations: Early Twelfth-Century Discussions of Aristotle’s Account of

Relatives, in “British Journal for the History of Philosophy” [2016], 24/3, 450).

36 «Secundum numerum quidem igitur et potentiam dicta ad aliquid omnia sunt ad aliquid eo quod quod quidem

est alterius dicitur ipsum quod est, sed non eo quod aliud ad illud; mensurabile vero et scibile et intellectuale eo quod aliud ad ipsum dicitur ad aliquid dicuntur. Nam intellectuale significat quia ipsius est intellectus, non est autem intellectus ad hoc cuius est intellectus; bis enim idem dictum utique erit. Similiter autem et alicuius visus est visus, non cuius est visus (quamvis verum hoc dicere) sed ad colorem aut ad aliud aliquid tale. Illo vero modo bis idem dicetur: quia est visus cuius est visus» (ARISTOTELE, Met., V, 1021a, 26 - 1021b, 3 [AL, XXV/3.2, 113- 114]). Il testo di Aristotele si presta anche a differenti interpretazioni. Egli parla, in sequenza, di: misurabile, conoscibile e sensibile. Questo accostamento ha fatto pensare che il conoscibile sia misurabile dall’intelletto, e non viceversa. Sostiene questa opinione, per esempio, Decorte in: J. DECORTE, Avicenna’s Ontology, 197-198. La posizione contraria è quella espressa nel presente lavoro e la ragione è che se la scienza dipende dal conoscibile, è essa che deve essere misurata dalla cosa, e non viceversa. Scoto, per esempio, chiarisce questo punto nel Commento

alla Metafisica, dove chiarisce in che senso le cose della natura siano misurate dall’intelletto e in qual modo non

lo siano. Se l’intelletto è quello divino, allora esso è misura delle cose; se l’intelletto è quello umano, esso viene misurato dalle cose (cf. QMet., V, 12-14, § 99, III, 638). Ad ogni modo, si tratta di un problema aperto, che non si intende qui affrontare.

37 Scoto smentisce, in una certa misura, lo schema secondo cui i relativi del terzo modo si distinguano dagli altri

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fondamento ed è sufficiente trovare nel brano aristotelico la preposizione “secundum” (p.es. “secundum numerum”), che in quel contesto ha valore causale, per affermare che in quel brano si sta parlando della causa della relazione, ossia del suo fondamento.