3.2 LA RELAZIONE NELLE OPERE FILOSOFICHE E TEOLOGICHE
3.2.2.2 I «sex principia»
Il Liber sex principiorum è un testo che gode di una certa autorevolezza nel XIII-XIV secolo199. In quest’opera viene operata una distinzione interna alle categorie accidentali: alcune,
196 Ord., III, 8, § 28, IX, 304. Si veda anche il parallelo nella Lectura: «Praeterea, si ponitur quod una relatione
pater referatur ad plures filios, oportet ponere quod alio respectu sit unius filii et alterius, sicut dicunt etiam aliqui viam praedictam sustinentes; et tunc sequitur quod plura unius rationis sunt in eodem, quia illi respectus erunt unius rationis, et etiam sequitur quod relatio fundetur in relatione ut in fundamento, – quod non est verum secundum eos nec in se verum in proposito» (Lect., III, 8, § 27, XX, 224).
197 La posizione di Scoto sul rapporto padre-figli è ben espressa anche in: QMet., V, 7, § 68, III, 506. 198 Cf. QMet., V, 11, §12, III, 575; Ord., II, 1, § 229, VII, 115.
199 Il Liber sex principiorum o De sex principiis è un testo composto nella seconda metà del XII secolo, per qualche
tempo erroneamente attribuito a Gilberto di Poitiers. Si tratta di un’opera di logica, per molti aspetti vicina al pensiero di Abelardo, in cui dopo un denso e complesso preambolo dedicato alla forma, in generale, si
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infatti, avvengono nella sostanza (“intra substantiam”), mentre altre sono estrinseche alla sostanza (“extrinsecus adveniens”)200. I “sex principia” di cui l’opera si occupa sono gli ultimi sei predicamenti aristotelici (“dove”, “quando”, “posizione”, “azione”, “passione”, “abito”), i quali costituiscono l’inseme delle determinazioni estrinseche alla sostanza201.
Ciascuno di questi predicamenti “minori”, fa notare Scoto, include nella propria “ratio” un certo riferimento (“respectus”): p.es., il “dove” indica un riferimento al luogo, il “quando” indica un riferimento al tempo, oppure – in maniera emblematica – l’azione indica un riferimento alla passione202. La presenza di simili riferimenti (“respectus”) pone il problema di come i predicamenti “minori” possano distinguersi dal predicamento “relazione”, al punto che ci si può chiedere se essi non rientrino tutti sotto un unico genere “relativo” (“genus respectivum”), o meglio, se i “sex principia” non siano da considerarsi tutti quanti come specie del genere relazione203. In tal caso, il “respectus” sarebbe ciò che costituisce il genere della relazione, mentre i “sex principia” sarebbero delle specie di tale genere, ossia dei “respectus” determinati da certe differenze specifiche. Così facendo i “sex principia” non potrebbero più essere considerati dei generi sommi, perderebbero lo statuto di veri e propri predicamenti e, conseguentemente, il numero dei predicamenti verrebbe ridotto a quattro204.
Scoto non è contento di una tale soluzione: seguendo il consiglio di Avicenna, egli ritiene che non si debba facilmente contraddire l’autorità dei filosofi del passato, i quali hanno concordemente ammesso che vi sono dieci predicamenti205. Per questo motivo, cercando una
approfondiscono le ultime sei categorie, trascurate da Aristotele nelle Categorie. Chiude il libro una riflessione sul più e il meno e l’aumento e la diminuzione. L’opera entra nei curricula di studio, anche perché sopperisce a una mancanza del testo aristotelico nello studio delle dieci categorie. Si veda: L. MINIO-PALUELLO, «Magister Sex
Principiorum», in “Studi Medievali” (1965), n. 6/2, 123-151; P.O. LEWRY, The Liber sex principiorum, a
supposedly Porretanean Work. A Study in Ascription, in J. JOLIVET -A. de LIBERA (éds.), Gilbert de Poitiers et ses
contemporains. Aux origines de la Logica modernorum, Bibliopolis, Napoli, 1987, 251-252.
200 «Eorum vero que existenti contingunt singulum aut extrinsecus advenit aut intra substantiam simpliciter
consideratur» (De sex princ., c. 1, § 14 [AL, I/6-7, 38]).
201 Nel Liber sex principiorum, la relazione e i relativi non ricevono particolare attenzione, anche perché non
sembrano trovare posto nell’elenco delle cose che avvengono estrinsecamente: «Ea vero que quod extrinsecus est exigunt, aut actus aut pati aut dispositio aut esse alicubi aut in mora aut habere necessario erunt» (De sex princ., c. 1, § 15 [AL, I/6-7, 38]). La relazione non viene inclusa nell’elenco delle cose che avvengono estrinsecamente. Quindi, dovrebbe stare tra quelle che avvengono intrinsecamente.
202 In realtà, per il “dove” e il “quando” la questione è un po’ più articolata. Su questo si veda: P. PORRO, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale. L’aevum, il tempo discreto, la categoria «quando», Leuven University
Press, Leuven, 1996, 409.
203 Cf. Ord., IV, 13, §§ 41-44, XII, 450-451. Scoto si chiede in un primo momento se non si debba ammettere un
unico genere che comprenda in sé tutte le cose relative (“unum genus respectivum”). Ciò potrebbe significare che (i) vi è un unico genere che comprende in sé, come sue specie, la relazione e i “sex principia”; oppure (ii) vi è il genere della relazione, il quale contiene in sé i “sex principia” come sue specie. Scoto intende la domanda nel secondo modo, ma non p evidente perché non la consideri nel primo modo.
204 Nell’ultimo quarto del XIII secolo vi sono alcune tendenze riduzioniste circa le ultime sette categorie (Enrico
di Gand e Simone di Faversham); non manca, inoltre, chi mette in discussione la concezione realista di tutte e dieci le categorie (p.es., Pietro di Giovanni Olivi). Si veda, in proposito: G. PINI, Scotus’s Realist Conception, 71-78.
205 «Si omnes respectus habeant unam quiditativam rationem communem respectus, non poneretur nisi unum genus
respectivum, et ita non sunt nisi quattuor praedicamenta! Si igitur debet salvari ista famosa divisio praedicamentorum (quia secundum Avicennam III Philosophiae, nos cogimur observare illam divisionem qua
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soluzione che salvaguardi la tradizione, egli sostiene che il “respectus” deve essere considerato come avente una “ratio formalis” che lo determina in modi radicalmente diversi, ciascuno dei quali costituisce non una specie, ma un genere a sé. Questa “ratio formalis” che permette di distinguere i diversi tipi di “respectus” coincide con il criterio divisivo proposto dall’autore del
Liber sex principiorum, ossia l’essere “intrinsecus” o “extrinsecus adveniens”. La relazione
risulta essere un “respectus intrinsecus adveniens”, mentre i “sex principia” sono dei “respectus extrinsecus adveniens”206.
Il tenore di questa soluzione mostra quale sia il vero interesse di Scoto. Egli non mira a trovare gli aspetti distintivi della “ratio” di ciascun predicamento. Né vuole proporre una dimostrazione della cosiddetta “sufficientia predicamentorum”207. Il suo intento sembra piuttosto quello di evitare che il “respectus” venga considerato come costituente un genere a sé. La distinzione tra “respectus intrinsecus adveniens” e “respectus extrinsecus adveniens” indica una dicotomia originaria, la diversità radicale di due diversi tipi di “respectus”. Ma ciò può essere fatto solo a patto di ri-significare i termini “respectus” e “relatio”. Se si vuole, si può anche mantenere la loro sinonimia, ma ciò che va tenuto fermo è la diversa determinazione del “respectus” (o della “relatio”, se sono sinonimi) ai fini della costituizione di un certo genere208. Tale determinazione non dev’essere intesa come una differenza specifica, altrimenti l’argomentazione di Scoto non avrebbe valore. Piuttosto, si deve ammettere che, a fronte della distinzione tra “respectus intrinsecus adveniens” e “respectus extrinsecus adveniens”, il semplice “respectus” (inteso come riferimento puro, scevro di qualsiasi determinazione) non ci permette di definire alcunché. Ciò significa, da una parte, che la relazione non si può definire solo come un puro riferimento e, dall’altra, che la relazione non è l’unico predicamento che permette di stabilire un riferimento, sebbene sia l’unico che può stabilirlo in maniera intrinseca209.
dicuntur esse decem generalissima, – cogimur, inquam, propter philosophorum antiquam auctoritatem cui non debet facile contradici), necesse est dicere quod respectus habeat sufficientes rationes formales, sufficientes – inquam – ad distinctionem generum» (Ord., IV, 13, § 42; XII, 450-451).
206 «Haec autem differentia sufficiens ad istud, quae probabilius colligitur ex dictis auctorum, est respectus
intrinsecus et extrinsecus adveniens» (Ord., IV, 13, § 43; XII, 451). La divisione qui proposta riguarda la caratterizzazione del “respectus”, il quale, essendo radicalmente diverso, non è un genere comune che poi si suddivide, ma è originariamente dicotomico. I “sex principia” si distinguerebbero, quindi, l’uno dall’altro per la diversa natura del fondamento e termine del “respectus” – ma quest’ultima è un’ipotesi, perché Scoto non ne parla esplicitamente. La cosa importante, per lui, non è trovare l’aspetto distinguente delle sette categorie relative, bensì evitare di considerare il “respectus” quasi fosse un genere a sé.
207 Cf. G. PINI, Scoto e l’analogia, 145-158.
208 Talvolta, Scoto parla non solo di “respectus” estrinseco e intrinseco, ma anche di “relatio” estrinseca e
intrinseca: «Relatio realis intrinsecus adveniens necessario sequitur positionem extremorum […]. Quod si sit relatio extrinsecus adveniens, necesse est sibi dare causam per quam adveniat extremis iam positis (Ord., IV, 14, § 23, XIII, 5). Questo uso però sembra limitato al solo Libro IV e, in particolare, alle sole distinzioni 14 e 26. SI veda, per esempio: Ord., IV, d. 26, § 66, XIII, 353.
209 P. King imposta in altri termini la discussione sugli accidenti relativi: «The categories of absolute being are the
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Nel Libro III della Lectura (d. 1), vi è una formulazione molto chiara e sintetica di questa distinzione: «Relatio, prout distinguitur ab aliis respectibus, dicitur esse ‘intrinsecus adveniens’»210. L’uso della distinzione tra “intrinsecus adveniens” ed “extrinsecus adveniens”, derivata dal Liber sex principiorum, è limitata ai commenti dei libri III e IV delle Sentenze; nei libri precedenti dell’Ordinatio si trova solo come Adnotatio Duns Scoti211: da ciò si potrebbe dedurre che si tratti di una posizione maturata da Scoto nel suo primo periodo parigino. Si trova anche (e in modo non solo notevole, ma anche molto chiaro e consapevole, in Quodlibet, q. 11212).