All’interno della più generale controversia sulla natura degli universali, nel corso del XII secolo si discute anche dei relativi: ci si chiede se quanto affermato da Aristotele riguardo a questo predicamento sia da applicarsi alle specie, agli individui oppure a entrambi.
Alcuni commentari alle Categorie, anonimi, ma vicini alla scuola di Guglielmo di Champeaux, discutono il problema degli individui nel genere della relazione, come nel caso della paternità e della filiazione63. Ci si chiede se una paternità individuale e una filiazione individuale si riferiscano l’una all’altra in virtù di se stesse, in quanto sono “questa” paternità e “questa” filiazione, oppure in virtù della loro specie, ossia per la specie della paternità e la specie della filiazione. La risposta di tali commentatori anonimi propende per il secondo caso:
59 «Flecto genua mea ad Patrem Domini nostri Iesu Christi, ex quo omnis paternitas in caelis et in terra nominatur»
(Ef 3, 15). Il termine del testo greco originale, tuttavia, significa piuttosto “famiglia” o “discendenza”.
60 IOHANNES SCOTTUS SEU ERIUGENA, Periphyseon, II, 600, B, in GIOVANNI SCOTO ERIUGENA, Divisione della Natura, a cura di N. Gorlani, Bompiani, Milano, 2013, 607. Quest’edizione contiene il testo latino a fronte, tratto
dall’edizione critica curata da E. Jeauneau e pubblicata nei volumi 161-165 del “Corpus Christianorum Continuatio Medievalis”.
61 Il XII secolo viene anche indicato come “età boeziana” della teologia, proprio a motivo del riacceso interesse
per i commentari logici di Boezio e per l’importanza ad essi attribuiti nell’ermeneutica della “sacra pagina”. Su questo si veda: G. D’ONOFRIO, L’età boeziana della teologia, in G. D’ONOFRIO (a cura di), Storia della teologia
nel Medioevo. II. La grande fioritura, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria), 1996, 283-391.
62 Cf. J. MARENBON, The Emergence of Medieval Latin Philosophy, in R. PASNAU - Ch. van DYKE (eds.), The Cambridge History of Medieval Philosophy, I, Cambridge University Press, Cambirdge, 2010, 29.
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gli individui dei relativi e della relazione si riferiscono mediante le loro specie64. Da qui sorge un’altra questione: poiché la specie non si riferisce all’individuo, dal momento che non ne dipende, e poiché l’individuo si riferisce per mezzo della specie, ne consegue che “questa” paternità non si riferisce a “questa” filiazione, ossia l’individuo della paternità, in quanto individuo, non si riferisce all’individuo della filiazione, in quanto individuo; anzi, una singola paternità individuale può riferirsi a molteplici filiazioni individuali in virtù dell’unica sua specie. Ciò viene confermato anche dal fatto che la paternità, così come ogni accidente, viene individuata dal soggetto in cui inerisce; pertanto, se il soggetto avesse due paternità, queste non sarebbero distinguibili; perciò, non avrebbe senso introdurne più di una. La conclusione è che un solo padre si riferisce a più figli mediante una sola paternità65.
Pietro Abelardo reagisce contro questa teoria, affermando che quanto detto da Aristotele per i relativi si applica agli individui, i quali si riferiscono in quanto individui. Nella categoria dei relativi, infatti, non vi sono altre cose che gli individui del genere della relazione. È solo perché un particolare uomo ha una particolare paternità che la specie della paternità può inerire nella specie dell’uomo. Dalla correlatività degli individui si inferisce la correlatività delle specie, e non viceversa66.
Il nome relativo, secondo il Maestro Palatino, denota innanzitutto il fondamento della relazione, la quale come una forma va a determinare il suo soggetto67. Si ha qui, forse per la prima volta l’uso di una terminologia che diventerà comune nel modo di trattare la relazione nel secolo successivo: dove prima si parlava semplicemente del soggetto della relazione, Abelardo testimonia l’aggiunta del termine “fundamentum”; inoltre, si assiste all’introduzione del termine “respectus”, ossia il riferimento considerato in se stesso:
«Sed quia proprie fundamenta relationum, veluti substantia ipsa quae pater est vel filius, respicienda ad invicem dicuntur, relationes vero sicut ipsa paternitas vel filiatio, ipsi sunt respectus secundum quos subiecta sese respiciunt, addit: quodammodo relationes se habent ad invicem, non secundum quod in essentiis sese respiciant sed quia subiecta ad invicem respicere faciunt»68.
64 «[The autor of the commentary named] V concludes after an extensive discussion of the question that they are
not related as particular individuals to individuals of the correlative species» (Ch.J. MARTIN, The Invention, 461).
65 Cf. Ch.J. MARTIN, The Invention, 463. Correlativamente, ogni figlio si riferisce al padre con una distinta
filiazione perché è un soggetto diverso che individua una diversa filiazione. Ma la specie è una sola, in ogni caso.
66 Cf. Ch.J. MARTIN, The Invention, 464-465.
67 «Modo nomen est fundamentorum relationum, sumptum scilicet a relatione, generalissimo; unde dicit Boethius,
quia Socrates in quantum pater est, ad aliquid est, id est formatus relatione» (PIETRO ABELARDO, Logica
ingredientibus, II, De relativis, in PETER ABAELARDS, Philosopische Schriften. I. Die Logica ,Ingredientibus’, zu ersten male herausgegeben von B. Geyer, Aschendorff, Munster, 1919, [Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters, 21/1], 201).
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Per Abelardo le relazioni sono dei “respectus”; ogni volta che una relazione determina un soggetto, il fondamento di quella relazione acquista un riferimento, un “guardare verso” qualcos’altro. Il padre, pur essendo unico, può perciò avere diverse paternità senza che si debba dire che vi sono altrettanti padri, tanti quante sono le paternità. Infatti, sembra dire Abelardo, la relazione si individua a partire dal riferimento, non a partire dal fondamento. Quest’ultimo viene semplicemente denominato a partire dalla relazione, intesa come il genere generalissimo. Il ruolo dell’opera di Abelardo appare significativo soprattutto perché ha contribuito ad elaborare una dottrina della relazione sottolineando la sua referenzialità, piuttosto che la sua accidentalità (pur senza negarla). La nozione di “respectus” permette di risolvere in maniera elegante problemi come quello della paternità e altri simili, ma soprattutto, doterà gli autori del XIII secolo di un linguaggio estremamente raffinato. Di lì a poco, infatti, si sarebbero affacciati sulla scena filosofica problemi di natura ontologica circa le relazioni molto più radicali di quelli trattati da Abelardo. Già con Gilberto di Poitiers si comincia a ventilare l’idea che le relazioni possano essere (sia come individui, sia come specie) nient’altro che affissioni esterne aggiunte dall’intelletto sulle cose. Con l’arrivo dei testi di Avicenna questo tipo di problema viene posto in modo esplicito, come problema filosofico69.