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I trascendentali disgiuntivi e le perfezioni pure

1.2 GLI STUDI SU SCOTO

1.2.6 L A NOZIONE DI “ TRANSCENDENS ”

1.2.6.3 I trascendentali disgiuntivi e le perfezioni pure

Nella nuova concezione della trascendentalità offerta da Scoto, vi sono alcune idee che risultano importanti anche per la comprensione della “relatio transcendens”. Beckmann ha individuato nell’essere formale la condizione ontologica della trascendentalità. Aertsen critica questa visione, in quanto ritiene che non sia del tutto corretto ammettere che qualsiasi proprietà trascendentale debba consistere in una “formalitas”:

«It is true that being and the convertible transcendentals are distinct formalities, but this is not a criterion of transcendentality as such, for the relation between being and the disjunctive transcendentals requires, Scotus observes, another distinction than that of reality and reality, that is, a formal distinction»82.

La tesi di Beckmann si sposa bene con la concezione dei trascendentali convertibili, i quali sono si presentano come delle formalità distinte all’interno dell’ente. Tuttavia, l’essere distinte formalmente non appare come il criterio decisivo per essere “transcendens”. Infatti, questo tipo di distinzione non sembra essere appropriata per i trascendentali disgiuntivi. Stando a quanto afferma Scoto, almeno due di tali trascendentali, il finito e l’infinito, non sono distinti formalmente dall’ente, perché non rappresentano delle realtà con un proprio contenuto formale aggiunto al contenuto formale dell’ente. Essi sono piuttosto dei modi intrinseci dell’ente, e la

81 «He advances a new conception of transcendentality, of the cognitive primacy of being and of the predicability

of being. Scotus understands the traditional feature of transcendental notions as the communia in a more radical manner by interpreting being and the properties convertible with it as univocally common to God and creatures. The claim of the univocity of being was his most challenging (and most controversial) innovation. Against the general opinion that “analogical” commonness is the mark of transcendentality Scotus introduces a new kind of univocation, which “transcends” the univocation of a genus, as a precondition of a science of being in general. At the same time Duns Scotus does not see commonness as the exclusive criterion and necessary condition of transcendentality. He determines the ratio of transcendens in a purely negative manner: what is transcendental is not contained under a genus. The separation from commonness makes it possible to include what is formally said of God into the notion and to extend the transcendental domain to the disjunctive properties of being» (J.A. AERTSEN, Medieval Philosophy, 432).

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loro distinzione non è di tipo formale. Talvolta, si suole chiamare questo tipo di distinzione “modale” – ma l’espressione non appartiene a Scoto83.

Secondo Aertsen, i criteri per stabilire la trascendentalità sono principalmente due: uno negativo e l’altro positivo. Il criterio negativo indica come condizione della trascendentalità la non appartenenza a un genere. Il criterio positivo, invece, si richiama all’idea delle perfezioni pure: secondo Scoto, tutti i trascendentali sono perfezioni pure. Entrambi i criteri hanno come effetto la separazione tra la trascendentalità e la comunanza ai dieci generi. Ma in diverso modo. Il criterio negativo (“non appartenere a un genere”) dichiara trascendentali sia le cose che sono comuni a Dio e alle creature, sia le cose che sono proprie solo di Dio. Essendo quest’ultimo l’ente infinito, ed essendo i dieci generi confinati all’interno dell’ente finito, ne consegue che anche ciò che non è comune può trascendere i dieci generi. Mediante questo criterio, inoltre, Scoto unisce i due diversi significati del termine “transcendens”, nel medioevo: ciò che è comune e ciò che è divino84. Il criterio negativo, da solo, lascia spazio a qualche ambiguità, infatti, vi sono due ragioni per cui qualcosa può non appartiene a un genere: o per la comunanza di predicazione, o per la trascendenza ontologica85. Il criterio della non appartenenza a un genere tiene insieme queste due possibilità, ma allo stesso tempo indebolisce il requisito della comunanza di predicazione, il quale non rappresenta più una condizione necessaria per essere “transcendens”.

Il criterio positivo (“essere una perfezione pura”) dichiara trascendentali quelle cose la cui perfezione può raggiungere il grado infinito. L’idea delle perfezioni pure perciò accompagna in qualche modo tutte le proprietà che si possono rinvenire in Dio. In questo modo, essa non è tanto una classe di trascendentali accanto alle altre, ma un requisito di ciascuna di esse. Il limite di questo criterio è che non riesce bene a rendere ragione del perché siano trascendentali anche i membri meno perfetti delle coppie disgiuntive, come per esempio finito-infinito, possibile- necessario: i concetti di “finito” e “possibile” esprimono certamente una qualche limitazione. Nonostante ciò, è indubbia l’utilità dell’aver introdotto anche un criterio della trascendentalità che contenga un esplicito richiamo all’idea di perfezione e alla pienezza di essere.

83 Queste considerazioni portano a un importante conclusione: con la dottrina dei trascendentali disgiuntivi, Scoto

elabora una “esplicazione modale” dell’ente. La nozione di “esplicazione modale” dell’ente viene introdotta per la prima volta da Honnefelder in: L. HONNEFELDER, Scientia, XVIII. Per un approfondimento su questa concezione dell’ente, si vedano anche: L. HONNEFELDER, Ens, 379-390; W. HOERES, Gradatio entis. Sein als Teilhabe bei

Duns Scotus und Franz Suárez, Editiones scholasticae, Heusenstamm (Frankfurt am Main), 2012, 40-57; J.A.

AERTSEN, Medieval Philosophy, 429.

84 Cf. J.A. AERTSEN, Medieval Philosophy, 385.

85 A differenza di Aertsen, Beckmann intende il criterio della non appartenenza a un genere prima di tutto come

un criterio logico, quindi legato più alla predicazione che alla trascendenza ontologica. La visione di Aertsen, tuttavia, sembra maggiormente convincente.

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