3.2 LA RELAZIONE NELLE OPERE FILOSOFICHE E TEOLOGICHE
3.2.1 L A RELAZIONE COME “ ENS IN ALIO ”
3.2.1.1 Soggetto e fondamento: distinzione terminologica?
Secondo Abelardo il fondamento della relazione è la sostanza che viene riferita ad altro, p.es. l’uomo che è padre per la paternità65; ma ciò che riceve la predicazione della paternità è anche
soggetto di essa66. Perciò l’uso dei termini “fondamento” e “soggetto”, in Abelardo, appare interscambiabile67. Successivamente, nel XIII secolo, si affaccia la consapevolezza che vi debba essere una distinzione tra il fondamento e il soggetto della relazione68.
64 «[Principium dicitur] aliud unde primum generatur inexistente, ut navis sedile et domus fundamentum»
(ARISTOTELE, Met., V, 1013a, 4-5 [AL, XXV/3.2, 92]).
65 Cf. Supra, par. 2.4. 66 Cf. Supra, par. 2.4.
67 Cf. J. BROWER, Abelard’s Theory, 605-631.
68 Sulla questione del fondamento si veda anche: K.R. OLSON, An Essay on Facts, Center for the study of language
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Bonaventura da Bagnoregio di solito distingue tra il soggetto della relazione, che è un individuo (“suppositum”), e il principio da cui sorge la relazione, che spesso viene denominato anche “causa” o, più raramente, “fondamento” della relazione69.
Tommaso d’Aquino chiama “fondamento” ciò che nel soggetto ha il ruolo di causa rispetto alla relazione, mentre il soggettostesso, appartenente al genere della sostanza, è ciò che viene riferito, ciò che riceve la relazione. Per esempio, la relazione di somiglianza, che si fonda sulla qualità, si trova nella qualità come nella sua causa, mentre si trova nelle cose simili come nel suo soggetto70. Ad ogni modo, come ha notato A. Krempel, egli non predilige l’uso di questo termine71.
Enrico di Gand considera la relazione come ciò che accade a un soggetto, al quale accade qualcos’altro su cui la relazione si fonda. Ciò può avvenire in due modi: in alcuni casi, la relazione accade solo al soggetto; in altri casi, la relazione accade sia al soggetto sia al fondamento72. In ogni caso, la relazione non ha una sua propria inerenza. Piuttosto, si appoggia all’inerenza del fondamento e, in questo, si differenzia dagli accidenti assoluti (quantità e qualità)73. Il “soggetto” e l’“inerire”, in questa visione, si dicono in modo equivoco per gli accidenti assoluti e per quelli relativi74.
La posizione di Scoto espressa in QMet., V, 11, somiglia molto a quella di Enrico di Gand poichè anch’egli ammette che il soggetto e il fondamento rappresentano entrambi un “in quo”, qualcosa in cui la relazione si trova; tuttavia, vi sono alcune differenze notevoli tra i due autori: secondo Scoto il soggetto è un “in quo” mediato, mentre il fondamento è immediato75, perciò non è possibile che una relazione accada direttamente al soggetto, come invece sostiene Enrico, a meno che il soggetto si identifichi con il fondamento (è il terzo caso proposto in QMet., V,
69 Il soggetto è un “in quo”, mentre il principio è un “a quo”; il termine è un “ad quem”.
70 «Relatio fundatur in aliquo sicut in causa, ut similitudo in qualitate; et in aliquo sicut in subiecto, ut in ipsis
similibus» (TOMMASO D’AQUINO, Super Sent., IV, d. 27, q. 1, a. 1, qc. 1, ad 3um [Fiaccadori, 926b]). 71 Sulla posizione di Tommaso d’Aquino si veda: supra, par. 2.7.
72 «Ipsa enim accidit subiecto, quia eidem subiecto accidit secundum se et absolute id super quod fundatur. Sed
hoc dupliciter, secundum quod praedictum est. Aut enim relatio accidit subiecto tantum et non illi super quod fundatur, secundum quod homini accidit esse similem, non albedini; aut accidit utrique, secundum quod homini accidit esse duplum quia ei accidit quantitas, supra quam per se fundatur ratio dupli. Quantitas enim est per se et primo dupla, et non per aliquod aliud accidens quod ei inest, cui prius convenit esse duplum: aliter enim esset abire in infinitum reducendo per accidens ad per se, ut patet inspicienti. Et ipsa relatio quae est duplum aut simile, non est res I aliqua alia ab illa super quam fundatur, sed solum respectus ipsius quantitatis et subiecti eius, quo formaliter utrumque eorum vel alterum refertur ad aliud» (ENRICO DI GAND, Summa, a. 32, q. 5 [Macken, XIII, 94]).
73 «Quia enim fundamentum inest subiecto, ideo et illud quod ei inest ut fundamento, per illud etiam inest subiecto,
et sic per illud etiam est accidens subiecto. Propriam tamen et per se inhaerentiam in subiecto, sicut habent accidentia absoluta, nequaquam habet» (ENRICO DI GAND, Quodl., IX, q. 3 [Macken, XIII, 87]).
74 Per un approfondimento sulla posizione di Enrico di Gand, si veda: supra, par. 2.8.
75 Scoto adotta una posizione per certi aspetti simile a quella di Enrico, ma con l’importante differenza che egli
attribuisce un’inerenza propria alla relazione. Scoto non considera equivoco l’“esse in” degli accidenti, così che la relazione non abbia in realtà una inerenza propria
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11, quello della “quantitas per se”)76. Il pensiero di Scoto risente, su questo punto, sia dell’influenza di Avicenna, il quale ritiene che un accidente possa inerire in un altro accidente, sia dell’influenza di Enrico di Gand, il quale ritiene che alcuni fondamenti, come la quantità, possano fungere da soggetto per la relazione; ma a differenza di Enrico, Scoto ritiene che la relazione possieda una sua propria inerenza e non si appoggi sull’inerenza del fondamento.
Poiché la relazione si trova sia nel soggetto, sia nel fondamento, entrambi dovrebbero potersi dire in modo relativo secondo quella relazione: sia l’uomo, sia il bianco dovrebbero potersi dirsi “simili” a qualcos’altro77. Questo modo di considerare il soggetto e il fondamento nelle opere di Scoto talvolta genera confusione, perché sembra togliere ogni differenza nell’uso dei due termini; o meglio, sembra che spesso si ricada nel caso in cui il soggetto e il fondamento si identificano (come nella “quantitas per se”), dal momento che la medesima cosa può fungere da soggetto e da fondamento della relazione: così come Enrico di Gand amette che la quantità è doppia “primo et per se”, allo stesso modo pare che Scoto vada ancora oltre dicendo che anche la qualità è simile “primo et per se”.
Vi sono perciò alcune questioni, riguardo al soggetto e al fondamento, nel pensiero di Scoto, che richiedono un chiarimento: in primo luogo, se vi sia una distinzione consapevole o, almeno, effettiva nell’uso dei termini “soggetto” e “fondamento”; in secondo luogo, se il fondamento, essendo un “in quo” per la relazione, sia anche “informato” da essa; in terzo luogo, se il fondamento sia semplicemente un “in quo” rispetto alla relazione oppure abbia anche qualche altro ruolo nei suoi confronti.
3.2.1.1.1 Distinzione tra soggetto e fondamento: discussione sui termini
Nelle opere teologiche ricorre spesso una distinzione tra fondamento prossimo e fondamento remoto, che in qualche modo si potrebbe ricondurre a quella tra fondamento immediato e soggetto (mediato), presente in QMet., V 11. Si potrebbe pensare allora che la terminologia del
Commento alla Metafisica (“soggetto”, “fondamento immediato”), più vicina all’uso
linguistico di Enrico di Gand, si sia poi evoluta in quella di “fondamento prossimo” e “fondamento remoto”, presente nei commenti alle Sentenze78. Tuttavia, questa conclusione che divide schmaticamente le terminologie tra le opere teologiche e quelle filosofiche, si scontra
76 Si noti come anche in Giacomo da Viterbo si trovano affermazioni secondo cui la relazione inerisce nel
fondamento come nel suo soggetto: «Relatio est in suo fundamento sicut in subiecto, non dans esse sed referens» (GIACOMO DA VITERBO, QDPr., q. 11 [Ypma, II, 49, 1118-1119]).
77 Come si vedrà, “simile” è un modo improprio di denominare il fondamento; il termine “simile”, infatti, denomina
propriamente il soggetto. Si veda: infra, par. 3.2.1.1.1.
78 La coppia mediato/immediato non riguarda una distinzione dell’inerenza della relazione, ma una differente
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con la presenza di alcuni passi dell’Ordinatio che sembrano supporre la distinzione tra “soggetto” e “fondamento”79 e, per converso con alcuni passi del commento alla Metafisica in cui occorre la terminologia del fondamento remoto e prossimo80.
La confusione può nascere perché Scoto non distingue nettamente l’uso dei due termini “fondamento” e “soggetto”. Talvolta egli pone due tipi di distinzione:
- tra “fondamento immediato” e “fondamento remoto”81; - tra “fondamento prossimo” e “fondamento remoto”;
Richiamando il passo di QMet., V, 11, § 48 («relatio realis in uno est immediate, quod dicitur fundamentum; in alio […] mediate, quod dicitur subiectum»)82, sembra che si debba porre da una parte un’equivalenza tra il termine “fondamento” (senza alcuna qualificazione) e il primo membro di tali distinzioni (“fondamento immediato”, “fondamento prossimo”) e, dall’altra, un’equivalenza tra il termine “soggetto” e il secondo membro di tali distinzioni (“fondamento remoto”).
In questo modo, il termine “fondamento” viene esteso a coprire l’ambito semantico del termine “soggetto”; l’aggiunta della qualificazione “remoto” serve a distinguere questa accezione del termine “fondamento” da quella più comune, secondo cui il fondamento è una realtà inerente nel soggetto e non il soggetto stesso.
A complicare ulteriormente le cose si può trovare l’estensione inversa del termine “soggetto” a coprire l’area semantica del fondamento: secondo Scoto, infatti, si può anche dire che il fondamento è un soggetto, ma per distinguerlo dal significato originario del termine “soggetto”, si specifica che il fondamento è un “soggetto prossimo”83.
QMet., V, 11, § 48 QMet., IX, 3-4 Ord., IV, 1284
“fundamentum” fondamento immediato fondamento prossimo soggetto prossimo
“subiectum” (id in quo) mediato fondamento remoto. (soggetto remoto?)
79 «Ablutio sola non est subiectum nec fundamentum huius relationis, sed ambo simul, ablutio et verba» (Ord., IV,
3, § 18, XI, 168).
80 «Patet itaque quod principium importat essentialiter relationem principiationis, et hoc in concreto, ut scilicet
natum est concernere immediatum suum fundamentum, quod est “quo”, non autem remotum sive subiectum, quod est “quod”. Et hoc intelligendum est ubi “quod” et “quo” distinguuntur aliquo modo realiter» (QMet., IX, 3-4, § 19, IV, 542; corsivi non originari). Si vedano anche: QMet., V, 12-14, § 107, III, 640; QMet., VII, 8-10, § 75, IV, 175; QMet., VII, 13, § 67, IV, 241-242; QMet., VII, 18, § 6, IV, 338.
81 Cf. Lect., I, 19, § 49, XVII, 280; Ord., I, 19, § 7, V, 267. 82 QMet., V, 11, § 48, III, 583.
83 «Loquendo de eo quod denominatur a ‘per se accidentis significato’, et est per se respectus, contradictio est
quod sit sine subiecto, et hoc actu, ita scilicet quod non actu inhaereat subiecto, extendendo subiectum ad fundamentum quod potest dici proximum subiectum respectus» (Ord., IV, 12, § 31, XII, 307).
84 I brani segnalati sono solo quelli maggiormente rappresentativi; per una lista più completa, si veda: supra, nota
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La confusione terminologica deriva anche dal fatto che, nei casi segnalati, il soggetto e il fondamento vengono considerati entrambi come “in quo” rispetto alla relazione. In quanto “recettivi” della relazione, entrambi hanno un significato comune e differiscono soltanto per la maggiore o minore “vicinanza” rispetto alla relazione che in essi si trova. Se, però, si guarda non solo all’aspetto “recettivo”, ma anche a quello “causale-effettivo” nei confronti della relazione, allora si mostrano ulteriori differenze.
Uno dei testi più illuminanti a tal proposito si trova proprio nel commento alla Metafisica:
«Ab ista relatione quae dicitur “principiatio” significata in abstracto, diversimode denominatur “illud quod” principiat et “illud quo” principiat, quia “illud quo” immediate et “illud quod” mediate. Et secundum hoc possunt duo denominativa istis appropriari, ut scilicet “illud quo” dicatur principium et “illud quod” dicatur “principians”. […]
Sive autem idem dicatur principium et principians ut in simplicibus, sive aliud aliquo modo ut in compositis, eandem tamen relationem, quam et principiatio importat, importat utrumque istorum concretorum, licet alio modo, in quantum illa eadem diversimode concernit fundamentum et subiectum. Sicut similitudo eadem denominat Socratem, qui est similis secundum albedinem, et albedinem secundum quam est similis si tamen esset aliquod concretum impositum quo albedo posset denominari in quantum est quo aliquid assimilatur.
Consimiliter omnino dicendum est de potentialitate, potentia et potente, quod eandem relationem important. Primum in abstracto, alia duo in concreto, sed diversimode secundum quod illa relatio nata est diversimode denominare fundamentum proximum et remotum sive subiectum. Sicut autem alia concreta communiter accipimus pro subiectis in quantum habent tales formas, ita frequenter quando dicimus “potentiam”, non intelligimus de respectu, sed de illo in quo fundatur respectus»85.
Il contesto di questo brano è assai complesso, e riguarda una discussione circa il modo in cui un principio viene chiamato “potenza”. Scoto distingue tra “illud quod principiat” e “illud quo principiat”, e chiama il primo “principians” e il secondo “principium”. Egli afferma che, sia nel caso degli enti semplici in cui il “principium” e il “principians” coincidono, sia negli enti composti in cui il “principium” è altro rispetto al “principians”, entrambi i termini (ossia, “principium” e “principians”) significano la medesima relazione la quale, significata in astratto, viene detta “principiatio”, mentre in concreto assume un diverso nome a seconda che si consideri circa il soggetto (“principians”) o circa il fondamento (“principium”).
Dopo questo chiarimento di tipo semantico, viene addotto l’esempio della relazione di somiglianza: Socrate si dice “simile” secondo la bianchezza. Socrate è il soggetto, la bianchezza è il fondamento; la somiglianza è la relazione (significata in astratto)86. Ora, il nome “simile” è qui il nome che significa la relazione non in astratto, ma in concreto, e in concreto in quanto è
85 QMet., IX, qq. 3-4, § 19-20, IV, 542-543. Si veda anche: Ord., IV, 12, XII, 383, l. 129.
86 Il fatto che l’esempio verta su una proposizione e che si parli del soggetto non deve far pensare che si tratti di
un’analisi logica del problema. In realtà, l’ambivalenza del termine “soggetto”, tra ambito logico e ambito reale, non si può sciogliere se non a partire dal contesto in cui tale termine occorre. In questo caso, l’esempio di Scoto non riguarda la somiglianza in quanto conosciuta dall’intelletto, ma in quanto significa una relazione reale: sebbene la discussione venga condotta anche attraverso l’analisi dei modi di significazione dei termini, ciò di cui si parla non è il modo in cui tali termini si predicano, bensì le realtà che denotano.
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una relazione di Socrate. Se vi fosse un nome concreto nel nostro linguaggio – ma non c’è – per dire la relazione di somiglianza, non in quanto inerisce, ma in quanto è causata dal bianco, allora si potrebbe denominare anche il fondamento a partire dalla somiglianza. Poniamo, tuttavia, che questo nome esistesse e si potesse indicare, per esempio, con la parola “similare” – allora, potremmo avere quello che Scoto chiede: una terna analoga al caso di “principiatio”, “principium” e “principians”, ossia “somiglianza”, “similare” e “simile”87. Il primo termine significa la relazione in astratto, gli altri due la relazione in concreto: “similare” significherebbe la relazione in quanto causata dal fondamento prossimo o, semplicemente, in quanto causata nel soggetto dal fondamento, mentre “simile” significherebbe, come di consueto, la relazione in quanto è in un fondamento remoto o in quanto appartenente a un soggetto. Pertanto, quando si dice che “il bianco è simile”, questo è un modo improprio di dire una cosa vera: infatti, certamente il bianco potrebbe essere denominato a partire dalla somiglianza, ma il termine “simile” denomina propriamente il soggetto, mentre il termine “bianco” significa il fondamento. Se, tuttavia, esistesse la parola “similare”, nel significato con cui è stata qui introdotta, si potrebbe dire correttamente che “il bianco è similare”, riuscendo a denominare correttamente il fondamento a partire dalla relazione.
Nel caso della potenza, la terna dei termini denominanti è “potenzialità”, “potenza” e “potente”. Scoto, tuttavia, fa notare come spesso accada che ci serviamo dei termini che significano una forma in concreto per intendere, non la forma, bensì il soggetto di quella forma. E così avviene che con il termine “potenza” intendiamo non il riferimento che si stabilisce a causa di un principio che è nella cosa, ma il principio stesso che causa il riferimento88.
Questi testi mostrano una chiara consapevolezza della distinzione tra soggetto e fondamento, talvolta espressa come distinzione tra fondamento remoto e fondamento prossimo, talvolta come distinzione tra “illud quod” e “illud quo”. In quest’ultimo caso, appare più evidente il diverso ruolo esercitato nei confronti della relazione.
“Fondamento”, dunque, per Scoto significa ciò in cui qualcosa è oppure ciò da cui qualcosa dipende. Quando si parla del “fondamento della relazione”, senza alcun’altra specificazione, si
87 Si sarebbe potuta usare la terna “somiglianza”, “simile”, “somigliante”, parallela a quella di “principiatio”,
“principium”, “principians”, così come poi Scoto fa con la potenza (“potentialitas”, “potentia”, “potens”). Tuttavia, il termine “somigliante” non trova un preciso corrispettivo nel latino di Scoto, il quale adopera una parola vicina, “assimilans”, la quale però significa non una relazione di somiglianza, che è del primo modo, ma una relazione del secondo modo e che si fonda sulla somiglianza, non sulla qualità. Per di più, il termine “somigliante”, grammaticalmente è un participio presente, il che lo accomuna più con il termine “principians”, il quale denomina il soggetto, piuttosto che con il termine “principium”, il quale denomina il fondamento. Scoto vorrebbe una parola che equivalesse a “principium”, per il caso della somiglianza. Quindi, voler trovare questa parola nel termine “somigliante”, sarebbe fuorviante. Su questo si vedano anche: Ord., I, 5, § 21, IV, 20, Ord., IV, 12, § 284, XII, 383.
88 Il testo, alla lettera, dice: “di ciò in cui si fonda il riferimento”; ma è chiaro che qui “in quo” si intende
relativamente al fondamento prossimo, non al soggetto “quod”. Quindi, con l’espressione “ciò in cui si fonda” si intende il principio/“quo”, non il principiante/“quod”.
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vuole usualmente indicare un “illud quo”, lo stesso che, in comparazione al soggetto, può esser chiamato “fondamento prossimo” o “fondamento immediato”89. Ma prima di volgersi a questo aspetto di tipo causale-effettivo – che è anche quello più proprio del fondamento –, occorre prendere in esame la dimensione del fondamento come “soggetto prossimo” della relazione.
3.2.1.1.2 La relazione, la forma e il fondamento
La costituzione della relazione a partire dal soggetto e dal fondamento viene concepita in maniera quasi stratificata90. Il testo di QMet., IX, 3-4, analizzato nel paragrafo precedente, conferma che, almeno in linea di principio, sia il soggetto, sia il fondamento possono essere denominati a partire dalla relazione. Ma, poiché la struttura del fondamento è stratificata, anche la denominazione seguirà lo stesso destino: a partire dalla relazione si può denominare il fondamento prossimo oppure il fondamento remoto, sebbene in modo differente. Comunque, in entrambi i casi, ciò che viene significato è la forma in quanto “informa” il fondamento (prossimo o remoto)91.
Nella stratificazione dei fondamenti, il fondamento ultimo è anche l’ultimo denominabile: solitamente si tratta dell’individuo (“suppositum”) che, nel caso della relazione, è ciò che possiede la relazione. Anche il fondamento prossimo viene denominato e perciò anch’esso dovrebbe in qualche modo acquisire la relazione nella misura in cui ne è informato.
89 Si potrebbe supporre che il Libro IX del Commento alla Metafisica sia un libro tardivo. Quindi, sarebbe
espressione di una posizione più matura rispetto al Libro V della medesima opera. In ogni caso, non ci sono sostegni così forti per provare che Scoto abbia abbandonato, almeno terminologicamente, la distinzione tra soggetto e fondamento in favore della distinzione remoto/prossimo interna al (solo) fondamento. Sui rapporti tra il Libro V e il Libro IX del Commento alla Metafisica, si veda: infra, par. 6.1.
90 La metafora spaziale della vicinanza (prossimo/remoto) non deve, però, far dimenticare che si sta parlando di
un ordine di dipendenza essenziale. Ciò che è più lontano dalla relazione è ciò che è meno dipendente, come quando si parla di anteriorità e posteriorità di natura. La relazione è posteriore per natura rispetto al fondamento prossimo e quindi dipende da esso, il quale a sua volta dipende dal fondamento remoto. L’ultimo fondamento è quello che non dipende da altro e che pertanto costituisce il soggetto di tutti gli altri. In questo senso la coppia prossimo/remoto è analoga alla coppia anteriore/posteriore. Si veda: De primo princ., c. 1, §§ 2-4 (Porro, 54-57)
91 La realtà significata dai termini denominativi è un aspetto extra-mentale. Ciò non significa necessariamente che
le strutture logiche della predicazione debbano rispecchiare le strutture reali del mondo. Infatti, affinché i concetti e le proposizioni non risultino mere finzioni dell’intelletto, è sufficiente affermare che vi sia qualche fondamento reale che rende vera una proposizione e intelligibile un concetto, senza necessariamente trasporre la composizione dei concetti nell’intelletto in una composizione di forme nella realtà. A proposito dei termini denominativi (o concreti) si è già visto che per Scoto essi significano la stessa essenza dei corrispettivi termini astratti. Ciò che effettivamente cambia, tra un termine concreto e uno astratto è il diverso modo di significare la medesima essenza. Il termine concreto significa l’essenza in quanto si trova in un altro. Il modo più comune di esprimere ciò è che la