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R ICEZIONE DEI TESTI ARISTOTELICI

2.3 ARISTOTELE

2.3.4 R ICEZIONE DEI TESTI ARISTOTELICI

Il testo delle Categorie, allo stato attuale degli studi, sembra aver avuto un ruolo preminente rispetto agli altri due. Esso disponibile in traduzione latina fin dal V-VI secolo grazie all’opera di Boezio48. Il libro delle Categorie entra a far parte della cosiddetta “ars vetus” o “logica vetus”, insieme al De interpretatione e all’Isagoge di Porfirio e a un piccolo gruppo di altri commentari boeziani. In effetti, fino al secolo XI, l’influenza delle opere logiche di Boezio è abbastanza limitata49. Lo studio delle arti del trivio, e in particolare della logica, tra IX e X secolo, si basa principalmente sui resoconti contenuti nelle opere di Cassiodoro, Isidoro di Siviglia e Marziano Capella. Uno dei primi e più significativi esempi di trattati logici è la

Dialectica di Alcuino di York (ca. 780), nella quale il pensiero di Aristotele viene veicolato non

tanto dalle traduzioni e commentari di Boezio, ma un’opera intitolata Categoriae decem, databile intorno al IV secolo ed erroneamente attribuita ad Agostino, la quale presenta una

48 Boezio ha il merito di aver plasmato, con la sua traduzione, il linguaggio della relazione in lingua latina. Si

vedano come esempio alcune traduzioni di termini chiave dal testo graco di Categorie, VII: “ἕξις” > “habitus”; “διάθεσις” > “affectio”; “αἴσθεσις” > “sensus”; “ἐπιστήμη” > “scientia”; “θέσις” > “positio”. Sulla traduzione delle opere di Aristotele in lingua latina si veda: Ch. ERISMANN, Aristoteles Latinus: The Reception of Aristotle in

the Latin World, in A. FALCON (ed.), Brill’s Companion to the Reception of Aristotle in Antiquity, Brill, Leiden - Boston, 2016, 439-459.

49 È di particolare importanza anche lo scritto anonimo intitolato Categoriae decem, nel quale vengono riassunte

e glossate le Categorie di Aristotele. Il testo delle Categoriae decem gode di una certa fortuna nel mondo latino tardo antico. Su questo si veda: Ch. ERISMANN, Aristoteles Latinus, 448-451.

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parafrasi e una rielaborazione dei contenuti dell’omonima opera dello Stagirita. Oltre alle favorevoli vicende storiche occorse nella trasmissione del testo, ciò che accresce l’importanza del capitolo settimo delle Categorie è la sua stessa struttura la quale ben si presta ad una trattazione sistematica sulla relazione. Il capitolo presenta in maniera abbastanza schematica gli elementi principali sul tema: la definizione (o quasi-definizione) di cosa sia un relativo e una descrizione delle sue proprietà. L’inserimento dei termini “relatio” e “habitudo”, che portano in sé l’eredità della riflessione neoplatonica, contribuisce a spostare l’attenzione dai relativi alla relazione e permette di ricondurre allo Stagirita una effettiva dottrina sulla relazione, laddove questi aveva parlato solo dei relativi50. In ogni caso, i commentatori dei secoli XIII-XIV si mostreranno consapevoli dello scarto esistente tra il testo di Aristotele e la riflessione successiva, come si può evincere sia dall’emergere di disquisizioni circa il corretto rapporto tra i relativi, la relazione e la definizione offerta in Categorie, VII, sia dalla sopravvivenza dell’espressione “ad aliquid”, tesa comunemente a designare il soggetto del medesimo capitolo.

Il testo della Metafisica e quello della Fisica cominciano ad esercitare la loro influenza solo agli inizi del XIII secolo51. Il primo di questi due testi servirà soprattutto allo sviluppo della

50 Sempre dal capitolo VII delle Categorie vengono estrapolate quattro proprietà dei relativi. Secondo Aristotele è

proprio dei relativi (i) ammettere contrarietà (“recipere contraria”); (ii) ammettere il più e il meno (“suscipere magis et minus”); (iii) dirsi in riferimento a un correlativo (“dicuntur ad convertentiam”); (iv) essere simultanei secondo la natura (“sunt simul natura”). Aristotele stesso afferma che queste proprietà non valgono, però, per tutti i relativi. Questo darà adito, come si può immaginare, a molte discussioni tra i commentatori. Per quanto riguarda Scoto, si veda: QPraed., 26-29, I, 441-471.

51 Le prime traduzioni latine della Fisica e della Metafisica di Aristotele risalgono al XII secolo ma, nonostante

tali testi siano disponibili, essi non vengono fatti circolare diffusamente e non risultano molto studiati in quel periodo. Su questo si veda: B.G. DOD, Aristoteles latinus, in N. KRETZMANN ET ALII (eds.), The Cambridge History

of Later Medieval Philosophy. From the Rediscovery of Aristotle to the Disintegration of Scholasticism (1100- 1600), Cambridge University Press, Cambridge, 1982, 50. In particolare, si ha una prima traduzione della Fisica,

dal greco, ad opera di Giacomo Veneto, prima del 1250; una seconda traduzione anonima, sempre dal greco, intorno alla metà del XII secolo (la cosiddetta “Physica vaticana”), probabilmente ad opera dello stesso traduttore della Metafisica media; poi, si ha una prima traduzione dall’arabo, ad opera di Gerardo da Cremona, prima del 1187; una seconda traduzione dall’arabo ad opera probabilmente di Michele Scoto, tra il 1220 e il 1235. Infine, una terza traduzione dal greco ad opera di Guglielmo di Moerbeke, tra il 1260 e il 1270. Di queste traduzioni le più diffuse sono quella di Giacomo Veneto, quella di Michele Scoto e quella di Guglielmo di Moerbeke. Per quanto riguarda la Metafisica la situazione è più complessa. Si ha una prima traduzione dal greco ad opera di Giacomo Veneto (detta “vetustissima”), tra il 1125 e il 1130; una revisione anonima di questa, databile circa un secolo dopo (ca. 1220-1230), detta “vetus”. Entrambe queste due versioni si fermano al Libro IV. Una versione più completa è databile sempre nel corso del XII secolo, ed è anonima, nota come “Metaphysica media”. Poi vi è la traduzione di Michele Scoto dall’arabo, detta “nova”, intorno al 1120-1235. Entrambe queste ultime due mancano del Libro XI. Infine, vi è la versione di Guglielmo di Moerbeke, prima del 1272, detta “nova translationis”. Quest’ultima si pone come una revisione della versione “media”, e soppianta la versione “nova” di Scoto, la quale è anche di difficile lettura provenendo dall’arabo, il quale a sua volta traduceva una versione siriaca del testo aristotelico. Sulla storia e recezione delle traduzioni latine delle opere aristoteliche si veda: B.G. DOD, Aristoteles latinus, 45- 79; C.H. LOHR, The medieval interpretation of Aristotle, in N. KRETZMANN ET ALII (eds.), The Cambridge History

of Later Medieval Philosophy. From the Rediscovery of Aristotle to the Disintegration of Scholasticism (1100- 1600), Cambridge University Press, Cambridge, 1982, 80-98; G.F. VESCOVINI, L’aristotelismo latino, in G. D’ONOFRIO (a cura di), Storia della teologia nel Medioevo. III. La teologia delle scuole, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria), 1996, 227-271; M.TRIZIO ET ALII, Appendix B: Medieval translations, in R. PASNAU - Ch. van DYKE (eds.), The Cambridge History of Medieval Philosophy, II, Cambridge University Press, Cambirdge,

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teoria del fondamento della relazione – un elemento di capitale importanza all’interno del dibattito sullo statuto ontologico della relazione52. L’altro testo, tratto dalla Fisica, non offre una vera e propria esposizione sulla relazione, ma si presenta piuttosto come un’argomentazione dedicata a un singolo aspetto della natura della relazione. Le sue vicissitudini, forse per questo motivo, sono abbastanza diverse rispetto al testo delle Categorie o a quello della Metafisica. Infatti, benché il testo della Fisica rimanga ignoto in Occidente per molti secoli, l’idea veicolata da questo passo sui relativi – ossia, che qualcosa può iniziare a essere relativo (o cessare di esserlo) senza subire alcun mutamento – riesce a sopravvivere in altri scritti. Stando a quanto afferma Simplicio, essa fa parte degli insegnamenti degli Stoici sulla relazione53. La si può ritrovare nel De trinitate di Agostino di Ippona54; e poi (forse, proprio attraverso Agostino?) nel Monologion di Anselmo d’Aosta (III, c. 25)55. In qualche modo, l’argomento della mutazione riecheggia anche nel De trinitate di Boezio, in cui, a proposito del rapporto padrone-servo, si afferma che l’attribuzione del nome “padrone” perde di significato per il venir meno del servo, senza che la realtà del padrone subisca alcun cambiamento56. Un uomo, infatti, si dice “padrone” per la potestà, la quale non è un accidente dell’uomo in quanto tale, ma è una determinazione causata dal sopravvenire estrinseco del servo (“per servorum quodammodo extrinsecus accessum”). Pertanto, tolto il servo, vengono meno anche la potestà e la denominazione “padrone”, senza che il padrone muti in se stesso. Il testo di Boezio nel corso del XIII secolo verrà letto spesso attraverso il filtro del commento di Gilberto di Poitiers, la cui mediazione non è teoreticamente neutra, ma si orienta verso una

2010, 793-832; M. BORGO, Latin Medieval Translations of Aristotle’s Metaphysics, in F. AMERINI - G. GALLUZZO (eds.), A Companion to the Latin Medieval Commentaries on Aristotle’s Metaphysics, Brill, Leiden - Boston, 2014, 19-57; Ch. ERISMANN, Aristoteles latinus, 439-459.

52 Si è già visto che tipo di critiche muoverà Ockham contro la questione del fondamento: la critica circa il

fondamento porterà alla dissoluzione della relazione dal punto di vista ontologico. Su questo si veda: M.G. HENNINGER, Relations, 180-181.

53 «Putant Stoici quod […] quae ad aliquid aliquo modo se habent, […] nata sunt advenire et recedere nulla

transmutazione facta circa ipsa» (SIMPLICIO, In Cat., 233). Si veda anche: supra, nota n. 38.

54 «Nummus autem cum dicitur pretium, relative dicitur, nec tamen mutatus est cum esse coepit pretium neque

cum dicitur pignus et si qua similia. Si ergo nummus potest nulla sui mutatione totiens dici relative, ut neque cum incipit dici neque cum desinit aliquid in eius natura vel forma qua nummus est mutationis fiat; quanto facilius de illa incommutabili dei substantia debemus accipere, ut ita dicatur relative aliquid ad creaturam ut, quamvis temporaliter incipiat dici, non tamen ipsi substantiae dei accidisse intellegatur, sed illi creaturae ad quam dicitur? […] Sic et pater noster esse incipit cum per eius gratiam regeneramur, quoniam dedit nobis potestatem filios dei

fieri. Substantia itaque nostra mutatur in melius, cum filii eius efficimur; simul ille pater noster esse incipit, sed

nulla suae commutatione substantiae» (AGOSTINO, De trin., V, 16,17, [CCSL, 50, 226-227; corsivi originari]).

55 «Omnium quippe quae accedentia dicuntur, alia non nisi cum aliqua participantis variatione adesse et abesse

posse intelliguntur, ut omnes colores, alia omnino nullam vel accidendo vel recedendo mutationem circa id de quo dicuntur, efficere noscuntur, ut quaedam relationes». (ANSELMO D’AOSTA, Monologion, III, c. 25, in ANSELMUS CANTUARIENSIS ARCHIEPISCOPUS, Opera omnia, I, ad fidem codicum recensuit F.S. Schmitt, Frommann (Holzboog), Stuttgart - Bad Cannstatt, 1968, 43).

56 «In domino, si servum auferas, perit vocabulum quo dominus vocabatur. Sed non accidit servus domino, ut

albedo albo, sed potestas quaedam qua servus coercetur, quae quoniam sublato deperit servo, constat non eam per se domino accidere, sed per servorum quodammodo extrinsecus accessum» (SEVERINO BOEZIO, De trin., c. 5 [PL, 64, 1254]).

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lettura anti-realistica della relazione57. L’accostamento con la dottrina Stoica e con quella di Gilberto fanno sì che l’argomento di Fisica, V, assuma man mano i tratti di una auctoritas in favore di una riduzione ontologica della relazione58.

Accanto alle fonti e ai problemi di natura più schiettamente filosofica, bisogna aggiungere la tradizione che si sviluppa a partire dal De trinitate di Agostino, in cui viene prodotta una complessa dottrina delle relazioni per tentare di gettare luce sul mistero trinitario. Senza addentrarsi troppo nelle complesse questioni teologiche, basti ricordare che i nomi delle persone divine, in particolare il Padre e il Figlio, sono nomi relativi. Pertanto, si rende necessario ai teologi spiegare come sia possibile predicare di Dio qualcosa secondo la relazione, dal momento che in Lui non vi sono accidenti; oppure, dato che la relazione suppone la distinzione dei relati, come salvaguardare l’unità divina. Le soluzioni a questo problema percorrono diverse vie che oscillano ora verso forme di sabellianesimo (negazione delle relazioni reali in Dio), ora verso forme di triteismo (sostanzializzazione della relazione). In entrambi i casi, è anche la natura della relazione che viene messa in discussione. Se, infatti, si nega che i nomi relativi denotino un alcunché di reale, come vorrebbero gli stoici o Gilberto di Poitiers, come potrebbero essere reali in Dio le persone? Se, al contrario, i nomi relativi denotano in Dio qualcosa di reale, ciò che viene denotato non può essere un accidente, ma una sostanza, e quindi, affermando tre relazioni, si dovrebbero affermare tre sostanze divine.

È ancora interessante notare come l’intera trattazione di Agostino nel De trinitate verta più sui nomi relativi, che sulle relazioni. In quest’opera, significativamente, non ricorre mai il termine “paternitas”, denotante la relazione del padre verso il figlio, mentre ricorre continuamente il termine “Pater” per indicare la prima persona della Trinità. Il termine “paternitas” viene attestato per la prima volta nella Vulgata di Girolamo (IV sec.), come traduzione del greco “πατριά”, e Agostino lo adopera quasi sempre riportando questa citazione

57 «Quandoquidem extrinsecus accessu comparato relatio praedicatur, igitur non potest dici praedicationem

relativam, id est relationem predicatam, vel addere secundum se quidquam rei de qua dicitur, vel minuere secundum se, vel mutare secundum se. Quae relativa praedicatio tota consistit, sicut predictum est, non in eo quod est esse (quoniam nulli confert aliquid esse), sed potius consistit in eo tantum quod est habere se ad aliud, in comparatione alterius ad alterum. Nec quolibet, sed aliquo modo se habendi, id est, non quo modo locorum vel temporum, quod iam praedictum est, vel aliorum extrinsecus affixorum comparationibus ea de quibus haec praedicantur, se habent». (GILBERTUS PORRETA, Commentarium in librum de trinitate (Boetii) [PL, 64, 1292, C]). Gilberto rilegge il testo boeziano in chiave anti-realistica, interpretando la relazione come una comparazione esterna rispetto ai relati, come se i nomi relativi siano fittizi. In questo modo, egli rende ragione del fatto che un soggetto non riceve nessuna aggiunta acquistando la relazione, né subisce alcuna diminuzione perdendola. Il depotenziamento ontologico delle relazioni mette in ombra la realtà della distinzione delle persone divine della Trinità; queste e altre tesi costeranno a Gilberto una condanna al concilio di Reims (1148). Su questo si vedano: A. HAYEN, Le Concile de Reims et l’erreur théologique de Gilbert de la Porrée, in “Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age” (1935-1936), n. 10, 61-62; L. CATALANI, I Porretani: una scuola di pensiero tra Alto

e Basso Medioevo, Brepols, Turnhout, 2008, 82-88.

58 Enrico di Gand, per esempio, mette in guardia contro l’interpretazione di Boezio proposta da Gilberto di Poitiers;

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biblica, ma mai in ambito trinitario59. Bisogna attendere il IX secolo e il Periphyseon di Giovanni Scoto (Eriugena) per incontrare l’uso di questo termine in coppia con il correlativo “filiolitas”, nel contesto della dottrina trinitaria: «Paternitas enim praecedit filiolitatem […]»60.

Con la fine dell’XI secolo si assiste a una rinascita dell’interesse per le opere logiche di Boezio61. Ciò contribuisce alla diffusione dei manoscritti delle traduzioni dell’Isagoge, delle

Categorie e del De interpretatione, che diventano parte del programma di studi della

dialettica62; viene maggiormente valorizzato e studiato anche il commento di Boezio alle

Categorie. delle. La lezione neoplatonica viene man mano recepita: la relazione comincia ad

essere pensata come una proprietà o una forma e comincia ad affermarsi in maniera più decisa l’uso dei nomi astratti per designare le cose appartenenti al genere della relazione. La discussione, tuttavia, si fa più accesa all’acuirsi della controversia sugli universali, in cui diventa urgente stabilire che cosa siano le realtà significate dai nomi astratti come “paternitas” e “filiolitas” e, di conseguenza, se esistano cose come le relazioni nella realtà extra-mentale.