3. D ALLA D IRETTIVA AL C ODICE DEL C ONSUMO : TRA DIFFERENZE E CONTINUITÀ
3.3. b) Il difetto “di progettazione”.
Per vizio “di progettazione” si intende, invece, quel vizio a monte del processo di fabbricazione, che riguarda una insicurezza implicita nell’ideazione o concezione del prodotto (nella sua progettazione laddove si tratti di prodotti industriali o nella sua composizione chimica laddove si tratti di prodotti dell’industria farmaceutica) e che, come tale, colpisce tutti gli esemplari della serie.
Al difetto “di progettazione” sembra rinviare l’avvertenza, contenuta nel penultimo comma dell'art. 117 (“un prodotto non può essere
considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo sul commercio”) circa la non conclusività,
per ritenere sussistente – e poi delusa – una legittima aspettativa di sicurezza, della anteriore, contestuale o successiva presenza sul mercato di prodotti più perfezionati77. Laddove il testo della Direttiva nega che si possa automaticamente inferire la difettosità al solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato messo in circolazione in tempo (solo) successivo. E' evidente, infatti, come tale disposizione non possa che riferirsi, implicitamente ma inequivocabilmente, ai soli difetti che – a differenza dei difetti di fabbricazione in senso stretto – viziano l'intera serie di prodotti cui ineriscono. Con riferimento a tale tipologia di difetti la norma, dunque, esclude che la loro ricognizione possa dipendere esclusivamente dal fatto
77
Sul punto ampiamente GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 2, 3 ed., Padova,
1999, 404-405 che menziona anche la tipologia dei vizi di sviluppo ove il difetto è successivo all’immissione del prodotto sul mercato, poiché non poteva essere previsto in anticipo, e per i quali, comunque, non sussiste la responsabilità del produttore; PONZANELLI, Commento al d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, in Il Corriere Giuridico, 1988, pp. 796 ss, che nega la sussunzione normativa del criterio di responsabilità oggettiva in relazione ai difetti di progettazione;
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che, rispetto alla tipologia di prodotto considerata, esista sul mercato un altro modello più avanzato78.
Tale tipologia di “difetti” può concernere l’introduzione, da parte del progettista, di un vizio occulto o essere dovuto alla mancanza di adeguati o sufficienti dispositivi di sicurezza, alla erronea scelta dei materiali o materie prime, al mancato raggiungimento degli standard di sicurezza ovvero ad errate scelte nel processo di fabbricazione o, anche, di confezionamento.
Invero, la maggior parte dei prodotti immessi oggi sul mercato è provvista di un involucro, che va dal confezionamento all’imballaggio, avente la funzione non solo di presentare il prodotto ma anche di proteggerlo durante le operazioni di trasporto o di giacenza allo scopo di preservarlo da ogni evento che in qualche modo possa alterarne le caratteristiche originarie. Ne consegue che l’imballaggio ed il confezionamento devono essere studiati in funzione dello specifico prodotto che devono contenere e delle sollecitazioni cui lo stesso sarà prevedibilmente sottoposto (movimento, tempo di stoccaggio, clima delle aree geografiche cui il prodotto è destinato e di quelle che dovrà attraversare, ecc.). E’ evidente, allora, come al confezionamento sia affidata una funzione di estrema importanza tale da renderlo una scelta tecnica strettamente inerente al prodotto, al punto che un eventuale errore nella scelta dell’imballaggio potrebber integrare un “difetto di progettazione”79.
La casistica giurisprudenziale ha ravvisato, sino ad ora, “difetti di progettazione”: nell’improvviso cedimento di un componente del telaio di una mountain-bike che causò il completo distacco della ruota anteriore
78 Per fare un esempio legato al settore automobilistico, la presenza sul mercato di auto a
trazione anteriore, indubbiamente più stabili su neve e ghiaccio, non per questo rende “insicura” la vettura a trazione posteriore. Circostanza rilevante, sebbene non richiamata dalla norma, è altresì il prezzo: il circuito frenante di una BMW è certamente superiore a quello di una Panda, ma non per questo può essere considerato “insicuro” il sistema adottato per quest'ultima;
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determinando la rovinosa caduta del ciclista80; nel crollo di un letto a castello per una difettosa montatura81; nell’utilizzo di un tagliacarte automatico privo di adeguate misure di sicurezza 82; nell’utilizzo di un orditoio83.
79 Così VILLANI, sub art. 117, 4, in Codice ipertetestuale di consumo, diretto da
FRANZONI, UTET, 2008, PAG. 565;
80 Trib. Monza, 20 luglio 1993, in Foro it., 1994, I, 251, con nota di PONZANELLI, Dal biscotto alla “mountain bike”: la responsabilità da prodotto difettoso in Italia, in Foro it., 1994, I, 252; che, identificando il difetto di progettazione, ha ritenuto il fabbricante
della mountain-bike responsabile per i danni sofferti dall’attore sulla base del D.P.R. 224/88;
81
Trib. Milano, 13 aprile 1995, in Danno e resp., 3/96,. 381, con nota di PONZANELLI,
Crollo di un letto a castello: responsabilità del produttore – progettista e del montatore:
“Non tanto esiste un difetto di costruzione del mobile quanto un difetto di concezione: il
fatto che la società produttrice abbia costruito e commercializzato un mobile con una struttura di sostegno e contenimento (profondità di soli cm 25) deve essere ritenuto abbastanza “inusuale” anche in considerazione dell’altezza della struttura medesima (m. 2,15); senza ombra di dubbio una maggiore profondità della struttura avrebbe dato origine ad una maggiore stabilità intrinseca del mobile. Esiste anche un errore nell’attività di fissaggio del mobile: pur in assenza di precise istruzioni, un montatore che svolge con scrupolo e coscienza il proprio lavoro, non avrebbe mai dovuto montare un siffatto mobile senza preoccuparsi di fissarlo al muro con apposite staffe”. La decisione
si rivela particolarmente interessante anche sotto il profilo della responsabilità solidale tra il produttore ed il venditore sul quale incombeva l’ulteriore obbligazione del montaggio della cosa venduta;
82Cass. Civ., 10 novembre 1970, n. 2337, in Giur. It., 1958, I, 1, 187: “Nel tagliacarte esiste un evidente vizio di progettazione quale quello che la lama tagliente possa muoversi (sempre in salita, ed accidentalmente, anche in discesa) anche quando le mani dell’operaio addetto alla manovra del tagliacarte siano distaccate dai comandi. Tale vizio è da ritenersi ancora più grave perché contrario al minimum di sicurezza imposto dalla legge per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. La costruzione e la vendita di un apparecchio, progettato in violazione di norme di legge, non limita la responsabilità del venditore a quella contrattuale verso il compratore, ma genera anche quella extracontrattuale verso il terzo”;
83 Trib. Monza 11 settembre 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 371, con nota di
MARTORANA, L’orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono legittimamente attendere…le persone di bassa statura; si legge nella motivazione:
“Quanto al difetto, la CTU esperita (…) ha consentito di accertare l'esistenza di una
carenza di sicurezza nel funzionamento dell'orditoio così riassumibile: - mancanza di protezione del nottolo di comando del subbio; - necessità di operare sulla manovella regolatrice della tensione quando il subbio è in movimento; possibilità in tale frangente di contatto tra l'operatore (soprattutto se persona di statura non molto alta) ed il nottolo; - assenza di una fotocellula di bloccaggio degli argani rotanti all'avvicinarsi dell'operatore. Conseguentemente e coerentemente il CTU (…) ha rettamente
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