IL DIFETTO DI INFORMAZIONE
2. L’ AMBIGUITÀ DELLA NOZIONE DI “ DIFETTO ”.
Le diverse conclusioni cui giungono le due pronunce di legittimità riguardo alla distribuzione tra le parti dell’onere probatorio – tematica di fondamentale importanza in quanto la sua ripartizione determina l’ampiezza della tutela sostanziale accordata al consumatore, di fatto sottesa alla normativa comunitaria52 – riflette, del resto, la ambiguità della nozione stessa di “difetto” che finisce, inevitabilmente, con il connotare il compito dell'interprete di una componente squisitamente politica.
A fronte dell’ampia definizione normativa introdotta dall’art. 117 Cod. Cons, che con una solo apparente chiarezza, afferma che “un prodotto
è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutta una serie di circostanze, tra cui: a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione (…)”, resta il fatto che il “difetto”
sulla pericolosità del prodotto fossero adeguate – si pensi con riguardo al caso esaminato da Cass. 6007/2007, all'istruzione di svolgere un agevole test cutaneo per escludere il rischio di shock anafilattico – esse varrebbero ad escludere la sua responsabilità per negligence, ma non inciderebbero sulla sua responsabilità oggettiva almeno quando tale regime sia da preferire perchè un irragionevole pericolo potrebbe essere eliminato senza costi eccessivi o perdite in termini di produttività con un intervento preventivo del fabbricante del bene”;
52 La visione “consumeristica” della normativa sulle responsabilità del produttore appare,
in realtà, appannata, più che dalla formale indicazione, da parte del legislatore europeo, quale fine primario dell'armonizzazione dei sistemi nazionali in materia, dalle pronunce della Corte di Giustizia (CGCE 25 aprile 2002, C-183/00; C.154/00 e C-52/00, tutte in
Foro it., 2002, IV, 294 con nota di PALMIERI e PARDOLESI, Difetti del prodotto e DRL
diritto privato europeo), che, nel ritenere contrarie alla direttiva sui prodotti difettosi le
legislazioni nazionali che escludono la franchigia prevista per i danni a terzi, ha chiaramente ritenuto preminente il valore dell'armonizzazione delle legislazioni rispetto a quello del rafforzamento della tutela del consumatore, obiettivo chiaramente sotteso alla normativa in materia;
– CAPITOLO II –
e la sua prova hanno sempre costituito il momento più delicato dell'intera disciplina della responsabilità del produttore, dando luogo, come si è visto, a giudicati contrastanti.
Del resto, tale clausola generale, nell'ancorare la difettosità del prodotto alla legittima aspettativa di sicurezza del consumatore, ancora inevitabilmente tale nozione a concetti relazionali piuttosto che a dati tecnici obiettivi53. La corretta qualificazione del “difetto” del prodotto, pertanto, resta tuttora questione irrisolta soprattutto per quanto concerne il “difetto di informazione”, il quale - alla luce della tradizionale tripartizione dei difetti suggerita dalla dottrina54 - origina dalla considerazione che quanto più il consumatore è informato sul corretto uso e sulle caratteristiche del prodotto, tanto più questo può considerarsi sicuro. Lo stesso art. 117 Cod. Cons. annovera “avvertenze” ed “istruzioni” quali elementi fondamentali ai fini della sicurezza del prodotto, sebbene non possano supplire alla carenza di dispositivi di sicurezza55. E l'adeguatezza dell'informazione che l'impresa è tenuta a fornire tramite avvertenze ed istruzioni (volte le prime a mettere in guardia l'utente dai pericoli connessi all'utilizzo del prodotto; le altre ad indicare il corretto uso del prodotto al fine di neutralizzarne o ridurne i rischi) deve esser valutata anche con riguardo alle circostanze di cui alle lettere b) e c) dell'art. 117 Cod. Cons., relative al probabile uso ed ai comportamenti ragionevolmente prevedibili, anche laddove dovuti ad imprudenza o disattenzione del consumatore.
53 RAINERI, L’ambigua nozione di prodotto difettoso, in Riv. Dir. Civ., 2008, II, 263; 54 Come ricordato nel CAP I, § 3.3., la dottrina individua tre categorie di difetti: a) il
“difetto di fabbricazione”, consistente in un vizio di fabbricazione che colpisce un esemplare della serie di prodotti; il “difetto di progettazione”, concernente un vizio di ideazione, a monte del processo di fabbricazione, che colpisce tutti gli esemplari della serie; c) il “difetto di informazione”, derivante da una omissione o carenza di adeguate informazioni e/o avvertenze;
55 CANTÙ, La responsabilità del produttore per difetto di informazione e la normativa in tema di etichette e schede informative nei prodotti alimentari, cosmetici e contenenti sostanze pericolose, in Resp. civ e prev., 1998, 1576;
– CAPITOLO II –
Come osservato in dottrina, le informazioni circa il corretto uso del prodotto e le avvertenze sulle cautele da adottare nell'uso dello stesso “circoscrivono, in ultima analisi, il comportamento esigibile dal
consumatore, con un mutamento di prospettiva verso la diligenza richiesta ai protagonisti del mercato, che spetta alle corti valutare per stabilire il limite oltre il quale il comportamento del consumatore incauto esclude la responsabilità del produttore”56.
Ma quando, come nel caso della tintura per capelli, non ricorre un tale “difetto di informazione” in considerazione delle dettagliate avvertenze ed istruzioni allegate al prodotto e, per di più, destinate non al consumatore finale, ma all'operatore specializzato tenuto all'applicazione del prodotto, il produttore risponde, comunque, del danno cagionato dal proprio prodotto?57 Quando ancora, come nel caso della protesi mammaria, non sussiste alcuna omissione di informazione rilevante per un corretto uso del prodotto, non essendo agevole prevedere un qualche uso anomalo di una protesi, la semplice avvertenza della possibilità che la stessa si sgonfi in un tempo indeterminato e imprecisato – oggetto, peraltro, di consenso informato da parte della paziente – è sufficiente ad escludere la responsabilità del produttore? Ed ancora: l'assunzione del rischio da parte della paziente, correttamente informata degli eventuali effetti collaterali conseguenti all'intervento chirurgico di impianto di una protesi, è tale, comunque, da poter ridimensionare la pretesa risarcitoria? Qualora, poi, le informazioni fornite dal produttore circa la pericolosità del prodotto, si rivelassero
56 MASTROLILLI, Danno da prodotto e difetti di informazione, in Danno e resp., 4/2009,
436;
57 Cass. 6007/2007 ha escluso la responsabilità del produttore anche in considerazione del
fatto che le possibilità di reazioni allergiche, dipendenti dalle condizioni individuali del soggetto che entra in contatto con la sostanza, considerata di per sé innocua, erano indicate nelle istruzioni d'uso del prodotto, che prescrivevano anche la necessità di effettuare un controllo della tollerabilità, prima dell'uso, mediante l'applicazione di un modesto quantitativo sulla cute. Il prodotto era, inoltre, destinato al solo uso professionale;
– CAPITOLO II –
adeguate58, esse varrebbero in ogni caso ad escludere la responsabilità del produttore o potrebbero, comunque, in qualche modo incidere sul regime di responsabilità?
Logica vorrebbe che se la conoscenza creata nell'utente concorre a determinare il grado di ragionevolezza o di legittimità delle aspettative di sicurezza, non potrebbe sussistere un “difetto” qualora il danno verificatosi costituisca la concretizzazione di un pericolo già paventato dall'impresa: eppure gli interrogativi e le variabili sono molteplici, anche in considerazione della circostanza che tale conclusione rischierebbe di porsi in contrasto con le regole generali di tutela del consumatore.
3. IL DIFETTO DI INFORMAZIONE E LE RIPERCUSSIONI SUL