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Differenti soggetti e sistemi d’intervento per i minor

QUESTIONARIO MINORI RESIDENT

3.3 Differenti soggetti e sistemi d’intervento per i minor

Come si è avuto modo di affermare, andando a ritroso nel tempo, è possibile scorgere una serie di risposte che le società hanno strutturano per affrontare i problemi dei minori che non possono crescere nelle loro famiglie per diversi ordini di ragioni, anche in relazione all’idea dell’infanzia e dell’adolescenza in un determinato contesto storico-culturale. Questi tipi di risposte come fa notare Neve possono essere individuate prestando attenzione ad alcuni elementi, quali: la spinta motivazionale che porta a metterle in atto; il contenuto e la forma che le caratterizza; il tipo di lettura che viene data dell’infanzia e ai bisogni ad essa correlati; il tipo di società e di Stato in cui queste risposte trovano spazio; ed infine ai soggetti - individuali e collettivi - che si fanno carico di dare risposta ai problemi stessi11

Nel Medioevo si ebbe un aumento degli abbandoni di minori e la Chiesa cercò di dare risposta a questo problema attraverso la creazione delle prime istituzioni a carattere caritativo assistenziale. Oltreché attraverso l’accoglienza dei minori in queste istituzioni caritative, la Chiesa si occupò di dare assistenza ai minori abbandonati mediante il reperimento di famiglie disposte ad allevarli. Tuttavia, l’abbinamento del minore ad una determinata famiglia rispondeva esclusivamente a criteri utilitaristici e non ad un diritto soggettivo riconosciuto ad un minore, tant’è che la famiglia di fatto sceglieva il bambino in base alle proprie esigenze. In altri termini, ciò che si verificava era un’appropriazione del minore da parte del pater familias. Questa prassi si

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Ripercorrendo per grandi linee la storia dell’assistenza ai minori, si osserva che nasce in tempi remoti, tant’è che si trova la prima forma di adozione nel codice babilonese di Hammurabi, in cui era inserita la possibilità per il minore di crescere in una famiglia diversa da quella naturale attraverso la vendita legale. Ancora, durante l’Impero romano l’adozione veniva considerata come una modalità atta a garantire una discendenza a coloro che non avevano figli.

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consolidò anche in virtù della mancanza di un ordinamento giuridico a tutela dei minori e all’assenza dei tribunali per minorenni. Inoltre, verso la fine del XVIº secolo fece la sua comparsa la ruota, posta all’ingresso di chiese ed istituti religiosi, su cui venivano abbandonati i bambini. Solo nel XXº secolo, precisamente nel 1923, l’abbandono dei minori sulla ruota verrà interrotto grazie al regolamento per il servizio di assistenza agli esposti, che trasformò i brefotrofi in istituti per assistenza all’infanzia12

Come ha sottolineato Hill diverse sono le istituzioni che si occupano di rispondere ai bisogni che incidono sul benessere dell’individuo, dalla famiglia allo Stato nazionale ed oltre, e lo fanno attraverso trasferimenti di reddito ed erogazione di servizi, utilizzando diversi meccanismi di regolazione

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Il primo intervento statale in materia di assistenza all’infanzia si ebbe nel XVIII° secolo, quando lo Stato iniziò a maturare una certa consapevolezza sugli obblighi che aveva nei confronti dell’infanzia, favorendo sia iniziative sorte per mano privata, sia facendosi promotore dei primi ospizi per minori. Nel 1865 venne regolato l’istituto dell’adozione con la stesura del codice unitario, che si configurava come un atto di natura patrimoniale e contrattualistica, in cui veniva riservata una scarsa attenzione al minore. Da questi pochi prodromi della storia dell’assistenza ai minori ci si può rendere avveduti del verificarsi di un cambiamento, sebbene ancora timido ed incompleto, che si presentava nelle vesti di una iniziale definizione sociale e giuridica dei soggetti deputati all’intervento di minori in difficoltà e dei beneficiari dell’intervento, i minori stessi.

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Marchetta U., Famiglie in crisi e interventi psico-sociali, Unicopli, Milano, 1999, pp.42-44. 13 Hill M., Le politiche Sociali, Il Mulino, Bologna, 1999, p.25.

. Ebbene, per ciò che attiene alla categoria sociale dell’infanzia, in un primo momento fu la Chiesa a rispondere alle esigenze di orfani e famiglie che non potevano tenere con sé i propri figli attraverso un modello d’intervento assistenzialistico, improntato sulla pratica della beneficienza che si caratterizzava pertanto come un’elargizione discrezionale. Tale modello di risposta ai bisogni, prevedeva la libertà del donatore e la passività nel ricevere il dono, e dunque non vi era alcun diritto nel ricevere l’aiuto, né tantomeno era prevista la libertà di

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chiederlo. Il minore abbandonato, o in difficoltà, al pari di ogni altro soggetto a cui poteva essere destinata la beneficienza non era riconosciuto come titolare di diritti, ma come un semplice strumento per l’edificazione morale del donatore. In altri termini, la beneficienza si proponeva come un atto che serviva al donatore per edificare la propria coscienza davanti a Dio14. Solo nel 1890, con la legge Crispi15

De Swaan sottolinea che il pericolo costituito dai gruppi svantaggiati è stato avvertito molto presto dagli stati, i quali in un primo momento hanno imposto alle famiglie di farsi carico dei problemi che gli stessi manifestavo, successivamente vedendo che l’onere imposto a queste era troppo gravoso hanno accettato di finanziare le iniziative locali che in un primo momento

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lo Stato iniziò a prendere consapevolezza dei propri obblighi nei confronti delle famiglie e dei minori in difficoltà, attraverso la gestione diretta o la regolazione dei sistemi di beneficenza. Si trattava di un intervento tenue, che sostanzialmente lasciava intatta l’impostazione e la gestione di queste istituzioni di beneficienza, poiché l’intervento statale aveva come finalità il controllo ed il riordino delle stesse. Come hanno sostenuto gli studiosi che si sono occupati dello studio dello Stato Sociale italiano, fino alla caduta del fascismo i servizi rivolti ai minori si caratterizzarono come servizi ad appannaggio degli strati marginali della popolazione, e non come delle opportunità universali da garantire a tutti i cittadini. In presenza di un quadro di welfare residuale, l’intervento pubblico era previsto solo in via sussidiaria, in altri termini solo quando le altre agenzie, quali la famiglie ed il mercato privato, fallivano nel prestare aiuto a questi minori lo Stato interveniva per soddisfare i bisogni di cura ed accudimento degli stessi.

14 Cherubini A., Dottrine e metodi assistenziali dal 1789 al 1848, Giuffrè, Milano, 1958, p.22.

15La legge Crispi, n. 6972 del 17 luglio 1890 su "Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza'',

introduce importanti innovazioni alla legge del 3 agosto 1862, n.753, che rappresenta la prima normativa unitaria sull'amministrazione delle Opere Pie. Le innovazioni riguardano l’intervento dello Stato nel merito dell’attività assistenziale e non solo nel controllo della parte patrimoniale ed amministrativa. Per la prima volta la beneficenza viene considerata come una risposta ai bisogni di carattere concreto e non come uno strumento per la redenzione dei poveri. La legge trasforma le Opere pie (Enti che hanno finalità del tutto diverse: ospedali, asili, istituti, orfanotrofi, ecc.) in Istituti di beneficenza (IPAB) regolate nella formazione, nel funzionamento e nell'estinzione dalla legge medesima. Inoltre, istituisce gli Enti di Carità e Assistenza (ECA) e sottolinea chiaramente il carattere pubblico delle IPAB nell’articolo n. 78 dello stesso testo legislativo: "Le istituzioni

esercitano la beneficenza verso coloro che vi hanno titolo, senza distinzione di culto religioso o di opinione pubblica''. A seguito di ciò molte Opere pie vengono soppresse e il loro patrimonio viene devoluto ad altre forme

di assistenza, in particolare verso quelle relative all'infanzia abbandonata, all'istruzione ed alla preparazione professionale.

86 aveva esclusivamente voluto controllare 16

L’assistenza, così come la previdenza e la sanità costituiva uno dei pilastri del sistema di protezione sociale. Bisogna ricordare che il regime fascista abrogò la legge Giolitti

. Il processo di graduale intervento dello Stato è avvenuto anche in ambito dei servizi rivolti all’infanzia, in cui per molto tempo ha dominato la modalità assistenziale improntata ai principi dell’elargizione e del controllo discrezionale, fino a giungere ad un intervento che ha riconosciuto il minore come titolare di diritti ed ha impegnato la società attraverso le sue molteplici istituzioni a farsi carico delle sue esigenze. Dai grossi istituti per minori preposti al contenimento ed al controllo degli orfani, si è passati alla predisposizione di servizi di supporto alle famiglie e di servizi di cura e accudimento per i minori. Questo non è stato un percorso privo di battute d’arresto e difficoltà.

3.4 Lo scenario storico e di welfare in cui si inseriscono le istituzioni

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