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Gli studiosi contemporanei ed il tema dell’istituzionalizzazione

Tra gli autori contemporanei che si sono occupati di chiarire l’uso del concetto di istituzione nel linguaggio comune da quello delle scienze sociali rientra anche Cavalli. Egli avverte che mentre nel linguaggio comune per istituzioni si intendono degli apparati organizzativi che svolgono funzioni e compiti congeniali alla realizzazione dell’interesse pubblico, tanto che in esse vengono fatte rientrare le scuole, gli ospedali, il tribunale, ecc. In altri termini, nell’opinione pubblica le istituzioni non sono altro che apparati ed organizzazioni che soddisfano un qualche interesse e a cui si può attribuire la responsabilità di azioni funzionali, o al contrario disfunzionali per la realizzazione dell’interesse pubblico. Nel lessico delle scienze sociali il termine ha un significato più ampio, in quanto con lo stesso ci si riferisce a tutti quei modelli di comportamento che in una determinata società sono dotati di cogenza normativa, ossia di sistemi di regole, a prescindere dal fatto che gli stessi si manifestino all’interno di apparati organizzativi24. Tuttavia, non è solo la ricorrenza di determinati comportamenti ad indurre l’individuo a credere che si tratti di un’istituzione, ma affinché si possa attribuire questa categoria concettuale a dei modelli di comportamento è necessaria l’esistenza di qualche elemento di natura vincolante. Precisamente, la regolarità di determinati comportamenti può derivare da semplici abitudini sprovviste di forza normativa e dunque prive di qualunque forma di controllo sociale, che sancisce i comportamenti permessi da quelli vietati. A parere di Duoglas25

24 Enciclopedia delle Scienze Sociali, voce istituzione di A. Cavalli, Roma,Istituto dell’enciclopedia Italiana, 1992, p. 114.

25 Douglas M., Come pensano le istituzioni, Il Mulino, Bologna,1990.

nel linguaggio usato quotidianamente non si ha alcuna difficoltà ad indicare come istituzioni una molteplicità di comportamenti normalmente istituiti e profondamente diversi da loro, tanto che la studiosa include forme che vanno dai sistemi amministrativi al pranzo domenicale. Douglas chiarisce che nelle scienze sociali per istituzione si intende un sistema di regole che prescrive determinati comportamenti e ne vieta altri, proteggendo in tal modo l’esistenza

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dell’istituzione stessa. Lo scarto tra i comportamenti prescritti e quelli vietati non deve essere troppo ampio pena la dissoluzione dell’istituzione stessa26. Dello stesso parere sembra essere Lanzara27

L’elemento caratterizzante dell’istituzione, secondo Gallino, è che valori, norme e consuetudini non sono correlati alla durata della vita degli individui, né all’identità delle singole persone

, il quale definisce come istituzioni strutture, attività cognitive, normative e regolative che garantiscono stabilità e significato al comportamento umano. Dunque, la necessità di differenziare l’uso del concetto nei diversi campi di applicazione appare un’esigenza avvertita da diversi autori, proprio in virtù della circostanza che il concetto essendo usato in maniera polivalente possa generare una confusione semantica. Gallino esplicita il concetto di istituzioni come un insieme di valori, norme, consuetudini che con diversa efficacia definiscono e regolano durevolmente i rapporti sociali ed i comportamenti reciproci di un determinato gruppo di soggetti la cui attività è rivolta al conseguimento di un fine socialmente rilevante, o comunque ritenuto tale per la struttura sociale o per settori importanti di essa e dei rapporti che gli altri individui potrebbero avere a vario titolo con i membri di questo gruppo, e i comportamenti degli appartenenti al gruppo con questi ultimi.

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Lo studio delle istituzioni percorre tutta la letteratura sociologica, antropologica, economica e politologica in cui, con linguaggi e codici scientifici diversi, si può scorgere l’interesse degli studiosi per gli aspetti formalizzati e stabilizzati delle relazioni umane. L’istituzione al suo

.

Come si è visto, seppur in modo differente tutti gli studiosi presentano le istituzioni come sistemi di regole che stabilizzano la condotta umana e che hanno al loro interno una qualche forma di controllo sociale, volta a sanzionare i comportamenti che si discostano da quelli prescritti dalle norme al fine di garantire l’esistenza dell’istituzione stessa.

26 Duoglas M., Come pensano le istituzioni,Il Mulino, Bologna,1990, p.132

27Lanzara G.F., Perchè è difficile costruire le istituzioni?, in Rivista italiana di scienza politica, XXVII, 1, 1997, pp.5-48.

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nascere non presenta tutti gli elementi che fanno di essa un’istituzione compiuta, tanto che molti comportamenti possono presentarsi con gradi diversi di istituzionalizzazione. In realtà, il grado d’istituzionalizzazione di un sistema di regole si differenzia in base a diversi fattori.

In particolare, ci si riferisce alle forme del controllo sociale che garantiscono l’osservanza delle regole prescritte; alla conoscenza delle stesse da parte degli attori che ne sono coinvolti; al grado di accettazione delle regole da parte della comunità che esse si prestano a regolare; all’interiorizzazione dei codici morali da parte degli individui facenti parte di una data società; ed infine alle sanzioni che vengono comminate per i comportamenti che non si conformano a tali regole 29. La presenza di questi elementi porta al formarsi di un’istituzione che può essere più o meno istituzionalizzata. Proprio questo aspetto spinge a trattare il concetto di istituzionalizzazione attraverso diversi approcci, e prendendo in prestito gli studi e le definizioni degli autori classici e di quelli contemporanei. Tra gli autori contemporanei che si occupano del tema dell’istituzionalizzazione, anche se non riferendosi ai minori, di grande rilievo appaiono i contributi di Polanji ed Eisenstadt. I contributi di questi due autori vengono presi in considerazione da Fantozzi nello studio dei processi di regolazione sociale. Pur non riferendosi direttamente ai minori sono di fondamentale importanza per capire come in un contesto sociale i caratteri del mutamento dipendano dal modo in cui le opportunità vengono accolte, intercettate e regolate30.E’ bene chiarire che la regolazione sociale si riferisce come ha affermato Fantozzi:“ […]all’insieme dei criteri con cui avviene l’allocazione delle

risorse, ai modi di funzionamento e d’integrazione, alla prevenzione e alla soluzione dei conflitti”31

29A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Corso di sociologia, Il Mulino, Bologna, 1997, p.132 30 Martinelli A., La modernizzazione, Edizione Laterza, Bari, 1998.

31 Fantozzi P.,a cura di, Manuale di sociologia politica, Carocci Faber, 2006,Roma.

. Lo studioso prosegue affermando che il termine regolazione sociale non è stato adoperato dalla sociologia classica, ma le questioni che lo riguardano sono quelle dell’ordine sociale, della solidarietà, della cooperazione e dello scambio. Polanji elabora una teoria della regolazione sociale autonoma basata su un modello in cui sono previste tre

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forme di regolazione: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio. Attraverso le sue ricerche egli studia come si acquisiscono le risorse per vivere e per produrre, ossia studia i meccanismi dei processi di integrazione tra economia e società. Egli colloca la prima forma di regolazione nell’ambito delle relazioni simmetriche ed esplicita che la stessa è rivolta agli aspetti sostanziali della vita riproduttiva, quali ad esempio il sostentamento familiare. La reciprocità ha luogo prevalentemente in ambito comunitario, mentre la redistribuzione ha bisogno di due condizioni quali l’autorità e delle strutture centralizzate. Infatti, come afferma lo stesso Polanji sono le grandi organizzazioni burocratiche a favorire i processi redistributivi. Infine, l’ultima forma di regolazione è rappresentata dallo scambio che trova il suo spazio sociale nel mercato, nel quale la stessa si riproduce. Secondo lo studioso la reciprocità e le redistribuzione a differenza del mercato non si caratterizzano come istituzioni e strutture autonome, danno vita a istituzioni con finalità molteplici, si pensi alla famiglia e all’autorità politica. Polanji mostra come siano fondamentali i processi di regolazione sociale per l’esistenza umana sia in ambito produttivo che riproduttivo. Come accennato, un altro studioso che riporta il dibattito della regolazione in ambito sociologico è Eisentadt, il quale legge il concetto di regolazione collegandolo al processo di modernizzazione che si sviluppa con la rivoluzione industriale e con la rivoluzione francese. Egli rifiuta il modello lineare di modernizzazione e legge il cambiamento come l’interazione tra formazioni economico-sociali, condizioni culturali e religiose, tradizioni, situazioni istituzionali, e caratteri dell’èlite. Dal modo in cui questi elementi interagiscono a suo avviso si svilupperanno diversi percorsi di modernizzazione. Nel caso del contesto europeo e nordamericano che Eisenstadt definisce modernizzazione d’Occidente, il fenomeno si caratterizza per la presenza di tre processi che egli individua nella: mobilitazione sociale; nella compenetrazione dei processi di differenziazione, specializzazione e di universalizzazione; nella capacità politico-istituzionale delle èlite di acquisire le opportunità di cambiamento e di saperle mediare con le situazioni preesistenti. Il primo processo a cui fa richiamo lo studioso è quello di mobilitazione che riguarda i fenomeni di urbanizzazione,

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industrializzazione, diffusione dei consumi, alfabetizzazione, ecc. attraverso i quali la gente si dispone a nuove forme di socializzazione. Questi fenomeni hanno dato origine a cambiamenti che hanno provocato mobilitazioni collettive, diventate un tratto tipico della modernizzazione. Il secondo processo che distingue il modello di modernizzazione occidentale è legato alle trasformazioni del sistema economico, alla divisione del lavoro e allo sviluppo dell’individualismo da cui si è sviluppato il processo di differenziazione sociale. Infine, l’ultimo processo, quello politico della modernizzazione, favorisce la creazione di istituzioni che sono in grado di sostenere e regolare il cambiamento in maniera continuativa. La regolazione sociale per Eisenstadt non è altro che la capacità politico istituzionale di collegare la protesta con la costruzione sociale, di mediare tra vecchio e nuovo, e contemporaneamente di abbandonare vecchi schemi istituzionali per produrne ed adottarne nuovi32

32 Fantozzi P. (a cura di), Manuale di sociologia politica, Carocci Faber , Roma, 2006, pp.367- 376.

. L’aspetto centrale del pensiero dello studioso è che data la complessità raggiunta dalle società moderne non è pensabile una regolazione esclusivamente normativa e repressiva, ma essa dovrà includere elementi cognitivi che al pari di quelli precedenti sono in continua trasformazione. La trasformazione di tutti questi elementi genera il mutamento sociale che non è prodotto esclusivamente dalle istituzioni politiche, che pur rimanendo i principali attori della regolazione, devono tenere in considerazione il ruolo di altri potenziali attori quali per esempio i gruppi, i soggetti economici e la comunità. Ebbene, i contributi appena richiamati sembrerebbero in prima battuta distanti dallo studio dei processi di istituzionalizzazione dei minori. In realtà le cose stanno diversamente, poiché gli stessi parlano dell’indispensabilità della produzione di norme e valori e dei meccanismi che regolano la più ampia realtà sociale. Questi contributi appaiono di notevole rilevanza per lo studio del processo di accoglienza di deistituzionalizzazione dei minori in Calabria, poiché richiamano un tema molto importante che è relativo ai caratteri del mutamento sociale ed ai modi in cui viene regolato. Questo rapporto mostrerebbe che una regolazione

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manipolata o distorta del mutamento sociale produce come conseguenza situazioni di povertà, degrado e marginalità. A tal proposito Paci afferma che al Sud siamo in presenza: “[…] di un vuoto di regolazione, dovuto alle

carenze dello stato e dell’economia di mercato”33

Sulla base dei contributi teorici si partirà dall’assunto che i termini istituzione ed istituzionalizzazione non sono da riferirsi semplicemente a luoghi o a pratiche di accoglienza segreganti, ma come hanno affermato Carugati ed altri con: «[…] qualità e caratteristiche della più ampia realtà

sociale e dei rapporti interpersonali e di gruppo che in essa si verificano . Nel caso dei minori ciò si

tradurrebbe concretamente nella seguente situazione, ossia in tutte quelle circostanze in cui la famiglia è disgregata, o non è capace di fronteggiare le esigenze familiari e di supplire alle carenze degli apparati pubblici la situazione dei minori diventa molto grave. Da questa affermazione emerge l’importanza del contributi di Polanij e di Eisenstadt anche e, soprattutto, in relazione ai percorsi di allontanamento dei minori dal proprio nucleo familiare.

1.6 La prospettiva teorica utilizzata in questo lavoro per lo studio dell’istituzionalizzazione e della deistituzionalizzazione dei minori

34

33 Paci M., Nuovi lavori, nuovo welfare, Il Mulino, Bologna, 2005, p.301. 34 Carugati et al., Il possibile esperimento, AAI, Roma, 1975, p.130.

».

Questa formulazione ricalca la teoria di Berger e Luckmann, che spiega il processo attraverso il quale si strutturano rapporti istituzionalizzati. Come già detto gli studiosi affermano che l’azione umana è caratterizzata dalla consuetudinarietà, per cui l’azione che viene ripetuta in maniera ricorrente si cristallizza secondo uno schema fisso che permette di replicarla in futuro negli stessi termini e con uno sforzo minore. L’abitualizzazione delle condotte procura al soggetto il vantaggio psicologico dovuto alla riduzione delle scelte disponibili, e dunque consente allo stesso di non dover ridefinire ogni volta una determinata situazione. I significati assegnati alle azioni vengono

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immagazzinati nel bagaglio conoscitivo del soggetto, mentre le azioni ripetute frequentemente costituiscono l’aspetto empirico dell’istituzionalizzazione. Da ciò discende che, l’istituzionalizzazione ha luogo ogni qual volta si è in presenza di una tipizzazione di azioni reciproche consuetudinarie. Berger e Luckmann affermano che la tipicità interessa sia gli attori che le azioni, ossia l’istituzione garantisce che una azione del tipo x sia compiuta da ad un soggetto del tipo x35. Partendo da queste premesse teoriche Carugati ed altri nel testo “Il possibile esperimento” avvertono che l’istituzione fissa dei comportamenti in schemi di condotta che corrispondono a dei ruoli che nel complesso rappresentano l’ordine istituzionale, poiché si presentano come schemi normativi del comportamento e dunque partecipano alla funzione di controllo esercitata dell’istituzione stessa. Pertanto, per implicazione diretta, i comportamenti istituzionalizzati si rifanno a tutte quelle condotte che aderiscono alle definizioni di ruolo previste dalla posizione che l’individuo ricopre in una determinata istituzione sociale. Da ciò si capisce che comportamenti istituzionalizzati possono verificarsi ogni qual volta l’individuo ricopre un ruolo nelle diverse istituzioni sociali, proprio perché l’istituzionalizzazione è una qualità della più ampia realtà sociale. Di fatto, i rapporti interpersonali sono tanto più istituzionalizzati, quanto più i comportamenti dei singoli si conformano alle reciproche definizioni di ruolo che incanalano anche il linguaggio, riducendo in tal modo la soggettività dell’individuo con cui si entra in relazione36

Gli scenari appena menzionati possono essere considerati come dei territorio di rapporti istituzionalizzati, in virtù del fatto che in essi si mettono in scena dei processi di adattamento che possono rispondere a diverse

. Questo aspetto invita a valutare non solo le istituzioni totali, ossia i vecchi istituti, le case famiglia, i gruppi appartamento, ecc., come luoghi in cui si possono produrre relazioni istituzionalizzanti, ma a considerare anche la famiglia in tutte le sue forme come uno spazio che può prestarsi alla messa in atto di relazioni strutturate in tal senso.

35Berger P.L., Luckmann T., La Realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969, pp. 82-85.

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motivazioni che guidano l’azione umana: al voler aderire a determinate norme morali a cui il soggetto ispira la sua condotta; al voler mantenere una rappresentazione di sé coerente in qualsiasi momento; al desiderio di agire in conformità di un’ipotesi scientifica o derivata dal senso comune37 che conferisce sicurezza all’individuo. La peculiarità di queste situazioni fa in modo che queste motivazioni diventino dei principi informatori ed ordinatori dell’azione stessa, escludendo la possibilità di sottoporre i comportamenti a verifica rispetto alla loro validità e dunque non permettendone una modifica. Pertanto, la relazione si presta ad essere classificata come istituzionalizzata quando i significati dell’incontro tra soggetti sono reciprocamente predefiniti

38.

. Partendo da queste enunciazioni si cercherà di mettere in rilievo la seguente circostanza, ovvero in tutte quelle situazioni in cui è negata all’individuo la possibilità che si verifichi un incontro diretto con l’altro si è in presenza di rapporti istituzionalizzati. Nell’incontro diretto l’hic et nunc dei soggetti finché perdura un’interazione che avviene nella modalità faccia a faccia, gli stessi essendo in relazione tra di loro agiscono ed interagiscono reciprocamente, prestando mutuamente attenzione al linguaggio verbale e non verbale ed in base a questo orientano l’azione dell’uno nei confronti dell’altro. Pertanto, l’incontro diretto si caratterizza come un incontro in cui le relazioni sono ampiamente flessibili, anche perché in esso gli schemi di tipizzazione a cui fanno riferimento gli individui entrano in continua negoziazione39

Una tale categoria concettuale farà da sfondo al percorso condotto in questa ricerca, poiché ha la capacità di rivelare che non è tanto la scelta di inserire un minore all’interno di una casa famiglia piuttosto che di una famiglia affidataria che fa la differenza, quanto la capacità dei soggetti che interagiscono con i minori nella relazione educativa di favorire una socializzazione priva di significati pre-definiti, ed allo stesso tempo un reale

.

37 Per cogliere il significato di questo termine bisogna fare riferimento al processo di trasmissione della

conoscenza descritto da Schutz che mette il risalto il fatto che solo parte delle conoscenze acquisite dall’individuo derivano dalla sua esperienza personale, mentre il grosso della conoscenza è trasmessa all’individuo dai genitori, dagli amici e dagli insegnanti, ecc. attraverso il processo di socializzazione. Pertanto, come afferma Jedlowski, il senso comune può essere considerato come un insieme di ricette per vivere(in Jedlowski, Il mondo in questione, Carocci, Roma, 2000, p.239).

38 Carugati et al, Il possibile esperimento, A.A.I., Bologna, 1975, p.133.

39Berger P.L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969, pp. 50-54

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percorso di deistituzionalizzazione. L’adulto di riferimento deve considerare il ragazzo come un suo interlocutore ed attribuirgli delle capacità espressive, ma per farlo dovrà lasciare da parte il ruolo che ricopre per concentrarsi sull’altro, in maniera tale da poter trarre dall’esperienza che ha con l’altro le motivazioni del comportamento di relazione40

Sulla base della scelta teorica di adottare il concetto di istituzionalizzazione per come viene proposto da Berger e Luckmann, è stato scelto come altro

frame teorico l’approccio sistemico relazionale che invita ad analizzare i

fenomeni di studio tenendo presenti le relazioni tra i diversi sistemi o sottosistemi che compongono il più ampio ambiente sociale. Come già

.

In base a questo assunto quello che ci si propone di fare mediante questa ricerca è di combinare questo concetto ampio d’istituzionalizzazione con l’approccio sistemico relazionale, che comprende una modalità di strutturazione, progettazione e valutazione integrata degli interventi a cui partecipano tutti gli attori coinvolti nel processo compresi i minori stessi. Come si avrà modo di cogliere nei successivi capitoli, l’assistenza ai minori subisce una serie di modifiche a livello normativo e organizzativo, di cui le più eclatanti o meglio quelle che si presentano come un punti di rottura con la pratica del collocamento in istituto sono rappresentate dalla legge n. 183/1984, e dalla legge n. 149 /2001. Ebbene, sulla base di queste innovazioni normative uno dei principali tentativi conoscitivi sarà quello di capire se al variare delle forme organizzative, pensate per accogliere i minori, corrisponda una variazione delle pratiche messe in atto. Una valutazione che può esser fatta prendendo in considerazione le diverse forme pensate per la accoglienza residenziale, compreso l’affido familiare, e cercando di mostrare se nel tempo si sia verificato un mutamento dei percorsi di accoglienza e delle metodologie adottate per farsi carico dell’accoglienza dei minori.

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