Mutamenti delle forme di accoglienza dei minor
4.3. La prassi istituzionalizzante come prodotto del particolare modello di welfare
4.3.La prassi istituzionalizzante come prodotto del particolare modello di welfare
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sociali» in La rivista di servizio sociale, ANNO XV, n.4, dicembre, 1975; Rosati D., I nodi politici della riforma, in La rivista di servizio sociale, ANNO XV, n.4, dicembre, 1975, pp.13-15.
24 Ancor prima dell’approvazione del D.P.R. N.616/1977 fu sciolta l’ONMI con la L.23 dicembre del 1975, n.689; mentre l’ENAOLI E L’ENMPF saranno disciolti nell’ordine, il primo nel 1977 ed il secondo nel 1981 a seguito del della conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, concernente fissazione al 1° gennaio 1979 del termine previsto dall'art. 113, decimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per la cessazione di ogni contribuzione, finanziamento o sovvenzione a favore degli enti di cui alla tabella B del medesimo decreto, nonché norme di salvaguardia del patrimonio degli stessi enti, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e della disciolta Amministrazione per le attività assistenziali italiane ed internazionali
25 Su questo tema cfr. Marcello G., Le trasformazioni dell’accoglienza di bambini e ragazzi, Rosso fisso, Salerno, 2009.
, caratterizzato da un mix tra modalità pauperistiche di risposta ai bisogni e di interventi di protezione sociale. In altri termini, l’intervento pubblico è stato indirizzato verso il supporto delle fasce marginali della popolazione(inabili, anziani, minori abbandonati, poveri) attraverso prestazioni limitate nel tempo e rigide( ricovero e sussidi monetari), a cui era affiancava il riconoscimento dei diritti sociali per quei soggetti titolari di una specifica posizione occupazionale. Queste caratteristiche hanno condotto Ferrera ad inserire il modello di welfare italiano nella tipologia che include
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quelli di tipo occupazionale26. Gli anni ’70 si aprirono, come visto nel paragrafo precedente, all’insegna della denuncia e delle critiche al sistema assistenziale, al quale veniva richiesto un cambiamento che doveva essere attuato attraverso una riforma dello stesso. In questo scenario si inseriscono anche le critiche ad una delle forme d’accoglienza più datata, gli istituti. Questi ultimi venivano considerati come degli strumenti vetusti di una politica volta al controllo ed alla reclusione delle categorie marginali. E’ bene dire che tali giudizi si svilupparono anche per via di una nuova consapevolezza sul fenomeno, maturata anche a seguito dei noti scandali riferiti alla raccolta degli atti giudiziari di 19 istituti per minori e raccolti nel testo di Guidetti Serra, Santanera dal titolo: "Il paese dei Celestini. Istituti di assistenza sotto
processo". Questo testo del 1973 si configura come un dossier in cui vengono
descritte le pessime condizioni di vita dei minori accolti in istituti paragonabili a dei lager, tanto che l’autore afferma che leggendolo si ha l’impressione di visitare virtualmente un museo degli orrori. Sempre nel quadro dei giudizi critici sul sistema di welfare si colloca il lavoro di Terranova del 1975, sul potere assistenziale, ed una ricerca sullo stesso tema condotta dall’Istituto per la Ricerca Sociale di Milano, pubblicata nel 1977. In questa ricostruzione empirica, curata da Bassanini27
26La tipologia sviluppata da Ferrera si fonda su livelli di solidarietà definita in modo avalutativo come ampiezza dei bacini di diffusione dei rischi largamente diffusi e tutelati come la vecchiaia e la malattia. Lo studioso in base al modello di copertura dei rischi e partendo dalle due principali tipi di welfare, universalistico e occupazionale, individua due tipologie di welfare con quattro varianti. Ferrera inserisce il welfare italiano nel tipo occupazionale misto, il cui tratto caratteristico è in un impianto pensionistico originario caratterizzato da una forte frammentazione e dal particolarismo, in seguito alterato dall’introduzione di un servizio sanitario su base universalistica all’inglese(in Ferrera M., Modelli di solidarietà, Il Mulino, Bologna, 1993, pp.82-83).
27 Bassanini M.C., Lucioni P., Pietroboni P., Ranci Ortigosa E., I servizi sociali: realtà e riforma, il Mulino, Bologna, 1977.
ed altri, viene tratteggiata la fisionomia del sistema assistenziale che presentava un volto diverso rispetto ai sistemi di welfare più avanzati, poiché in esso prevaleva ancora una concezione residuale dell’assistenza, in cui le prestazioni erano offerte a soggetti sprovvisti dei mezzi necessari per vivere. I ricercatori mostrarono un sistema assistenziale composto sotto il profilo istituzionale ed organizzativo da una pletora di istituzioni erogatrici di prestazioni assistenziali, in cui le responsabilità erano frammentate a livello regionale e locale. La gran parte delle prestazioni veniva
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offerta da un insieme di enti, inclusi nella categoria dell’assistenza istituzionale. Gli enti pur essendo accomunati dalla commistione di un profilo pubblico- privato, avevano un diverso statuto giuridico.
Quest’area dell’assistenza dimostrava la disfunzionalità e l’irrazionalità del sistema di welfare italiano. Accanto a ciò i ricercatori individuarono un’area di assistenza privata offerta da associazioni a tutela di particolari categorie, soprattutto soggetti disabili, e composta da un sistema di istituti di ricovero per lungodegenti, spesso di matrice religiosa. Questi ultimi, tra i quali venivano annoverati anche quelli rivolti ai minori, mettevano in luce l’esistenza di un intreccio tra interessi corporativi ed economici, i cui legami con il mondo politico rappresentavano il fattore determinante del loro mantenimento in vita28. L’ultimo passaggio prima evidenziato, citando la ricerca dell’IRS del 1977, è ben argomentato anche in un testo di Ascoli, in cui si lo studioso mostra come l’eredità storica abbia pesato sul settore dell’assistenza. Lo Stato italiano ha sempre offerto un vigoroso sostegno finanziario al settore privato, fortemente protetto dalla Chiesa cattolica, per garantirgli la sopravvivenza. Un finanziamento pubblico che ha privilegiato specifiche categorie di enti o di attività, a cui spesso erano collegati interessi di tipo politico consensuale. In altri termini, lo Stato ha esercitato una scarsa capacità di regolazione e di indirizzo del settore privato, impegnato in attività utili per il raggiungimento di fini di pubblica utilità29
L’assistenza privata in Italia non si è sviluppata in alternativa allo stato sociale, ma si è posta come parte complementare del sistema di welfare. A tal proposito, Ranci definisce la struttura dei rapporti tra organizzazioni assistenziali private e istituzioni pubbliche come una struttura di «mutuo accomodamento», che si caratterizza attraverso il generoso sostegno finanziario offerto dallo Stato a queste organizzazioni, a cui non ha corrisposto un’altrettanto forte capacità regolativa o concertativa
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28 Ranci C., Politica sociale, il Mulino, Bologna, 2004, pp.21-24. 29Ascoli U.,(a cura di), Il welfare futuro, Carocci, Roma,1999, p.62. 30Ranci C., Oltre il welfare state, il Mulino, Bologna,1999, p.31.
. Questo stato di cose, ha provocato una dipendenza totale delle organizzazioni private dal
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finanziamento pubblico. Secondo Ferrera, l’assenza di regolazione pubblica ha permesso a queste organizzazioni di agire indisturbate, progettando ed attuando servizi alla persona seguendo criteri e modalità operative discrezionali31. La situazione descritta non subisce alcuna modifica fino agli anni '70, nonostante la Costituzione Repubblicana del 1948 offra le basi per una politica sociale fondata su diritti predeterminati e generati dallo status di cittadini. Tuttavia, la sfera dell’intervento pubblico pur in assenza di una legge quadro di riforma dell’assistenza si orientò verso un assetto universalistico attraverso l’approvazione di una serie di leggi, quali: la L. 132/1968 che razionalizzava il sistema ospedaliero; la L. 698/1975 di trasferimento ai comuni delle funzioni dell’ONMI; il D.P.R. 616/1977 sulle competenze regionali e comunali( in cui all’art.25 viene stabilito il trasferimento ai comuni delle IPAB non aventi finalità educative o religiose; ed infine la L. 833/1978 di riforma sanitaria)32. Lo Stato sociale italiano raggiunse la dimensione universalistica -egualitaria dei moderni sistemi di sicurezza sociale solo alle soglie degli anni '80, quando grazie alle leggi sopraccitate iniziò ad affermarsi un modello di welfare istituzionale33. Questi cambiamenti sono avvenuti nell’ordinamento italiano nel momento in cui le autonomie locali assumevano un ruolo rilevante nella gestione delle politiche sociali, per cui il sistema di welfare oltre alla prospettiva universalistica assunse anche una dimensione locale34
Senza dubbio si può sostenere che l’architettura del sistema di welfare occupazionale abbia influenzato il sistema di protezione rivolto ai minori. Tali soggetti erano investiti dalle politiche di welfare solo in via indiretta, poiché la garanzia dei diritti sociali era rivolta ad una popolazione di adulti appartenenti a specifiche categorie occupazionali. Altro punto interessante, ai fini del ragionamento che si sta portando avanti, è quello di sottolineare che un’offerta di prestazioni così articolata produceva di conseguenza una specifica domanda.
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Cfr. Ferrera M., Modelli di solidarietà, il Mulino, Bologna, 1993. 32 Ascoli U., Il welfare futuro, Carocci, Roma, 1999, p.69. 33
Per un approfondimento sui modelli di welfare cfr. Ferrera M., Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie., Il Mulino, Bologna, 1999; cfr. Esping- Amdersen G., Three Worlds of Welfare Capitalism, Cambrige, Polity Press, 1990; Titmus R.M., Social Policy. An introduction, Allen & Unwin, London, 1974.
34Ducci V., Verso un sistema di welfare fondato sulle autonomie locali , AD Futura, Firenze, 2009, p.156.
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A questo proposito si può riportare una riflessione fatta da Marcello in un suo testo dal titolo "Le trasformazioni dell’accoglienza di bambini e ragazzi”, nel quale riprende delle riflessioni di Tosi sul rapporto tra pianificazione e bisogni. Queste considerazioni indicano che i servizi, pur erogati secondo i dettami dell’universalismo, finiscono per discriminare proprio quei soggetti più svantaggiati, che per tale regione ne avrebbero un maggior bisogno. A suo parere questa discriminazione è imputabile sia ai processi di selezione che regolano l’accesso dell’utenza ai servizi, sia alla scarsa appropriatezza dei servizi rispetto ai bisogni dell’utenza. In altri termini, la selettività viene descritta come un prodotto dell’impostazione politico-amministrativa, che produce i servizi in forma di modelli strutturati ai quali i potenziali utenti devono adattarsi, non avendo la possibilità di influenzarne la produzione ed il contenuto. L’utente assume la posizione di consumatore, anche se si tratta di una posizione viziata dal fatto di non poter esprimere una scelta reale, poiché non vi un’alternativa all’offerta confezionata dal livello politico- amministrativo. I meccanismi che guidano l’elaborazione e l’erogazione dei servizi confluiscono nella «teoria amministrativa dei bisogni». Il punto cardine di questa teorizzazione elaborata da Tosi è il trattamento riduttivo dei bisogni. Gli stessi subiscono un processo di semplificazione e classificazione, che si traduce nel considerare i bisogni come fatti a cui vengono associate una serie di risposte altrettanto semplicistiche. La situazione appena esposta produce un repertorio di risposte disponibili a fronte di bisogni classificati a priori, tutto ciò ha come conseguenza diretta l’allineamento della domanda di prestazioni all’offerta dei servizi. L’operazione di riduzione del bisogno avviene mediante un’operazione di definizione dello stesso compiuta in maniera unilaterale dall’amministrazione, che genera una situazione di frammentazione, strutturazione, e burocratizzazione delle risposte. In tal modo, l’utente assume una posizione passiva, poiché l’unica possibilità che gli rimane è quella di attenersi alle prescrizioni di comportamento di servizi predeterminati dall’amministrazione. In questo modo, viene sottovalutata la capacità degli individui e delle famiglie di produrre in maniera autonoma delle soluzioni ai problemi. L’universalismo astratto finisce per facilitare l’accesso ai servizi ed
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alle prestazioni, anziché ai cittadini più deboli, a quelli appartenenti al ceto medio35
Il richiamo a questa teoria invita anche ad operare un’ulteriore riflessione sulla possibilità di mancata modernizzazione dei servizi sociali, poiché viene sottolineato il rischio insito nel passaggio da un’impostazione categoriale ad una universalistica, in cui le categorie di bisogno e le correlate categorie di risposta non sono state definite congiuntamente dagli attori presenti nel sistema assistenziale. Tosi segnala il pericolo presente nell’attuale tendenza a sviluppare interventi specialistici in risposta ai bisogni delle singole categorie sociali, identificandolo nella scarsa capacità di scardinare la vecchia pratica amministrativa, orientata a trattare i bisogni in modo selettivo e compartimentato. Accanto a questo individua un secondo pericolo, cioè la tendenza a privilegiare modalità di ascolto e di conoscenza quantitativa – come le survey –attraverso le quali i bisogni e le domande vengono ricondotte in maniera coerente al linguaggio istituzionale, attraverso indicatori sintetici che non rendono conto della variabilità delle situazioni reali, dando per scontata l’appropriatezza dei servizi rispetto ai bisogni specifici. In altri termini, la definizione quantitativa della domanda dà vita al processo di semplificazione della stessa, che conduce le istituzioni a non rispondere in maniera completa al bisogno
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35 Cfr. Hill M., Le politiche sociali, Il mulino, Bologna, 2004; Ranci C., Politica sociale, il Mulino, Bologna, 2001.
36Tosi A., Piano e bisogni. Riflessioni ai margini di un progetto di ricerca sulle pratiche abitative, in Archivio di studi urbani e regionali, n.21, 1984, pp.99-102.
. La vicenda dell’istituzionalizzazione dei minori può essere letta anche in questa chiave, poiché minori e famiglie si sono dovuti adeguare a servizi preesistenti al bisogno. Questo particolare aspetto potrà essere meglio compreso nel corso del lavoro in cui saranno utilizzate metodologie di ricerca qualitativa volte all’ascolto attento dei bisogni e dei punti di vista di tutti gli attori coinvolti nel processo di accoglienza dei minori.
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4.4 L’Iter normativo che conduce ad una diversa concezione