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La costruzione sociale dell’infanzia

QUESTIONARIO MINORI RESIDENT

3.2 La costruzione sociale dell’infanzia

Per affrontare lo studio delle tappe storiche che hanno spinto gli studiosi, il legislatore italiano e più in generale l’opinione pubblica ad interessarsi dell’infanzia, nei diversi periodi storici, con picchi d’attenzione differenti, sembra opportuno fare riferimento al tema della costruzione sociale dell’infanzia. Se oggi l’infanzia viene ritenuta una particolare condizione in cui si trova ogni individuo nel percorso del ciclo vitale, che è soggetta a protezione da parte della famiglia e più in generale della comunità degli adulti ed a cui sono correlati una serie di diritti, bisogna ricordare che storicamente non è sempre stato così. Difatti, sia i sociologici che gli storici hanno trascurato per molto tempo lo studio dell’infanzia e questo genere di disattenzione è derivata dalla scarsa considerazione dei minori nella società, la quale gli assegnava un posto marginale. Fu per primo Airès nel 1960, nella sua opera pionieristica, ad affermare che l’infanzia come categoria sociale è un costrutto storico in conseguenza della constatazione che essa assume connotazioni diverse al mutare dei periodi storici, delle società e delle comunità in cui si inserisce. La sua individuazione ed il suo riconoscimento non sono universalmente acquisiti .Lo studioso illustra un percorso di riconoscimento dell’infanzia come categoria da tutelare, che si articola in tre fasi storiche: la prima parte dal Medioevo ed è caratterizzato dall’assenza di concezioni dell’infanzia; la seconda si riferisce al periodo che va dal Cinquecento al Seicento in cui il bambino viene considerato come un soggetto da idolatrare e vezzeggiare; ed infine l’ultima che si riferisce al formarsi del mondo moderno, in cui l’infanzia viene vista come un periodo di preparazione all’età adulta. Ariès dirà che a quest’ultima epoca è associato da parte degli adulti un interesse ossessivo per le problematiche fisiche, etiche e sessuali, e che tale sentimento è il risultato del propagandiamo dei moralisti che insegnavano ai genitori a divenire educatori e responsabili davanti a Dio del corpo e della mente del minore.

Inoltre, Ariès metterà in luce che l’aver separato l’infanzia dal mondo adulto ha privato i bambini e i ragazzi della libertà di cui godevano2

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Cfr. il testo di Ariès P.,1960, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Laterza, Bari-Roma, trad..it.,

1999, pp.130-145 .

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moderna ha generato un processo di differenziazione che inserisce ogni individuo in un modello convenzionale ideale con delle proprie caratteristiche dominanti, mentre la società antica era una società in cui vi era una mescolanza di modi di vivere diversi di differenti gruppi e classi sociali. Con il passaggio dalla società antica a quella moderna, l’infanzia viene individuata come categoria sociale specifica, mondo a parte rispetto a quello degli adulti, e da questo ha luogo un processo che sebbene porti a tutelare i minori allo stesso tempo li priva della libertà di cui godevano nella società medioevali.

Nella società moderna i bambini non appena erano in grado di vivere senza l’attenzione costante della madre o della balia entravano a far parte a pieno titolo nel mondo degli adulti. L’ingresso nel mondo adulto corrispondeva al poter mettere in atto tutti i tipi di condotte senza doversi sottoporre alla vigilanza costante di un altro soggetto3. Nella società moderna si sarebbe sviluppata una rappresentazione dell’infanzia composta da cinque elementi, quali: i valori del bambino; la necessità degli adulti di offrirgli delle cure; l’esigenza del bambino di ricevere le cure; il mito dell’innocenza ed infine la necessità di prestare attenzione all’infanzia e quindi di controllarla4

3 Corsaro W., Le culture dei bambini, Il mulino, Bologna, 2003, pp.84.

4 Ariès P.,1960, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Laterza, Bari-Roma, trad.it.1999, p.148.

. Dunque, a parere dello studioso si assisterebbe ad un progressivo mutare delle rappresentazioni sociali sull’infanzia da parte degli adulti, che si esprimono in atteggiamenti che vanno dal disconoscimento e dalla marginalità dell’infanzia, alla centralità della stessa come fase dell’esistenza umana. Tuttavia, secondo lo storico il mutamento delle rappresentazioni è dovuto al mutamento istituzionale, ma lo stesso non è inevitabile, né tantomeno è positivo per l’infanzia stessa, poiché la priva della libertà di cui godeva nella società antica. Questa evoluzione delle rappresentazioni sociali dell’infanzia relegherebbe i bambini nell’ambito della diversità e li sottoporrebbe a forme di punizione e prigionia destinati agli internati. A suo parere, i cambiamenti nella concezione dell’infanzia sono frutto di mutamenti culturali più ampi che si sono tradotti nella segregazione razziale e di classe della società moderna.

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La tesi esposta da Airès, pur soggetta a diverse critiche5,, è comunque ritenuta importante per aver mostrato un forte interesse nei confronti dell’infanzia, e per aver sottolineto il mutamento delle condizioni e nelle concezioni della stessa nei diversi periodi storici. Anche DeMause6

5 Le critiche principali che vengono mosse alla teoria elaborata da Airès sono relative al livello di generalizzazione delle conclusioni a cui giunge il suo lavoro ed alla metodologia adottata(Corsaro W, Le

culture dei bambini, Il mulino, Bologna, 2003, p.85).

6 deMause L., 1974, The evolution of childhood, in deMause L.(a cura di), The History of childhood, New York, Harper & Row, pp.1-74; tad it., 1983, Storia dell’infanzia, Emme, Milano.

sviluppando lo studio citato ed in conformità con quanto sostenuto da Airès afferma che la percezione sociale dell’infanzia è influenzata dal mutamento delle relazioni tra adulti e bambini. Egli intravede però, a differenza di Ariès, con il passaggio dall’ancien regime alla società moderna un’evoluzione in positivo delle relazioni tra adulti e bambini, che si qualifica attraverso un spostamento da un atteggiamento in cui all’adulto è consentito maltrattare il minore ad un atteggiamento di cura e protezione degli adulti nei confronti dei minori. Egli elabora una teoria composta da sei macrofasi che individua rispettivamente nella fase dell’infanticidio, dell’abbandono, dell’ambivalenza, dell’intrusione, della socializzazione e dell’aiuto. Nel periodo di tempo che va dall’antichità fino al IVº d.c. l’infanticidio era considerato un comportamento lecito in determinate condizioni, ma quando al bambino venne riconosciuta un’anima si preferì optare per l’abbandono che era una pratica socialmente accettata e riconosciuta. Nella terza macrofase, definita la fase dell’ambivalenza, che abbraccia il periodo di tempo compreso tra il XIV e il XVII secolo, il bambino viene considerato per certi versi un essere negativo o malvagio che solo attraverso l’educazione può essere recuperato. A questa segue la fase dell’intrusione, che interessa il XVIIIº secolo, in cui l’educazione viene ritenuta come un elemento che può modificare la mente del bambino al fine di controllarne la condotta, mentre tra il XIXº ed il XXº secolo il bambino viene considerato come un essere sociale da educare e quindi si parla della fase della socializzazione. Infine l’ultima macrofase, parte dalla metà del XXº secolo ed è definita dell’aiuto, poiché il bambino non viene più visto come soggetto da plasmare nel processo di socializzazione. In altri termini, il processo di socializzazione non viene solo considerato come pura trasmissione della

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cultura degli adulti alla nuova generazione, ma viene considerato come un processo in cui il bambino viene ritenuto come soggetto attivo con dei propri bisogni che partecipa al processo stesso di socializzazione.

Il processo di socializzazione diventa un processo interattivo in cui i genitori dovranno tenere nella dovuta considerazione gli interessi del minore ed adeguarsi agli stessi. Al di là dell’individuazione di questo percorso, DeMause afferma che è scorretto sostenere che nelle società occidentali del passato i non provassero dei sentimenti nei confronti dei figli, semplicemente non avevano maturato una sensibilità emozionale per percepirli e trattarli come persone separate da loro7. Molti altri studiosi8

Chiaramente, questa posizione teorica si è prestata a diverse critiche di cui la più aspra è stata sostenuta dalla Pollok, la quale afferma che in realtà in tutte le fasi storiche che precedono il formarsi della società moderna le cure genitoriali si sono dimostrate come una variabile particolarmente resistente al cambiamento. Dai suoi studi emerge che i bambini sono stati sempre desiderati ed alcune fasi dell’allevamento dei piccoli, come la dentizione e lo svezzamento, hanno sempre preoccupato i genitori. Allo stesso modo, la studiosa sostiene che la malattia e la morte dei figli hanno sempre procurato dolore, ed i rapporti tra genitori e figli non erano così formali come avevano hanno continuato il percorso di studi elaborato da Ariès, e ampliato da DeMause, sostenendo che il passaggio dalla famiglia allargata ed integrata alla comunità circostante, alla famiglia nucleare maggiormente con un grado d’integrazione minore rispetto alla società, così come l’emergere di istituzioni educative che si differenziano per classi d’età, ha portato la società occidentale a mutare le concezioni sull’infanzia. Questa teoria portata alle estreme conseguenze si traduce nell’individuazione di grandi fasi storiche della famiglia nelle società occidentali che delineano l’evoluzione della famiglia stessa, dei minori e dell’infanzia come un processo che si compone di fasi specifiche, universali e in parte predeterminate.

7 Cfr. DeMause L.,(a cura di),1974, Storia dell’infanzia, Milano, Emme, trad. it.1983, pp.1-74 8

Cfr. gli studi di Stone L.(1977), Family, Sex and Marriage in England, 1500-1800, Harper & Row, New York; trad it. 1983, Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinquecento e Ottocento, Einaudi, Torino; e gli studi di Shorter E., (1977), The Making of the Modern Family, Basic Boocks, Famiglia e civiltà, Rizzoli, Milano, trad. it. 1978.

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sostenuto DeMause ed altri, ma questi rapporti si caratterizzavano come rapporti ad interazione reciproca.

Pertanto, la Pollok rifiuta la tesi di DeMause e sostiene che, in realtà pur in presenza di alcuni casi di maltrattamento ed abuso dei minori, le pratiche di allevamento dei minori hanno sempre preoccupato i genitori.

La studiosa9 attraverso l’uso di fonti di ricerca, quali diari e rapporti giornalistici, conclude i suoi studi affermando che la cura e la socializzazione dei minori fanno parte della cultura, anzi ne costituiscono i prerequisiti della sua esistenza in quanto fondamentali per la sopravvivenza della specie umana. Queste fasi dell’allevamento umano sono il frutto di una costruzione culturale a cui partecipano adulti e bambini. Anche le sue ricerche non sono state esenti da critiche, ed in particolare è stata sottoposta a giudizio la metodologia adottata per condurre questi studi. A parere dei critici la Pollok attingendo ad un materiale di ricerca composto da diari ed autobiografie scritte da coloro che appartenevano alle classi superiori letterate potrebbe non rappresentare la realtà, poiché questi soggetti volontariamente avrebbero potuto omettere nella stesura di questi documenti informazioni relative ai maltrattamenti ed agli abusi perpetrati a danno dei figli10

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Pollock L., Forgotten Children, Chambridge University Press, New York, 1983. 10 Corsaro W., Le culture dei bambini, Il mulino, Bologna 2003, pp. 86-87

. Al di là delle critiche mosse ai lavori di questi studiosi, l’aspetto rilevante delle loro teorizzazioni è l’aver messo in luce che l’infanzia al pari di ogni altra categoria è frutto di una costruzione sociale figlia dei tempi e del contesto storico-culturale.

Ebbene nell’ultimo secolo è stato percorso un cammino interessante dalle scienze sociali che ha portato a collegare la prospettiva della costruzione sociale dell’infanzia con la concezione dei minori come attori sociali autonomi, a cui sono connessi determinati diritti.

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