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Il ricovero dei minori come ipotesi residuale di accoglienza: la legge 184/

Mutamenti delle forme di accoglienza dei minor

4.5 Il ricovero dei minori come ipotesi residuale di accoglienza: la legge 184/

47Ibidem, p.59. 48 Ibidem, p.1

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genitori ad avere un figlio, qualora ciò rappresenti un pregiudizio per il minore49. Sempre a rimarcare la concezione che tiene al centro l’interesse prioritario per il minore, anziché quello dei genitori si colloca quanto affermato da Vitale, il quale ritiene che nella legge n.184/1983 sia contenuto il principio del "child first" già sancito dall’art. 30 della Costituzione50

Tuttavia, per chiarire l’incidenza che la legge n.184/1983 ha avuto nel ridefinire una cultura dell’infanzia si può riportare brevemente il dibattito che si creò in seguito all’approvazione della precedente legge sull’adozione speciale, che può essere brevemente riassunto illustrando le due posizioni principali che in esso vennero espresse. Nella prima era contenuto un giudizio molto positivo sull’impatto che la legge n. 431 del 1967 avrebbe potuto avere sulla pratica dell’istituzionalizzazione dei minori, poiché avrebbe potuto condurre ad uno svuotamento gli istituti; mentre in maniera meno entusiasta si esprimeva la seconda posizione. Nella stessa era contenuta la preoccupazione che legge pur declamando l’interesse puerocentrico, racchiudeva dei potenziali pericoli di discriminazione. Questi pericoli erano da ricondurre alla possibilità . Infatti, esaminandone con attenzione il testo viene riconosciuto un ruolo di primaria importanza alle relazioni familiari, considerate come una risorsa insostituibile per la maturazione della personalità del bambino. Per implicazione diretta, è assegnato alle politiche dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia, di cui è titolare il sistema delle autonomie locali, un indirizzo specifico nella direzione dell’assoluta priorità degli interventi a sostegno dei genitori naturali. Il diritto del minore a crescere nella propria famiglia sorregge l’intera architettura del testo normativo, nel quale si insiste sul dovere dello Stato di attuare tutte quelle politiche che favoriscono la permanenza del minore in famiglia. Si tratta di politiche ed interventi funzionali alla rimozione degli ostacoli che impediscono ai genitori naturali di assolvere alle funzioni di cura, mantenimento, educazione, socializzazione ed integrazione socio-lavorativa dei figli.

49Ichino Pellizzi F., Esperienze di affido familiare tra ipotesi legislative e realtà, Franco Angeli, Milano, 1986, p.31.

50Vitale T.,2008, Sociologia degli istituti per minori: l’articolazione di regolazione sociale e

regolazione politica, in Zappa A.(a cura di), Ri-fare comunità. Aprirsi a responsabilità condivise per chiudere davvero gli istituti,Franco Angeli, Milano, 2008.

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di definire come genitori inadeguati coloro che disponevano di scarse risorse economiche51

51Ibidem, pp.54-56.

. L’aver ricordato questo dibattito consente di comprendere meglio le aspettative che si crearono a seguito dell’approvazione della legge n. 184/1983, proprio in quanto la stessa individua come interventi prioritari quelli di sostegno alla genitorialità. Viene superato il pericolo espresso da una parte dei commentatori della legge n. 431/1967, ovvero quello insito nel ritenere inadeguati i genitori che non dispongono di adeguate risorse economiche da utilizzare nel processo di crescita dei propri figli, seppur capaci di esercitare in maniera corretta le funzioni genitoriali. La legge n.184/1983 obbliga i servizi sociali a rimuovere le cause di ordine economico che possono determinare delle situazioni di allontanamento e di abbandono. Il diritto del minore a crescere nella propria famiglia si declina nel seguente modo, ossia quando per il minore non sia possibile crescere nella propria famiglia a causa di una situazione temporanea di mancato assolvimento degli obblighi di cura, mantenimento, socializzazione ed integrazione sociale, la stessa dispone che debba essere affidato in via prioritaria ad un’altra famiglia(possibilmente con figli), ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare. Qualora la situazione di inidoneità genitoriale risulti permanente, e il minore sia privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori, o dei parenti tenuti a provvedervi, e la situazione non sia dovuta a cause di forza maggiore, si procede alla dichiarazione dello stato di adottabilità. Inoltre, nell’art.2, co. 2, della suddetta legge, viene espressamente indicato che il ricovero in istituto è consentito "esclusivamente ove non sia possibile un conveniente affido

familiare". Pertanto, l’istituto giuridico del ricovero in istituto si configura

come un’ipotesi residuale di intervento. A questo punto, ciò che bisogna chiedersi è se effettivamente questa legge abbia avuto il merito di ridurre il numero dei minori ricoverati nei diversi istituti d’assistenza, sia pubblici che privati. La risposta appare certamente positiva se si considerano alcuni dati. Alla fine degli anni ’70 i minori ricoverati erano circa 200.000, mentre alla fine degli anni '90 -come si evince dai dati di un’indagine censuaria del Centro

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Firenze - i minori presenti all’interno delle strutture residenziali di tutto il

territorio nazionale erano circa 15.000. Quindi, gli effetti prodotti dalla legge n.184/1983 in termini di una diminuzione del numero di minori ricoverati appaiono innegabili. Tuttavia, è necessario considerare che l’efficacia dello strumento normativo rappresentato nella fattispecie dalla legge stessa non può essere considerata una variabile indipendente, al contrario dipende dal contesto in cui viene utilizzato. Per realizzare l’intervento di tutela tanto auspicato nei confronti del minore e della famiglia sarebbe stato necessario disporre di una accurata programmazione degli interventi e della capacità dei servizi sociali di accompagnare il processo e di sostenere, al contempo, il sistema delle relazioni tra minore e famiglia d’origine e minore e famiglia affidataria. A ben vedere, da una prima lettura, anche se la legge n.184/1983 ha avuto il merito di incidere sul fenomeno della riduzione del numero di minori collocati negli istituti, si apprende che la diminuzione quantitativa del fenomeno non appare omogenea a livello nazionale. Infatti, nel contesto nazionale si è verificata una diversificazione tra le regioni del sud e quelle del nord d’Italia, dove si nota come le seconde siano state capaci di usare gli strumenti normativi per incidere sulla pratica dell’istituzionalizzazione, o quantomeno di usarli per svuotare gli istituti.

Quanto sostenuto può essere maggiormente reso comprensibile osservando i dati raccolti dal Centro Nazionale di documentazione e analisi per

l’infanzia e l’adolescenza attraverso un’indagine condotta sulle strutture

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Tabella 1. _ Distribuzione dei dati riferiti ai soggetti con età fino ai 18 anni presenti al 30 giugno 1998 nelle strutture educativo assistenziali

Regioni minori presenti Valori %

Abruzzo 168 1.01 Basilicata 106 0.07 Bolzano(provincia) 98 0.07 Calabria 1.386 9.03 Campania 1.869 12.05 Emilia Romagna 571 3.08

Friuli Venezia Giulia 240 1.06

Lazio 1.261 8.04 Liguria 551 3.07 Lombardia 1.919 12.08 Marche 115 0.08 Molise 85 0.06 Piemonte 1.011 6.08 Puglia 1.174 7.09 Sardegna 285 1.09 Sicilia 2.293 15.03 Toscana 603 4.00 Trento(provincia) 155 1.00 Umbria 204 1.04 Valle d'Aosta 11 0.01 Veneto 840 5.06 tot.presenti 14.945 100.00

Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza(1999), I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia, Quaderno 9.

Considerando i valori espressi nella tabella n.1 per area territoriale risulta che il 32% (4.788)dei minori veniva accolto nelle strutture assistenziali educative del Sud d’Italia(cfr.grafico n.1).

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Grafico n.1 - Minori presenti per area territoriale di appartenenza della struttura

Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza(1999), I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia, Quaderno 9.

Come mostrato dall’esame dei contenuti individuati dalla legge n.184/1983 e dai dati raccolti, a distanza di quindici anni dalla sua approvazione risulta innegabile una diminuzione in termini quantitativi del fenomeno del ricovero dei minori in istituto. Ritornando all’excursus normativo, i diritti dei minori vennero maggiormente riempiti di contenuto dal legislatore attraverso l’approvazione del D.P.R. 448 del 1988 che rappresentò un appuntamento di riforma per quelle strutture destinate alla segregazione di degli adolescenti che manifestavano condotte devianti. Anche in questo caso si può sostenere che la legge non fece altro che tradurre in un testo normativo delle idee sul tema circolanti in Italia e cristallizzare in prassi già in parte avviate, e riportate nel capitolo precedente attraverso la sintesi dell’esperienza dei focolari di rieducazione minorile. Comunque sia, il D.P.R. n. 448 del 1988, a cui fece seguito il D.Lgs. 28 del 1989, n.72, introduceva nuove disposizioni sul processo penale minorile che andavano nella direzione di una riduzione dello spazio di punizione e costrizione a cui venivano assoggettati i minori, che

Minori presenti per area territoriale di appartenenza della struttura

3.492; 23% 1.904; 13% 2.183; 15% 4.788; 32% 2.578; 17% Nord-ovest Nord-est Centro Sud Isole

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manifestavano una condotta irregolare. Veniva ampliato lo spazio educativo attraverso l’attivazione di relazioni e provvedimenti tesi al cambiamento di interventi segreganti, mediante programmi52

Il processo riformatore continuò anche dopo l’approvazione della legge n.184/1983. Gli anni ’90 si aprirono con una serie di importanti riforme, quali quella relativa al completamento della riforma della pubblica amministrazione e al nuovo ordinamento delle autonomie locali. Attraverso l’approvazione della L. n. 142 del 1990 ”Ordinamento delle autonomie locali”, della L. n. 241 del 1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e diritto

d’accesso ai documenti amministrativi”, del DLGS n.267 del 2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, del DLGS n. 165 del

2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”, si aprì uno scenario istituzionale ed

amministrativo molto interessante per le politiche sociali. L’ente locale(comune) venne individuato come centro di propulsione per gli interventi educativi e sociali che dovevano svilupparsi lì dove si manifestavano i bisogni, dunque ad un livello di maggiore prossimità al cittadino, e con il

che tendevano a mantenere e reintegrare il minore nel proprio contesto di vita. Anche nel settore della giustizia minorile venne avviato un processo di deistituzionalizzazione, che vide al centro il minore come soggetto che doveva essere affidato alla comunità a cui apparteneva, affinché la stessa potesse accoglierlo e dare risposta al suo diritto all’educazione ed all’integrazione sociale. La riforma del processo penale minorile sembrava andare nella stessa direzione della legge n. 184/1983, poiché in entrambi i testi normativi veniva dato un notevole spessore al rapporto tra il mondo dei servizi, degli operatori, e delle comunità locali. Un rapporto ritenuto indispensabile affinché il processo di deistituzionalizzazione potesse trovare delle modalità di realizzazione.

4.6 Gli anni novanta riaprono il dibattito pubblico sui minori fuori dalla

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