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La disciplina tedesca: tra analogie e differenze con l’Italia

Nel documento Le scelte di fine vita tra delitto e diritto (pagine 167-175)

3.2 Spunti di diritto comparato

3.2.1 La disciplina tedesca: tra analogie e differenze con l’Italia

Il Germania il suicidio non è considerato reato. La liceità, però, non deriva dall’esistenza di un diritto assoluto di disposizione del proprio corpo, tale per cui si possa rinvenire un diritto a morire, essendo tutt’al più ravvisabile una sfera di “libera responsabilità” del soggetto; a questo proposito, come ha riportato il Programma Nazionale di Prevenzione del suicidio392, l’ordinamento tedesco non incrimina l’auto-uccisione

389 Mantovani, Biodiritto e problematiche di fine della vita, cit., p. 61; Giunta, Diritto

di morire e diritto penale, cit., p. 91; Adamo, Costituzione e fine vita, disposizioni anticipate di trattamento ed eutanasia, cit., p. 18

390 Casonato, Il fine-vita nel diritto comparato, cit., p. 528

391 Casonato C., Consenso informato. Profili di diritto comparato, testo di relazione

tenuta al seminario di studio presso la Corte Costituzionale il 6/07/09, in

www.cortecostituzionale.it/convegniseminari.do, paragrafo 4.

392 Motivazioni della decisione circa l’introduzione della disposizione del § 217, così

come riportate da Welby M, Troilo C., Assistenza al suicidio in Germania: è reato solo

166 responsabile perché essa non danneggia altri e perché non viene riconosciuto un “dovere generale costrittivo” alla vita.

Nonostante ciò, la Germania ha strutturato un sistema volto a proteggere il fondamentale bene della vita umana, così come quello dell’incolumità fisica393. Infatti, le disposizioni §§ 211-222 si occupano di tutelare il

bene della vita, passando dal generico reato di omicidio a reati specializzati; in particolare, le fattispecie che meritano attenzione sono la disposizione del § 216, la quale incrimina “l’omicidio del consenziente”, e la più recente disposizione del § 217394, la quale disciplina sia l’incriminazione che gli spazi di liceità dell’aiuto al suicidio.

Per quanto attiene alla prima, si incrimina colui il quale sia stato determinato all’omicidio, sulla base di una richiesta espressa e seria della vittima; la pena, però, è molto più lieve rispetto al nostro art. 579 c.p., dal momento che viene prevista la reclusione da 6 mesi a 5 anni395. Si noti fin da subito che la disposizione presenta molte analogie con il reato italiano (art. 579 c.p.): la richiesta di morte del soggetto passivo deve essere esplicita (comportamento che dimostri inequivocabilmente la volontà dell’individuo) e seria (volontà assunta liberamente, esente da vizi); ed è proprio tale specifico atteggiamento del richiedente a comportare l’applicazione della disposizione in esame in luogo del generico reato di omicidio (in linea con quanto previsto dal nostro ordinamento). Sennonché, è evidente il maggior rigore che il legislatore

393 Camplani F., Diritto penale e fine vita in Germania. I reati di omicidio su richiesta

e di sostegno professionale al suicidio nello Strafgesetzbuch, in Giurisprudenza penale web, 2019, -1 bis- “Questioni di fine vita”, p. 428. Tali diritti sono rinvenibili nella

Costituzione Federale Tedesca (Grungesetz) rispettivamente all’art. 2 e 1.

394 La seguente disposizione è stata inserita a seguito di una riforma del 2015. Essa è

frutto di una discussione iniziata con la diciassettesima legislatura e ripresa nel corso della diciottesima. Tra i quattro progetti di legge in materia, ha prevalso quello moderato sottoposto da parte dell’Unione Cristiano-Democratica. Ibidem, Camplani, 431.

395 Ist jemand durch das ausdrückliche und ernstliche Verlangen des Getöteten zur

Tötung bestimmt worden, so ist auf Freiheitsstrafe von sechs Monaten bis zu fünf Jahren zu erkennen. [Traduzione a cura dei Camplani, ibidem, p. 332] Se qualcuno è

stato determinato all’omicidio da una richiesta espressa e seria della vittima, la pena da comminare è la reclusione da sei mesi a cinque anni

167 italiano ha avuto nell’escludere l’applicazione della suddetta fattispecie nelle ipotesi in cui il soggetto passivo non sia in condizioni di poter validamente esprimere il proprio consenso. Infatti, l’art. 579 c.p. al suo secondo comma ha esplicitamente previsto ipotesi nelle quali si debba applicare il reato di omicidio396. Di contro, la norma tedesca risulta

essere meno puntuale; l’esclusione del reato in luogo dell’applicazione dell’omicidio generale, infatti, deve essere ricavata a contrario dai requisiti di esplicitezza e serietà. La disposizione del § 216, quindi, non potrà avere applicazione nelle ipotesi in cui, a determinare l’omicidio dell’agente, sia stato un soggetto non imputabile, un malato psichico, o ancora, colui il quale sia strato costretto o che si sia falsamente rappresentato la realtà a causa del terzo397.

Prima di procede con l’analisi della disposizione seguente, è opportuno sottolineare il discrimine tra l’omicidio su richiesta e compartecipazione al suicidio altrui. Essi si distinguono sulla base del criterio del dominio sul fatto: se l’evento-suicidio rimane nel dominio o padronanza, che dir si voglia, del suicida, allora si configurerà la partecipazione al suicidio altrui; se invece è il compartecipe a porre in essere l’ultimo atto volto a cagionare la morte, allora si rientrerà nell’ambito di applicazione della disposizione del § 216398. In questo senso, è desumibile che la partecipazione al suicidio fosse precedentemente sottratta dalla punibilità, dal momento che la si escludeva dall’ambito di applicazione della norma “sull’omicidio del consenziente”, e non vi erano autonome fattispecie di reato che la prevedessero. Per questo motivo, si è resa necessaria l’introduzione della nuova disposizione (§ 217 StGB), la quale appunto ha invaso il campo di ciò che veniva precedentemente

396 Supra, cap. 1, par. 1.4.2

397 Camplani F., Diritto penale e fine vita in Germania. cit., p. 433

398 Camplani F., Diritto penale e fine vita in Germania, cit., p. 437; Alagna R.

Eutanasia e diritto penale in Germania, in Riv. it. med. leg. E dir. san., Fasc. 3, 2012,

168 considerato “lecito”399 . In particolare, il legislatore tedesco ha inserito tale nuova disciplina con l’intenzione di sopprimere attività di assistenza al suicidio organizzate in forma associativa, le quali offrano il suicidio assistito in modo continuativo e a scopo di lucro400, e come alternativa

alla morte naturale401.

La norma è strutturata in due commi, dei quali, il primo prevede l’incriminazione dell’aiuto al suicidio che sia eseguito professionalmente, attraverso l’offerta, la procurazione o il mediare l’occasione per suicidarsi; il secondo esclude la punibilità di tale condotta (rimane esente da pena) di colui il quale agisca non professionalmente e che sia un congiunto/prossimo al soggetto il quale verrà agevolato nel suicidio402. In sostanza, il primo comma ha

l’intenzione di assolvere l’obiettivo prefissato dal legislatore, il secondo comma, invece, attenua la portata applicativa, prevedendo un’esenzione della pena. Occorre ricordare che la norma in questione presuppone che il dominio dell’azione (la quale cagionerà la morte) rimanga completamente nella titolarità del morituro; il cooperatore integrerà il reato semplicemente favorendo la realizzazione dell’altrui suicidio.

399 Il virgolettato è dovuto al fatto che, l’assistenza al suicidio non veniva

espressamente vietata, ma si percepiva comunque la necessita di contrastarla. Su queste basi infatti si è avuta la riforma legislativa.

400 Nel redigere l’articolo non è stato fatto alcun riferimento allo scopo di lucro, tale

per cui non è requisito essenziale per l’integrazione della fattispecie; sarà sufficiente un aiuto “professionalmente” eseguito al suicidio altrui.

401 Welby M, Troilo C., Assistenza al suicidio in Germania: è reato solo se attuato per

fini di lucro, cit.

402 (1) Wer in der Absicht, die Selbsttötung eines anderen zu fördern, diesem hierzu

geschäftsmäßig die Gelegenheit gewährt, verschafft oder vermittelt, wird mit Freiheitsstrafe bis zu drei Jahren oder mit Geldstrafe bestraft.

[Traduzione] Chiunque, con l’intenzione di agevolare il suicidio altrui, professionalmente offra, procuri o medi l’occasione per suicidarsi, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa.

(2) Als Teilnehmer bleibt straffrei, wer selbst nicht geschäftsmäßig handelt und entweder Angehöriger des in Absatz 1 genannten anderen ist oder diesem nahesteht. [Traduzione] Rimane esente dalla pena prevista per il concorrente colui che agisce non professionalmente e che sia un congiunto del soggetto passivo designato dal comma1, o sia soggetto ad egli prossimo. Entrambe le traduzioni sono a cura di Camplani F.,

169 Qualora, invece, la condotta del soggetto agente dovesse cagionare la morte, si considererà integrato il reato del § 216.

Si percepisce nell’immediato la netta distanza tra la disposizione in esame e l’art. 580 c.p.: il nostro ordinamento vieta qualsiasi condotta che istighi, rafforzi, o agevoli (in qualsiasi modo) il suicidio altrui, senza prevedere esenzioni basate sul particolare rapporto di parentela o vicinanza, intercorrente tra soggetto attivo e passivo. Oltre a ciò, anche il trattamento sanzionatorio risulta diseguale, dal momento che viene stabilita una pena alla reclusione di tre anni (o la multa); sanzione ben più lieve rispetto ai “nostri” 5-12 anni di reclusione.

Questo sintetico quadro normativo permette di inquadrare la disciplina germanica all’interno del tema di fine vita.

È opportuno, però, fare cenno anche all’intervento normativo, non troppo recente, con il quale è stato disciplinato il “testamento biologico”. La riforma del codice civile, all’interno del quale è stata inserita la possibilità di disporre anticipatamente delle cure, è avvenuta nel 2009; un traguardo raggiunto alla conclusione di un lungo percorso giurisprudenziale, del quale si ricorda in particolare la sentenza del 2003 della Suprema Corte Federale. Essa, ben 6 anni prima dell’intervento del parlamento, sancì che il diritto di autodeterminazione dell’individuo dovesse rispettarsi anche quando il soggetto non fosse più in grado di intendere e di volere, attenendosi a quanto sostenuto nel momento in cui egli fosse ancora nel pieno delle facoltà mentali403. Dal 2009 quindi, la

riforma del BGB ha permesso al soggetto maggiorenne, capace di intendere e di volere, di concedere o negare il proprio consenso circa determinati trattamenti sanitari, in vista di una futura incapacità. A determinate condizioni si considerano valide anche le volontà presunte404 e vi è sempre la possibilità di revocare le disposizioni

403 Spoto G., Questioni di fine vita tra modelli adottati in Europa, negli Stati Uniti e

proposte interne, in Eur. e dir. priv., fasc. 4, 2011, p. 1180

404 Sono richiesti elementi probatori rilevanti, tenuto presente di dichiarazioni orali o

scritte precedentemente rese, convinzioni religiose, etiche, valori personali, ecc.

170 precedentemente rese. Viene poi regolamentato il colloquio fra medico e paziente, circa i trattamenti da adottare o meno, in relazione alla malattia diagnosticata (l’equivalente della nostra pianificazione condivisa delle cure prevista dall’art. 6 legge 219 del ’17).

Si evince quindi che la Germania abbia inteso valorizzare l’autodeterminazione dell’individuo in ambito sanitario, accogliendo, di conseguenza, anche la possibilità di “lasciarsi morire” a seguito del diniego prestato circa determinati trattamenti sanitari. A questo proposito è stata fatta una netta distinzione tra la morte generata da altre misure, prescindenti da qualsivoglia terapia medica (rientrante nella disposizione del 216) e la morte del malato, quale conseguenza della patologia (il rifiuto di cure comporta il decesso del paziente)405. In

sostanza, i tedeschi hanno dovuto risolvere la stessa problematica presentatasi anche nel nostro paese: porre su due piani distinti l’eutanasia attiva da quella passiva406.

3.2.1.1 (Segue) La recente pronuncia della Corte Costituzionale Federale tedesca sulla disposizione del § 217

Il 26 febbraio 2020 la Corte federale tedesca ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione del § 217 del codice penale407. Come si è visto, la norma era entrata in vigore da pochi anni, e si poneva a divieto di pratiche di assistenza al suicidio esercitate in forma professionale.

I giudici di legittimità hanno riconosciuto l’esistenza di un diritto al suicidio quale espressione del generale diritto della personalità individuale; di conseguenza ogni individuo dovrebbe avere la garanzia

405 Approfondimento di Valente G., Testamento biologico ed eutanasia nel diritto

tedesco: Patientenverfügung und Sterbehilfe, in Fam. e dir. 2011, n. 2, p. 1176 ss.

406 Supra, cap. 1., par. 1.6.6

407 Cfr. Lazzeri F., La Corte costituzionale tedesca dichiara illegittimo il divieto penale

171 di non subire condizionamenti esterni circa l’assunzione di scelte esistenziali, o essere assoggettato a costrizioni inconciliabili con i propri convincimenti e con la propria idea di sé. Tale diritto all’autodeterminazione alla morte, inoltre, dovrebbe riconoscersi ampliamente, senza alcuna costrizione di salute (come, ad esempio, la presenza di una qualche patologia), fase di vita o motivazioni sottese alla volontà suicidaria, così come dovrebbe riconoscersi non solo nella dimensione soggettiva, ma anche intersoggettiva, vale a dire mediante la possibilità di richiedere a terzi assistenza per la propria morte. La Corte federale, dunque, ha modificato profondamente l’assetto di interessi dell’ordinamento tedesco, riconoscendo un inedito diritto di scegliere come morire, esistente in capo ad ogni individuo, indipendentemente dalle ragioni a fondamento di tale scelta, e indipendentemente dalla presenza di particolari condizioni fisiche o di sofferenza della persona.

Il riconoscimento di tale facoltà ha portato i giudici della Corte Costituzionale a valutare la legittimità della disposizione che incrimina l’assistenza al suicidio esercitata in forma professionale. A tal proposito, è stato sostenuto che la disposizione del § 217 limiti la libertà di compiere il suicidio (seppur la limitazione attenga al divieto di collaborazione di terzi); nondimeno, essa potrebbe essere considerata legittima se l’ingerenza fosse proporzionata; vale a dire se la norma perseguisse un fine legittimo costituzionalmente rilevante, se fosse idonea per il raggiungimento di tale fine, e se fosse espressione di un bilanciamento ragionevole tra fine perseguito e restrizioni imposte. La Corte Costituzionale Federale ha ritenuto soddisfatti i primi due requisiti, affermando che la disposizione penale persegue il legittimo fine di tutelare il bene vita, mirando a proteggere l’autodeterminazione individuale nelle scelte terminative, e limitando il rischio di pressioni volte a inficiare l’assunzione di libere scelte. Allo stesso modo, anche la sanzione penale è stata considerata idonea al raggiungimento di tale

172 fine, giacché essa si pone come ostacolo rispetto al compimento di condotte potenzialmente dannose. Sennonché, è il terzo dei tre requisiti che ha portato la Corte a concludere in ordine all’incostituzionalità della disposizione, rilevando, appunto, una sproporzione tra il fine perseguito e le restrizioni imposte. Così come strutturata, infatti, la disposizione del § 217, nel tutelare la libera autodeterminazione nelle scelte di fine-vita rispetto ad interferenze esterne, impedisce anche che possa essere assunta una libera decisione in questo senso, giacché restringe eccessivamente le modalità di esecuzione della scelta terminativa. Difatti, impedire l’esercizio di pratiche di assistenza al suicidio esercitate in forma professionale limita la concreta autodeterminazione: tale divieto, appunto, comporta che i medici siano restii nell’eseguire pratiche di assistenza al suicidio (seppur non esercitate in forma organizzata); ed impedisce che esse possano divenire obbligatorie. Oltre a ciò, neanche le alternative possibili come l’eccezionale aiuto prestato dai medici in forma singolare e non professionale, il ricorso alle cure palliative, o ancora la possibilità di rivolgersi all’estero per l’esecuzione della pratica, sarebbero concretamente in grado di garantire il rispetto dell’autodeterminazione nella fase finale della vita.

In definitiva, la disposizione del § 217 è incostituzionale e pertanto deve essere eliminata dal sistema penale. Nondimeno, la Corte Costituzionale federale ha precisato che la dichiarazione di incostituzionalità non impedisca al legislatore di regolamentare l’esecuzione delle pratiche di fine-vita, purché vi sia il rispetto della libera autodeterminazione individuale nell’assunzione di scelte terminative.

Volendo riepilogare in sintesi: ad oggi le pratiche di assistenza al suicidio sono liberamente eseguibili, da chiunque ed in qualsiasi forma, essendo esse non regolamentate, e non vietate; l’omicidio del consenziente, invece, continua ad essere incriminato sulla base della disposizione del § 216408.

173

3.2.2 Il Canada: un esempio di evoluzione da un modello

Nel documento Le scelte di fine vita tra delitto e diritto (pagine 167-175)