• Non ci sono risultati.

Valorizzazione dell’alleanza terapeutica: consenso informato quale

1.6 La mancata disciplina del fine vita nella legge 219 del 2017

1.6.1 Valorizzazione dell’alleanza terapeutica: consenso informato quale

informato quale espressione dell’autodeterminazione

L’articolo 1 del testo di legge trova una sintesi al suo ottavo comma, con l’affermazione: «Il tempo della comunicazione tra medico e paziente

costituisce il tempo di cura»; questa espressione rappresenta una

completa valorizzazione del rapporto medico-paziente, non più intendibile come relazione asimmetrica all’interno della quale il sanitario è tenuto all’esecuzione di trattamenti medici, finalizzati esclusivamente alla salvaguardia del concetto oggettivo di salute, ma rapporto paritario, dialogante, all’interno del quale il paziente deve poter esprimere se stesso. In apertura alla norma vengono richiamati articoli fondamentali della Costituzione quali il 2, 13, 32, nonché gli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; tutti quanti posti a tutela della vita, della salute, della dignità, dell’autodeterminazione, mettendo “nero su bianco” che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero ed informato della persona interessata. Il consenso informato rappresenta la libertà personale, è l’espressione della

215 Legge 22 dicembre 2017 , n. 219, Norme in materia di consenso informato e di

84 dimensione corporea individuale, la quale non può essere prevaricata o violentata da alcuna azione non voluta del paziente; il consenso informato è prima di tutto questo, solo in secondo luogo possiamo rinvenirvi aspetti giuridici correlati, quali il presupposto di legittimità o l’esclusione di tipicità216 .

Il primo comma si chiude sostenendo che, nei casi espressamente previsti per legge, il diritto sopra richiamato venga meno; questa disposizione risultava necessaria al fine di coordinare la legge ordinaria con il dettato costituzionale espresso all’articolo 32 II comma. Affinché questo diritto possa essere coerentemente eseguito, risulta necessario che il paziente sia posto in condizioni di conoscere adeguatamente la sua situazione clinica ed è per questo che la norma ribadisce, a più riprese, l’importanza di un’informazione completa, comprensibile, un dialogo medico-paziente che metta in condizione di conoscere esattamente le conseguenze delle proprie decisioni, prospettando anche possibili alternative217: il consenso informato è l’incontro tra l’autonomia

decisionale del paziente e la competenza, autonomia professionale e la responsabilità del medico218. Il quinto comma richiede che la persona sia capace di agire per poter lecitamente esprimere il diritto di rifiutare trattamenti sanitari, precisando successivamente che il rifiuto possa essere prestato sia originariamente, decidendo di non dare inizio alla terapia consigliata dal medico, che successivamente, attraverso la revoca ad un consenso inizialmente prestato. La legge, quindi, ha inteso equiparare la situazione di mancata attivazione di trattamento sanitario alla sua revoca, evitando definitivamente che potessero presentarsi

216 Canestrari S., Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una

“buona legge buona”, in Corr. Giur., 2018, p. 301

217 A questo proposito il medico palliativista Luciano Orsi ha affermato che tale

previsione si tratti di una vera e propria rivoluzione, in quanto farà diventare quotidiano ciò che oggi sembra ancora quasi un’eccezione: un’effettiva informazione di tutti i malati sulle loro vere condizioni di salute; Orsi L., Un cambiamento radicale nella

relazione di cura, quasi una rivoluzione (articolo 1 commi 2 e 3), in BioLaw Journal- Rivista di BioDiritto, n 1/2018, p. 25

85 divergenze interpretative basate sulla distinzione naturalistica della condotta tenuta dal sanitario219. A questo proposito, si pensi a quali potrebbero essere le conseguenze se si intendesse tracciare la distinzione sopra delineata; in primo luogo potrebbero verificarsi delle disparità di trattamento tra soggetti a seconda del tipo di malattia da cui sono affetti: se, infatti, l’ordinamento non legittimasse il sanitario ad interrompere cure già avviate, solo colui il quale si trovasse nella condizione fisica per poterlo fare autonomamente avrebbe la possibilità di sottrarsi all’atto medico. Oltre a ciò si potrebbero presentare discriminazioni basate sullo stato di avanzamento della patologia sofferta (in relazione al momento in cui si può rinunciare o meno) e sul tipo di terapia attuata. Inoltre, impedire di poter rifiutare cure già iniziate, potrebbe portare i pazienti a non volerle avviare affatto, col timore di non potervisi più liberare a posteriori220.

Nell’ipotesi in cui il rifiuto o la rinuncia vengano prestati per un trattamento salvavita, il sanitario è tenuto a prospettare al paziente tutte le conseguenze e le possibili alternative, essendo in ogni caso tenuto a promuovere ogni azione di sostegno al paziente medesimo. Questo significa che, di fronte al rifiuto della terapia salvavita, non viene meno la posizione di garanzia del medico, ma al contrario, permane l’obbligo giuridico di prestare ogni terapia che non sia stata rifiutata, ad esempio terapie del dolore.

La legge, inoltre, prende in considerazione le situazioni di emergenza o urgenza clinica (art. 1, VII comma). Con questa disposizione, si indica che l’equipe sanitaria, di fronte a situazioni critiche o urgenti, debba tendere alla cura del paziente, ponendo in essere le pratiche necessarie; precisando comunque, la necessità del rispetto delle volontà del paziente, purché le condizioni cliniche o le circostanze consentano di recepirle. Questo significa che di fronte ad una situazione in cui la

219 Supra, cap. 1, par. 1.2.2

220 Cupelli C., Consenso informato, autodeterminazione terapeutica e disposizioni

86 condizione medica e l’urgenza dell’intervento impediscano di recepire le volontà dell’avente diritto, i sanitari debbano eseguire tutto quanto necessario per la cura della persona. La disposizione legislativa, per quanto abbia il pregio della chiarezza, avrebbe potuto precisare che, una volta cessata la situazione critica ed urgente, dovesse ritornare in vigore il principio del consenso informato221.

Onde evitare che si creassero ulteriori dibattiti interpretativi222, il quinto

comma ha precisato e sancito definitivamente che siano da considerarsi trattamenti sanitari la nutrizione e l’idratazione artificiale; stando così le cose, possono quindi rifiutarsi, al pari di qualsiasi altra terapia223. Riguardo a ciò, la dottrina nel corso degli anni aveva assunto posizioni divergenti; in particolare, si constatavano tali posizioni contrarie: da un lato si schieravano coloro che ritenevano che le NIA dovessero configurare quale un trattamento sanitario224; dall’altro, coloro che le identificavano come una mera “forma assistenziale”, per cui ben lontana dalla qualificazione di trattamento medico225. In particolare, quest’ultima posizione sosteneva che l’idratazione e l’alimentazione artificiale dovessero considerarsi quale una forma assistenziale non rientrante nell’articolo 32, II comma, Cost. . A questo proposito, il CBN226 definì le NIA come un “sostentamento ordinario di base”,

221 Canestrari, Consenso informato, cit., p. 303. 222 Supra, cap. 1, par. 1.5.2

223 Critico al riguardo Eusebi L., Decisioni sui trattamenti sanitari o «diritto di

morire»? I problemi interpretativi che investono la legge N. 219/2017 e la lettura del suo tento nell’ordinanza di rimessione alla corte costituzionale dell’art. 580 c.p., in Riv. it. med. leg. (e del diritto in campo sanitario), fasc. 2, 2018, p. 424

224 Galazzo G., Qualificazione dei trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale e

discrezionalità del legislatore, in Il diritto alla fine della vita. Principi, decisioni, casi,

a cura di D’Aloia A., Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, 203 ss.; Veronesi, Il corpo

e la costituzione, cit., p. 228; SIAARTI, Parere in materia di fine vita, stati vegetativi, nutrizione e idratazione, ottobre 2009, in www.siaarti.it

225 Consiglio Nazionale per la Bioetica, L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in

stato vegetativo persistente, 30 settembre 2005, in www.bioetica.governo.it; Borgono C., Rifiuto di cure. Il dibattito sulla nutrizione e l’idratazione artificiale della Chiesa

Cattolica, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A.,

edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2012, p. 175 ss. l’autore evidenzia le prese di posizione della Chiesa Cattolica riguardo alle NIA; si esprimeva in questo senso anche il DDL Calabrò, presentato in Senato il 27/01/09

87 giacché l’acqua e il cibo non possono “trasformarsi” in terapia medica per il solo fatto che vengano somministrati per via artificiale. In questo senso quindi, le NIA non configurano come terapia, bensì come “cura” dovuta, dal momento che non vanno a contrastare alcun sintomo o disfunzione del paziente. In sintesi: l’idratazione e l’alimentazione artificiale non possono qualificarsi come trattamenti sanitari dal momento che non tendono alla cura del paziente (cura intesa in senso stretto, vale a dire trattamento in grado di curare una patologia)

Al contrario di quanto sopra sostenuto, l’opinione dissenziente promuoveva la qualificazione delle NIA come trattamenti sanitari. In particolare, alla tesi sopra esposta si obiettava che se il discrimine tra atto terapeutico o meno veniva rinvenuto nella finalità del trattamento alla cura (intesa come cura in senso stretto), si avrebbe dovuto ritenere che neanche un prelievo di sangue, ad esempio, potesse considerarsi come trattamento medico; esso, infatti, non cura alcuna patologia, però nessuno dubita circa la sua natura di trattamento sanitario227.

Più in generale, in ogni caso, coloro che affermavano che le NIA fossero trattamenti sanitari si basavano su tali argomentazioni per sostenere la propria tesi: per l’esecuzione di una PEG (gastronomia endoscopica percutanea) sono richieste competenze mediche di cui non dispone ogni individuo, è infatti necessaria l’esecuzione di alcune manovre chirurgiche che soltanto il personale sanitario è in grado di compiere228;

inoltre, se un qualsiasi individuo, non medico, praticasse una PEG o gestisse da un punto di vista clinico un sondino naso-gastrico, insomma, se compisse azioni volte ad idratare o alimentare artificialmente il paziente, commetterebbe il reato di esercizio abusivo di professione (348 c.p.)229.

227 Galazzo, Qualificazione dei trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale, cit.,

p. 206

228 Veronesi, Il corpo e la costituzione, cit., p. 228

88 Di fronte a tali schieramenti contrapposti (coloro che identificano le NIA come trattamenti sanitari, coloro che le considerano mera assistenza), una voce “fuori dal coro” ricercava la soluzione del problema circa la qualificazione giuridica delle NIA, al di fuori del diritto costituzionale che tutela salute230. Infatti, è indifferente e

superfluo che esse siano qualificate o meno come trattamenti sanitari, giacché le NIA, per natura, sono interventi invasivi, e quindi, sono da considerarsi come una misura di restrizione della libertà, e lesive del diritto all’integrità fisica ex art. 13 nel caso in cui esse vengano iniziate o proseguite contro la volontà dell’individuo. Tale posizione sembra essere la più convincente: è di poco conto che l’idratazione e l’alimentazione artificiale configurino o meno come trattamenti sanitari; l’individuo gode di piena libertà personale tale per cui può rifiutare ogni ingerenza esterna la quale non sia voluta. La questione, quindi, deve attenere al piano dell’inviolabilità della libertà personale, piuttosto che a quello del diritto di rifiutare trattamenti sanitari.