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Giovanni Nuvoli

1.5 Decisioni giurisprudenziali su alcuni casi celebri

1.5.3 Giovanni Nuvoli

La seguente vicenda ha riguardato un uomo, malato di SLA, che è stato costretto a privarsi del nutrimento e dell’idratazione per cessare di vivere nelle condizioni che non riteneva più corrispondenti alla sua concezione di esistenza degna. Giovanni Nuvoli era da anni malato di sclerosi laterale amiotrofica e il progredire della malattia aveva eliminato le sue funzioni motorie e respiratorie (dipendeva completamente dal ventilatore polmonare); data questa condizione, aveva fatto richiesta a diversi medici di operare il distacco del respiratore, previa sedazione profonda. Si noti che la vicenda è analoga, fino a qua, a quanto accaduto a Piergiorgio Welby. Sennonché, Nuvoli ricevette reiterati rifiuti da parte dei medici e iniziò a declinare la somministrazione di cure necessarie per malattie ulteriori a quella di base194, nella speranza che la sua situazione si aggravasse maggiormente e ciò lo conducesse a morte. Alla fine, stremato, scelse di non alimentarsi più e di non assumere alcun liquido, richiedendo semplicemente di essere sedato, di modo da non patire alcun dolore. Pochi giorni dopo morì, col ventilatore polmonare ancora attaccato.

194Si legge nella richiesta di archiviazione promossa dalla Procura della Repubblica di

Sassari che N. si era rifiutato di sottoporsi a trattamento eparinico a seguito della diagnosi di un’ischemia, o ancora, si era rifiutato di sottoposti a cure antibiotiche a seguito della diagnosi di un grave stato settico.

75 La Procura della repubblica decise di archiviare la notizia di reato195 per il medico che non aveva imposto trattamenti salvavita al paziente, limitandosi a praticare la sedazione profonda; il reato che astrattamente avrebbe potuto configurarsi era l’omicidio del consenziente [579 c.p.] nella sua forma omissiva [40 c.p.]. Il Pm, preso atto della certa consapevolezza e coscienza nell’assunzione delle decisioni di Nuvoli196,

escluse che fosse stato integrato alcun reato, non solo perché il medico non aveva alcun obbligo di imporre l’alimentazione e l’idratazione nei confronti del paziente, ma soprattutto perché non ne aveva alcun diritto: di fronte al rifiuto prestato dalla persona, il personale sanitario ha il dovere di rispettarlo [32, II, Cost. combinato con gli articoli 2 e 13 Cost]197. Oltretutto deve rilevarsi come la condotta del medico sia stata

deontologicamente corretta, non avendo egli abbandonato il paziente a seguito del suo rifiuto a determinati trattamenti, ma avendolo accompagnato nel cammino verso il decesso con l’unica cura che gli era stata richiesta, vale a dire la sedazione profonda. A questo proposito si legge nella richiesta di archiviazione che « dovere del medico non è solo

la cura del paziente, ma anche l'accompagnamento del paziente alla morte, la partecipazione alle reali angosce di una vita che sta per spegnersi ». Queste considerazioni hanno comportato la già

prospettabile archiviazione della notizia di reato.

Il caso sopra delineato risulta esemplificativo di come due condizioni apparentemente analoghe, quali quelle in cui versavano Welby e Nuvoli, abbiano avuto due esiti differenti a causa della mancanza di una disciplina legislativa concreta e puntuale che facesse sentire al sicuro il

195 Procura della Repubblica Sassari, richiesta di archiviazione 22 - 23 gennaio 2008,

consultabile su Diritto e giustizia, 25/01/08; per nota a pronuncia cfr. Vallini A., Non

è un delitto rispettare l’altrui diritto di essere lasciato morire, in D&G, 25/01/08.

196 N. era stato più volte sottoposto a valutazioni psichiatriche ed era sempre emersa la

sua consapevolezza nell’assunzione delle decisioni, mai nelle visite era emerso un qualche sospetto circa l’assenza di facoltà mentali.

76 medico nel suo operato198. La relazione medico-paziente è funzionale solo nel momento in cui entrambi si trovino ad assumere decisioni nella completa chiarezza legislativa, consapevoli reciprocamente dei diritti e degli obblighi giuridicamente sanciti.

1.5.3.1 L’interpretazione del reato di violenza privata

Merita fare cenno al fatto che, nel testo redatto dal Procuratore della Repubblica, si legge che nell’ipotesi in cui il medico dovesse forzatamente realizzare un trattamento sanitario, dovrebbe rispondere di violenza privata ex articolo 610 c.p.. Tale norma incrimina la condotta di colui che, con violenza o minaccia costringa altri a fare, tollerare od

omettere qualche cosa; nella situazione in esame può certamente

rinvenirsi l’evento della costrizione a tollerare un trattamento medico non voluto, più problematica è invece l’individuazione del requisito della violenza, quale modalità della condotta richiesta al soggetto agente.

In dottrina si è discusso molto circa l’integrazione o meno del reato in questione da parte del sanitario che ponga in essere un trattamento medico non voluto, analizzando, in particolare, la mancata disattivazione di un sostegno vitale a seguito della richiesta del paziente. In linea generale, sono riscontrabili due posizioni alternative: da un lato vi sono i fautori della tesi secondo cui la condotta del medico sia suscettibile di integrare il reato di cui all’art. 610 c.p.199; dall’altro lato

198 Cfr. Piras P., L’interruzione delle terapie salvavita: il caso Nuvoli prima e dopo la

legge 219 del 2017, in Sistema penale, 15 gennaio 2020

199 Giunta, Diritto di morire e diritto penale, cit., p. 100 ss. ; Canestrari, Le diverse

tipologie di eutanasia, cit, p. 764; Cupelli C., Il diritto del paziente (di rifiutare), il dovere del medico di non perseverare, in Cass. pen., fasc. 5, 2008, p. 1820; Provolo

D., Le direttive anticipate: profili penale e la prospettiva comparatistica, in Il Governo

77 invece, vi sono coloro i quali negano l’applicazione della norma in questione200.

In particolare, quest’ultimi ritengono che, stante il dovere del sanitario di non porre in essere trattamenti contrari alla volontà del paziente, non può dirsi che il medico sia anche “garante” del diritto dell’individuo di non subire ingerenze non volute (come richiesto ex art. 40 c.p.); e ciò sulla base del fatto che, non vi sono indicazioni normative al riguardo201.

In sostanza, ciò significa non possa rinvenirsi nel sanitario l’obbligo di impedire ogni indebita manomissione fisica del corpo paziente, tale per cui la condotta omissiva del medico non potrebbe rilevare ex art. 40 c.p.. Inoltre, deve considerarsi che a voler sostenere l’integrazione del reato in esame, nei fenomeni di mancata interruzione di trattamento non più voluto, l’art. 610 c.p. dovrebbe ritenersi integrato a seguito di una condotta omissiva del sanitario. Tale reato, però, è una fattispecie a condotta vincolata, quindi, non suscettibile di convertirsi in forma omissiva202. A tale ultima argomentazione veniva sollevata un’obiezione basata sulla definizione giuridica del concetto di violenza203. In particolare, aderendo all’impostazione secondo la quale la violenza non configuri solo in forma “propria”, ma anche “impropria”204, si giunge a considerare violento qualunque mezzo

200 Canestrari, Rifiuto informato e rinuncia consapevole, cit, p. 1914; Risicato, Dal

diritto di vivere al diritto di morire, cit., p. 61; Vallini A., Rifiuto di cure salvavita e responsabilità del medico: suggestioni e conferme della più recente giurisprudenza,

in Diritto penale e processo, n. 1, 2008, p. 77

201 Ibidem, Vallini, p. 77

202 Viganò F., La tutela penale della libertà individuale. I. L’offesa mediante violenza,

Giuffrè Editore, Milano, 2002, p. 267, l’autore sostiene che la violenza non possa configurare in forma omissiva. In particolare afferma che la violenza debba considerarsi quale una forza che modificala realtà, che interviene nel corso delle cose. La mera mancata rimozione di una situazione di pericolo preesistente è suscettibile di configurarsi solamente come un approfittamento o un abuso di una situazione di potere preesistente. Vallini, Rifiuto di cure, cit., p. 77; Canestrari, Rifiuto informato, cit., p. 1914

203 Giunta, Diritto di morire, cit., p. 101

204 Antolisei F., Diritto penale, parte speciale I, Giuffrè, Milano, 2016, p. 140 e 144

ss., in particolare vengono considerate violente tutte le attività insidiose con cui il soggetto viene posto nell’impossibilità di volere o di agire. L’autore precisa che la violenza possa assumere la configurazione omissiva, purché sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento.

78 adoperato sul corpo del paziente, che sia volto a limitare o annullare la sua capacità di autodeterminazione. In questo senso, quindi, configura come violenta anche la condotta omissiva del sanitario che si rifiuti di distaccare dal macchinario il paziente richiedente, giacché la violenza non configura più come una fattispecie a condotta vincolata, ma come un’azione che rileva penalmente in quanto causalmente orientata alla costrizione della vittima.

Stante questo dibattito dottrinale, è doveroso sottolineare che la giurisprudenza205, in linea generale, si muova nel senso di non riconoscere la configurazione del reato nell’ipotesi in cui venga realizzato un trattamento sanitario contro la volontà del paziente e l’esito sia fausto.