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L’unicità della disciplina svizzera

Nel documento Le scelte di fine vita tra delitto e diritto (pagine 182-185)

3.2 Spunti di diritto comparato

3.2.3 L’unicità della disciplina svizzera

La disciplina del fine vita in Svizzera rappresenta un unicum dal momento che è stata ricavata a contrario dai divieti di assistenza al suicidio e omicidio del consenziente. L’articolo 114 del codice penale svizzero prevede una fattispecie attenuata del generale omicidio se eseguito per motivi stimabili, compassionevoli, e soprattutto sulla base di una richiesta seria e pressante proveniente dal soggetto passivo. L’art. 115, invece, punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio alla sola condizione che sia eseguito per motivi egoistici, esulando quindi dal penalmente rilevante un aiuto fornito per affetto, solidarietà, compassione, ma anche disinteresse o indifferenza428. La norma è nata

con l’intenzione di tutelare coloro che, agendo in virtù di un sentimento empatico, agevolassero un soggetto richiedente di morire a concretizzare il proposito429; la prassi, invece, ha dato un significato

differente alla norma, ammettendo la praticabilità del suicidio assistito. Volendo fare una preliminare comparazione col modello tedesco, è riscontrabile che una disciplina la quale, sulla carta, avrebbe dovuto essere più restrittiva (la svizzera appunto) si sia rivelata maggiormente permissiva di un ordinamento che, prima del 2015, non incriminava alcuna forma di assistenza al suicidio (la Germania)430. Infatti in Germania, le forme organizzate di suicidio assistito prestate da cliniche professionali sono considerate un esercizio professionale illecito del suicidio assistito; in Svizzera, invece, assumono il significato di aiuto alla morte umanamente accettabile, non egoistico431. In questo senso quindi, gli elvetici ammettono l’esecuzione di pratiche di assistenza al

428 Noseda J., La legislazione svizzera sull'assistenza al suicidio, in

Autodeterminazione e aiuto al suicidio, a cura di Fornasari, Picotti, Vinciguerra,

Padova, 2019, p. 71

429 Baraggia A., L’assistenza organizzata al suicidio in Svizzera: verso una

regolamentazione?, in Quad. Cost., 2010, fasc. 2, p. 367 ss.

430 Donini, La necessità di diritti infelici. Il diritto di morire come limite all’intervento

penale, in Dir. pen. cont., 15 marzo 2017 p. 19

181 suicidio; il problema è la totale mancanza di alcuna legge che disciplini espressamente il suo esercizio: non viene infatti stabilito chi possa fornire assistenza, o quali siano i requisiti di accesso, o ancora, quale procedura sia opportuno seguire. Di fronte all’inerzia del legislatore, è la sola Accademia Svizzera delle Scienze Mediche432 ad aver fornito

indicazioni circa lo svolgimento dell’assistenza al suicidio, attraverso la redazione delle Direttive medico- etiche sul come confrontarsi con il

fine vita e il decesso433.,

Lungi dal riconoscere un diritto al suicidio, esse precisano che tale assistenza non sia un atto medico del quale possa essere preteso l’esercizio, constatandosi, altresì, la certa possibilità del sanitario di non assecondare le richieste di morte. Nonostante ciò, dal momento che l’aiuto al suicidio presenta una zona di liceità, il medico ha la possibilità di accogliere le richieste purché vi sia il rispetto di determinati presupposti quali: capacità di discernimento (provato da documentazione medica); volontà di morire ponderata, seria, persistente; malattia e/o limitazioni funzionali che cagionino sofferenze insopportabili; aver esperito ogni altra soluzione di aiuto o sostegno; valutazione del medico il quale, a seguito di ripetuti colloqui, ritenga comprensibile il desiderio del paziente di morire. Viene inoltre ribadita l’importanza del fatto che l’ultimo gesto che comporterà la morte sia compiuto dal paziente, stante l’esistenza del reato previsto dall’art. 114 per il quale si vieta l’omicidio del consenziente434.

432 Essa è un’organizzazione avente lo scopo primario della ricerca e del sostegno nei

confronti dei medici dell’esercizio della loro professione. Tra le sua attività è annoverabile anche quella di elaborazione di direttive e raccomandazioni etiche per la pratica e la ricerca medica, Di Carlo A., La scelta di non legiferare in materia di

eutanasia: il caso della Svizzera, Il diritto alla fine della vita. Principi, decisioni, casi,,

a cura di D’Aloia A., Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2012 p. 627

433 Direttiva pubblicata sul sito on-line dell’ASSM,

www.samw.ch/fr/Publications/Directives/Direttive-medico-etiche

434 A questo proposito propongo una breve riflessione inerente al caso di Fabiano

Antoniani: si pensi a cosa hanno dovuto “escogitare” le associazioni per permettere a soggetti incapaci di muoversi, di suicidarsi. L’esempio lampante è F. A il quale, non potendo muovere le braccia per assumere oralmente la sostanza, ha dovuto auto- iniettarsela tramite un macchinario il quale, si sarebbe attivato tramite la pressione di

182 Il legislatore svizzero, quindi, ha ritenuto opportuno non legiferare al riguardo; si consideri che il Parlamento Federale (nel 2011 e a seguito, nel 2012) ha sostenuto che il diritto attuale sia sufficiente, non essendoci alcuna necessità di prevedere ulteriore disciplina in materia di suicidio assistito435. Nonostante ciò non sono mancati interventi ad opera dei

singoli Cantoni, alcuni dei quali hanno ritenuto doveroso intervenire per determinare una disciplina maggiormente puntuale; si ricordi ad esempio il Cantone di Neuchâtel il quale ha approvato una norma (nel 2014) che riconosce il diritto al suicidio, con conseguente obbligo delle istituzioni di pubblica utilità di rispettare le scelte in materia, purché vi sia l’osservanza di determinati requisiti (malattia incurabile, prospettazione di ogni cura idonea al suo stato di salute, ecc.)436.

L’evidente problema della carenza di una normativa puntuale ha comportato che la pratica si evolvesse nella prassi, dando adito alla proliferazione di organizzazioni le quali offrono il suicidio assistito, non essendo prescritto l’obbligatorio affidamento della pratica a strutture pubbliche437. Da ciò ne deriva il fenomeno noto come “turismo del suicidio”; vale a dire cittadini di altri stati i quali, a causa delle limitazioni imposte dal paese di provenienza, si rechino in Svizzera con l’intenzione di ottenere assistenza. Le Associazioni (no profit) assolvono il compito di eseguire le volontà dei richiedenti, muovendosi all’interno dei margini legali che il codice penale gli mette a disposizione. Per fare un esempio, nonostante tali organizzazioni si facciano pagare per l’esecuzione della pratica (tale per cui potrebbe rinvenirsi uno scopo di lucro, in aperto contrasto con l’ambito di liceità

un pulsante. Tutto ciò comunque, presuppone che l’individuo abbia anche la minima capacità motoria, in assenza della quale, non potrà ottenere l’assistenza al suicidio in Svizzera.

435Silva, Suicidio assistito in Svizzera, cit., p. 313; Baraggia, A., L’assistenza

organizzata al suicidio in Svizzera, cit., p. 369

436 Silva, Suicidio assistito in Svizzera, cit., p. 313; Si veda anche Noseda J., La

legislazione svizzera sull'assistenza al suicidio, cit., p. 74

437 Si pensi alle più “famose” associazioni che offrono assistenza al suicidio quali: Exit

183 sancito dall’art. 115), gli incassi si ritengono giustificati sulla base delle spese amministrative, sanitarie e mediche necessarie al suicidio438; o ancora, dal momento che non vi è l’obbligo di esecuzione della pratica da parte di un sanitario, si ricorre sempre più spesso metodi alternativi per realizzare l’evento-morte (dato che il coinvolgimento del medico è più difficoltoso) non necessitanti di prescrizione medica439.

Questo breve quadro esplicativo denota l’unicità della disciplina svizzera; ed è proprio la sua unicità ad impedire che essa possa essere riproposta in un altro ordinamento; ciò che oggi è ammesso in tema di fine vita è frutto di prassi concretizzatesi nel corso degli anni le quali hanno trovato un terreno fertile nel paese svizzero, ma che molto difficilmente (se non inverosimilmente) troverebbero seguito in altri stati. L’esempio evidente è la stessa Germania; essa temendo di divenire anch’egli meta di “turismo eutanasico”, al pari della Svizzera, ha provveduto a vietare ciò che fino a quel momento si considerava lecito.

3.2.4 L’Olanda: uno dei primi paesi a regolamentare le pratiche

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