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Riflessioni conclusive

Nel documento Le scelte di fine vita tra delitto e diritto (pagine 156-165)

2.3 Procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale

2.3.3 Riflessioni conclusive

La recente sentenza della Corte Costituzionale ha snaturato il modello impositivo italiano, determinando un’evoluzione in senso espansivo, ed ammettendo, quindi, la possibilità di eseguire, in una specifica ipotesi, l’agevolazione al suicidio senza incorrere in responsabilità penale. In sostanza, la condotta di agevolazione al suicidio continua ad essere

155 vietata; la presenza di specifici presupposti e il rispetto di una sorta di procedura, però, esclude l’applicazione della norma penale. Questo significa che pur essendo posta in essere una condotta astrattamente suscettibile di integrare il reato, essa deve considerarsi giustificata se eseguita secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale373.

Rispetto al precedente contesto, è innegabile che sia stato fatto un enorme passo in avanti; ciò che, però, è lecito domandarsi è se quanto statuito dalla Corte Costituzionale sia necessario a regolamentare le richieste di assistenza al suicidio; o se, al contrario, sarebbe opportuno un intervento del legislatore volto a disciplinare puntualmente le pratiche di fine vita. Chi scrive ritiene non sufficiente la sola pronuncia emanata dal giudice delle leggi, ritenendo, al contrario, doveroso ed indispensabile che il legislatore si faccia carico del compito che gli spetta. Si assume, quindi, una posizione di contrasto rispetto a coloro374 che ritengono che, essendo la sentenza della Corte sufficientemente chiara, non sarebbe necessario che il legislatore intervenisse a regolamentare la materia di fine vita. A questo proposito, è sostenibile che una posizione in questo senso non tenga conto dell’enorme complessità della materia del fine vita. La pronuncia della Corte Costituzionale ha certamente assunto una posizione evolutiva, ma lo ha fatto solo ed esclusivamente in relazione ad una singola ipotesi interna al variegato panorama del fine-vita; in sostanza, la Corte ha circoscritto un problema molto più ampio. Con ciò non si vuole sostenere che il Giudice delle leggi avrebbe dovuto “fare di più”; esso, essendo un organo di garanzia costituzionale, ha operato nei limiti delle sue competenze, vagliando la costituzionalità della norma che incrimina l’aiuto o l’istigazione al suicidio. Le problematiche attinenti alla materia del fine-vita, però, non sono esclusivamente quelle prese in considerazione dalla pronuncia; essa, infatti, non esaurisce (e non si può

373 Di Paola F., Ritorno al futuro: e se la Corte Costituzionale avesse indicato una

strada già tracciata? In Giurisprudenza Penale Web, 3/01/19, p. 6

156 avere la pretesa che venga fatto) tutte le questioni annose che un tema così intricato si porta dietro. In sostanza: assumere che la pronuncia della Corte sia sufficiente significa voler circoscrivere un problema molto più ampio, fingendo che in questo modo siano risolte tutte le questioni attinenti al fine-vita. Sostenere la necessità dell’intervento del legislatore, al contrario, significa ritenere che vi siano molti altri aspetti, non presi in considerazione dalla pronuncia, che necessitano di essere regolamentati. Se non altro perché parlare di fine-vita significa prendere in considerazione l’esistenza di molteplici interessi in gioco, come il diritto alla vita, l’autodeterminazione, la libertà personale, la tutela di soggetti deboli, o ancora, l’interesse dello stato alla prevenzione di abusi; questi interessi necessitano di essere bilanciati, in modo tale da determinare quando si debba ritenere preminente l’uno rispetto all’altro. È ovvio, però, che solo il legislatore abbia la funzione di operare in questo senso. In definitiva, se si ammette la necessità di ridefinire in generale il problema del fine-vita (rispetto a quanto statuito dalla Corte), altresì, si ammette la necessità di un intervento del legislatore.

Inoltre, a parere di chi scrive, un intervento del parlamento sarebbe necessario per superare gli aspetti critici della sentenza della Corte Costituzionale; in particolare per eliminare il requisito di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, o ancora, per estendere la liceità oltre alla sola praticabilità del solo suicidio assistito, ammettendo anche la possibilità di realizzare l’eutanasia in senso stretto. A questo ultimo proposito, deve essere precisato che solo mediante l’intervento del legislatore sarebbe possibile raggiungere un simile risultato. La Corte Costituzionale, infatti, non avrebbe potuto operare in questo senso; essa è stata chiamata a vagliare la costituzionalità del reato che incrimina l’aiuto al suicidio e, quindi, non avrebbe certamente potuto pronunciarsi circa l’ammissibilità di ciò che, invece, è vietato dall’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente).

157 Questi motivi hanno spinto chi scrive ad operare una riflessione inerente a quali profili dovrebbero esserci, e quali invece non dovrebbero presentarsi, in una futura disciplina italiana sul fine-vita; a questo proposito, il capitolo che segue è stato pensato per assolvere alla funzione di delineare una possibile regolamentazione italiana del fine- vita.

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3 CAPITOLO TERZO

PROSPETTIVE COMPARATE DI DISCIPLINA

DEL FINE VITA. APPUNTI PER UNA RIFORMA

Nel seguente capitolo verranno analizzati diversi e possibili approcci da adottare in materia di fine vita; verrà, poi, eseguita un’analisi comparata, finalizzata alla dimostrazione di come tali approcci si esplichino nella concretezza. A questo proposito quindi, saranno esaminate le discipline eutanasiche di cinque paesi sia europei che extraeuropei. Da ultimo infine, si forniranno possibili spunti per una futura regolamentazione italiana del fine vita.

SOMMARIO: 3.1 Spazio libero dal diritto o procedura regolamentata? 3.2 Spunti di diritto comparato 3.2.1 La disciplina tedesca: tra analogie e differenze con l’Italia 3.2.1.1 (Segue) La recente pronuncia della Corte Costituzionale Federale tedesca sulla disposizione del § 217 3.2.2 Il Canada: un esempio di evoluzione da un modello impositivo ad uno permissivo 3.2.3 L’unicità della disciplina svizzera 3.2.4 L’Olanda: uno dei primi paesi a regolamentare le pratiche di fine vita 3.2.5 La disciplina eutanasica in Belgio 3.2.6 Riflessioni a seguito dell’analisi comparata 3.3 Le varie proposte di regolamentazione italiana a confronto 3.3.1 Le proposte di legge presentate in parlamento 3.3.2 Alcune ipotesi di regolamentazione avanzate dalla dottrina 3.4 Verso una disciplina del fine vita 3.4.1 Contesto di riferimento della disciplina eutanasica 3.4.2 Requisiti di accesso alla pratica 3.4.3 Tipologie di pratiche eseguibili 3.4.4 Obbligo di esecuzione della pratica eutanasica e conseguente diritto di obiezione di coscienza 3.4.5 I nuovi confini della responsabilità penale

3.1 Spazio libero dal diritto o procedura regolamentata?

Si è sostenuto che la recente pronuncia emanata dalla Corte Costituzionale375 non sia sufficiente alla regolamentazione delle pratiche di fine vita, per questo lo Stato italiano dovrebbe intervenire.

159 Ciò che resta da valutare è il come si ritiene che lo esso debba agire; vi sono, infatti, due diversi approcci che potrebbero essere adottati in materia di fine-vita: lasciare uno spazio libero dal diritto e, quindi, sostenere che lo Stato debba abrogare tutte le norme poste a divieto delle pratiche eutanasiche; oppure strutturare una disciplina in forma di giustificazione procedurale. Di fronte a temi così carichi di valori etici e morali, infatti, è lecito domandarsi se sia arroganza dei giuristi il voler assumere una posizione al riguardo; è lecito chiedersi, quindi, se sia preferibile o meno che lo Stato si faccia da parte lasciando ad ogni individuo, in accordo col medico, la possibilità di scegliere quando morire.

Secondo la teorizzazione dello spazio libero dal diritto376, lo Stato laico

dovrebbe astenersi dal fornire qualsivoglia disciplina, lasciando che la scelta (etica) venga di volta in volta compiuta da parte dei singoli individui. Lo Stato, quindi, dovrebbe assumere una posizione di neutralità, non fornendo alcuna disciplina, e tantomeno, non eseguendo alcun controllo ex ante. Ogni individuo potrebbe porre in essere la condotta che ritiene più coincidente con il proprio pensiero; condotta la quale non assumerebbe né la connotazione di liceità, né quella di illiceità. Si configurerebbe, quindi, una sorta di tertium genus fra illecito e lecito, il quale renderebbe possibile l’assunzione di scelte etiche

personali, prescindendo da qualsiasi posizione assunta

dall’ordinamento; solo in questo modo nessuno dei valori etici confliggenti ne uscirebbe “sacrificato”377.

Un orientamento in questo senso non è stato esente da critiche: in particolare è stato sostenuto che lo Stato liberale non possa limitarsi ad assumere una posizione rinunciataria, decidendo di “non decidere”. Affinché le diverse concezioni etiche e morali vengano rispettate è

376 Per un’opinione favorevole si veda Flick G. M., Dovere di vivere, diritto di morire,

oppure...?, in Federalismi, rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, n.

2, gennaio 2011, p. 17

377 Donini M., Il caso Welby e le tentazioni pericolose di uno spazio libero dal diritto,

160 opportuno che esse siano bilanciate; il bilanciamento, però, è concretizzabile solo da parte uno Stato che decida di assumere una posizione al riguardo, e che non si limiti a rimanere neutrale378.

Oltre a ciò, è doveroso sottolineare che l’opzione di non scegliere sia in realtà una presa di posizione, giacché rappresenta un passo verso discipline più liberiste, le quali sono volte all’estensione del giuridicamente permesso379.

Al contrario, un buon modo per lo Stato di non imporsi autoritativamente o paternalisticamente, pur non lasciando completamente libero il campo della disciplina, è l’utilizzo delle scriminanti procedurali. La teorizzazione di questa nuova figura ha preso piede soprattutto in Germania, sviluppandosi in relazione alla disciplina dell’aborto380.

Vediamo nello specifico di che cosa si tratta.

Nel nostro ordinamento, vi è un vasto settore di interessi nei quali il diritto penale interviene a posteriori, o comunque, è complementare alla disciplina di atti e procedure amministrative. Questo fenomeno è tipico delle situazioni nelle quali non è possibile stabilire a priori quale sia il valore da preferire all’interno di un conflitto di interessi, tale per cui sarà necessario attendere che l’amministrazione abbia effettuato (al posto dello stato) il bilanciamento o il controllo, per poi intervenire con una tutela direttamente sul risultato raggiunto. I fenomeni come sopra descritti possono distinguersi in due classi381:

378 Donini, Il caso Welby, cit., p. 907; Omodei, Istigazione e aiuto al suicidio, cit., p.

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379 Ibidem Donini, p. 906; ibidem Omodei, p. 155

380 Romano M., Cause di giustificazioni procedurali? Interruzione di gravidanza e

norme penali, tra esclusioni del tipo e cause di giustificazione, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 4, 2007, p. 1269, Tordini Cagli, Le forme dell’eutanasia, cit., p. 1829, la

figura della scriminante procedurale si è sviluppata in relazione al 218, a I del codice penale tedesco, che non prevede la punibilità dell’interruzione di gravidanza che sia effettuata nel rispetto di una serie di prescrizioni. Il requisito principale è il consenso della donna.

381 Donini M. Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra

161 A. Condotte originariamente lecite le quali vengono disciplinate in via amministrativa, con la previsione di una sanzione penale nell’ipotesi in cui vengano violati i limiti di un rischio consentito interno alla tipicità. In questo caso la mancanza dell’autorizzazione renderà tipico il fatto commesso.

B. Condotte originariamente illecite anche penalmente, salvo che non siano state vagliate ed ammesse dalla pubblica amministrazione. In questo caso il rischio che viene consentito è introdotto da un’autorizzazione o una concessione la quale opera come causa di giustificazione; qualora manchi l’autorizzazione il fatto commesso sarà antigiuridico.

Merita precisare che le verifiche procedimentali prese in considerazione sopra hanno un valore dichiarativo: esse sono volte all’accertamento della presenza della situazione giustificante o autorizzativa, giacché i presupposti sostanziali sono già preesistenti all’accertamento stesso. Diversamente, invece, vi sono altri casi i quali emergono a livello di cause di giustificazione: essi riguardando condotte ad alto rischio etico di illiceità, o contrassegnate da conflitti di doveri. Queste ipotesi si differenziano dai due modelli precedenti, giacché riguardano sempre condotte lesive o comunque altamente pericolose; tale per cui è problematica la valutazione etico-sociale, stante le potenzialità culturali o politiche in gioco (si pensi all’aborto, all’eutanasia, ecc.). Pertanto, in queste ipotesi risulta difficoltoso per lo Stato compiere una valutazione di legittimità sostanziale ex ante (e quindi, risulta difficoltoso sostituire la sua valutazione a quella del singolo). Per determinare la liceità del fatto, quindi, si rende necessaria la previsione di una procedura all’interno della quale un soggetto, o un comitato competente, bilancino i profili tecnici e morali delle scelte da compiere: nell’ipotesi in cui non venga osservata tale procedura giustificante, si potrà incorrere in conseguenze penali382.

162 Quanto appena descritto prende il norme di scriminante procedurale383. In questo senso, notiamo una profonda differenza tra le cause di giustificazione e le giustificazioni procedurali: le prime richiedono una valutazione ex ante da parte dello stato; esso, infatti, definisce la legittimità sostanziale di una certa condotta, o comunque, predetermina i criteri sulla base dei quali chiunque dovrebbe poter compiere una valutazione di legittimità che verrà accertata a posteriori dal giudice penale (ad. esempio la legittima difesa). In sostanza, è il legislatore che compie un bilanciamento tra i valori confliggenti, e lo compie prima che venga posta in essere qualsiasi condotta.

Nelle scriminanti procedurali, invece, non viene né vietato, né liberalizzato alcun comportamento; il bilanciamento circa i valori confliggenti viene lasciato al singolo. Vi è, quindi, una situazione conflittuale tra due beni richiamati a cui lo Stato non è in grado di trovare una soluzione, se non prevedendo un procedimento da osservare che lasci all’individuo la libertà di compiere in autonomia il bilanciamento tra valori384.

La procedura assolve alla funzione di legittimare fatti che altrimenti sarebbero vietati: le condotte sono autorizzate non perché vi è la presenza, ex ante, di presupposti che legittimino una certa attività; bensì perché è all’interno del procedimento che tali condotte assumono la connotazione di liceità. La procedura, in questo senso, serve a costituire la liceità del fatto, non solo a dichiararla385.

Questa forma di scriminante è stata oggetto di una serie di obiezioni386:

in particolare si è criticato il fatto che così facendo si giunge a giustificare la lesione di un bene giuridico solo in conseguenza del rispetto di una procedura, e non, quindi, a seguito dell’individuazione di un bene di rango superiore che sia considerato preponderante rispetto al

383 Per un’esaustiva trattazione si veda Sessa, Le giustificazioni procedurali, cit. 384 Romano, Cause di giustificazioni procedurali, cit., p. 1276

385 Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 33 386 Tordini Cagli, Le forme dell’eutanasia, cit., p. 1830

163 bene soccombente (all’esito del bilanciamento tra principi). In questo senso, infatti, il diritto penale giungerebbe a tutelare non tanto i beni giuridici, quanto il rispetto e la correttezza della procedura.

Stante ciò, tuttavia, il modello di giustificazione procedurale sembra essere preferibile387 per determinati settori, giacché riesce a fornire una

disciplina per condotte ad alto rischio etico, ovviando al problema della difficoltà, o addirittura impossibilità di giungere ad una scelta di contenuti o di valori. In particolare, per ciò che attiene alla pratica eutanasica, la scriminante procedurale renderebbe possibile la concretizzazione delle richieste di fine vita senza far assumere allo Stato una posizione netta nel conflitto tra autodeterminazione individuale e bene della vita, lasciando che sia ogni singolo individuo a determinare per se stesso quale dei due valori meriti di soccombere.

Ad ogni modo, nel paragrafo che segue si avrà modo di analizzare diversi esempi di regolamentazione del fenomeno eutanasico, sia in Paesi europei che extraeuropei. Alcuni di essi hanno optato per una regolamentazione in forma proceduralizzata, altri, al contrario, non presentano una disciplina puntuale, avendo preferito lasciare uno spazio libero dal diritto. Eseguendo tali analisi, quindi, sarà possibile confrontarsi direttamente con realtà giuridiche che hanno scelto di adottare l’uno o l’altro modello; in modo tale da valutare in concreto l’utilizzo della scriminante procedurale o dell’approccio che tende a lasciare libero dal diritto il fenomeno eutanasico.

Nel documento Le scelte di fine vita tra delitto e diritto (pagine 156-165)