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Il fine-vita nella Giurisprudenza della Corte Edu

Le tematiche di fine-vita hanno un importante punto di riferimento anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale ha avuto modo di pronunciarsi circa il riconoscimento o meno delle pratiche eutanasiche da parte dei paesi europei. Il primo caso che merita di essere analizzato è Pretty C. Regno Unito98: Pretty era una donna inglese malata di SLA, la sua situazione clinica non sarebbe mai migliorata, nessun trattamento avrebbe potuto bloccare il progredire della malattia e le sue prospettive di vita erano drammaticamente limitate (mesi se non

95 Fontana G., Dignità umana e autodeterminazione terapeutica nelle scelte di fine

vita. Brevi considerazioni a margine dell’ordinanza 207 del 2018, in Il caso Cappato, riflessioni a margine dell’ordinanza della C.C. n. 207 del 2018, a cura di Marini F.S.,

Cupelli C., Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, p. 147; Tordini Cagli S., Il

paternalismo legislativo, in Criminalia, 2011, p. 330

96 Ibidem, Fontana, p. 152

97 Fiandaca G., Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, tra laicità e post-

secolarismo, in Riv. it. dir. proc. pen, fasc. 2-3, 2007, p. 558; dello stesso ordine di

idee Risicato L., Dal diritto di vivere al diritto di morire. Riflessioni sul ruolo della

laicità nell’esperienza penalistica, Giappichelli editore, Torino, 2008, p. 38

37 settimane). Mossa da sofferenze e dal terrore di una morte non compatibile con il suo concetto di dignità, aveva richiesto di poter essere aiutata a morire dal marito, essendo lei totalmente paralizzata e dunque non in grado di suicidarsi. Le istituzioni britanniche non accolsero le richieste della donna99; ella, dunque, esauriti i ricorsi interni, si rivolse

alla Corte europea dei diritti dell’uomo. In particolare, la ricorrente affermava la violazione di tutta una serie di articoli della CEDU: articolo 2100 (diritto alla vita), articolo 3101 (proibizione della tortura), articolo

8102 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e articolo 14103 (divieto di discriminazione).

99 Nel Regno Unito il suicidio non è considerato reato, ma l’assistenza a tale atto lo è.

La donna richiedeva che, essendo l’esercizio dell’azione penale discrezionale, il pubblico ministero non perseguisse il marito per averle prestato aiuto. Il director of

public prosecutions rifiutò di accogliere la richiesta di immunità per ciò che era

appunto considerato reato; la ricorrente, quindi, richiese un controllo giurisdizionale della decisione. La Divisional court rigettò anch’essa la domanda, sostenendo che il DPP non avesse il potere di prendersi l’impegno di non incriminare, oltre al fatto che, non si ritenesse contrario alla Convenzione il divieto di suicidio posto dallo Stato inglese. Per ultimo la ricorrente si appellò alla Camera dei Lord, la quale respinse le richieste, confermando la decisione della Divisional Court.

100 Per quanto riguarda il diritto alla vita, la ricorrente sosteneva che esso dovesse avere

una configurazione sia in positivo che in negativo, ciò valeva a dire che, dal diritto alla vita, si dovesse ricavare come diametralmente opposto un diritto di scegliere se continuare a vivere o meno, quindi implicitamente un diritto a morire; sosteneva inoltre che non potesse supportarsi un contrasto tra la sua richiesta di morte e l’articolo in questione perché ciò avrebbe portato alla conseguenza di ritenere contrari alla Convenzione tutti i paesi europei che ammettono la pratica eutanasica. La Corte Edu ritenne di non dover condividere l’interpretazione dell’articolo 2: dal diritto alla vita non può conseguire un diritto alla morte e, allo stesso modo, non può contenere un diritto all’autodeterminazione dal quale si riconosca ad ogni individuo il diritto di scegliere la morte piuttosto che la vita. Fornita la corretta interpretazione dell’articolo 2, la Corte Edu non si dilungò nella risoluzione del secondo motivo di ricorso, affermando che, in ogni caso, il Regno Unito non stava violando alcun obbligo nel non autorizzare il suicidio assistito.

101 La ricorrente sosteneva che impedirle la realizzazione della pratica eutanasica la

obbligasse a patire sofferenze atroci, qualificabili come inumane o degradati, in aperta violazione dell’articolo 3 CEDU.

102 Pretty sosteneva di essere stata lesa nella sua privatezza da un’eccessiva ingerenza

dello Stato il quale le aveva negato la possibilità di togliersi la vita. La Corte nell’elaborazione delle riflessioni, diede rilevanza al concetto di qualità della vita, come rispettato e tutelato dall’articolo 8.

103 Diane Pretty sosteneva che ci fosse una discriminazione tra coloro che si trovavano

in una situazione fisica tale da impedirgli di suicidarsi e coloro che, titolari delle funzioni motorie, avrebbero potuto realizzare il proposito di morte in autonomia. La

38 La lettura della sentenza (che ha rigettato le pretese della ricorrente) evidenzia come la Corte abbia voluto negare l’esistenza di un diritto a morire rinvenibile nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali104; ogni paese è libero di

prevedere una disciplina aperta alle pratiche eutanasiche, ma tale libertà non può confondersi con una pretesa, da parte dei cittadini, della suddetta regolamentazione. Nonostante questa impostazione, dalla sentenza si evince un riconoscimento del concetto di qualità della vita, tutelato dall’articolo 8 CEDU; volendo citare un passo della sentenza possiamo leggere: «è sotto il profilo dell’articolo 8 che la nozione di

qualità della vita si riempie di significato. In un’epoca in cui si assiste ad una crescente sofisticazione della medicina ed a un aumento delle speranze di vita, numerose persone temono di non avere la forza di mantenersi in vita fino ad un’età molto avanzata o in uno stato di grave decadimento fisico o mentale agli antipodi della forte percezione che hanno di loro stesse e della loro identità personale […] Nella fattispecie, alla ricorrente viene impedito dalla legge di compiere una scelta per evitare ciò che, ai suoi occhi, costituisca una lesione del diritto dell’interessata al rispetto della vita privata». In sostanza, la

Corte ha voluto affermare il riconoscimento di un personalissimo concetto di qualità della vita come corollario del rispetto della vita privata e familiare, attribuendogli una connotazione soggettiva non predeterminabile ad opera dello Stato. Al tempo stesso però, deve considerarsi che l’articolo 8 CEDU consente ingerenze da parte dello Stato, nella misura in cui esse si pongano come proporzionali e necessarie in una società democratica, al fine di tutelare i contro- interessi previsti dalla norma stessa (pubblica sicurezza, protezione della

Corte ritenne non rinvenibile la violazione del principio di non discriminazione in quanto l’inserimento nel Suicide Act del ’61 di un’eccezione per le persone incapaci di suicidarsi in autonomia, comprometterebbe la protezione della vita che la legge ha

inteso consacrare e aumenterebbe in maniera significativa il rischio di abuso.

104 Convenzione firmata nel novembre del 1950, entrata in vigore in Italia nell’ottobre

39 salute o della morale, protezione di diritti e libertà altrui). In definitiva, da un lato si riconosce l’importanza del concetto di qualità della vita come destinatario di tutela in virtù dell’art. 8, dall’altro si dispone che tale diritto possa essere limitato da parte dello Stato, se ciò risulti necessario e purché avvenga proporzionalmente agli scopi perseguiti. È proprio sulla base di questo bilanciamento che la Corte ritenne di dover rigettare il motivo di ricorso: in particolare, essa sostenne che l’ingerenza effettuata dal Regno Unito nei diritti della ricorrente, dovesse considerarsi proporzionale rispetto agli scopi perseguiti. Secondo i giudici di Strasburgo, infatti, il divieto di svolgimento delle pratiche di fine vita aveva l’obiettivo di prevenire rischi di abusi nei confronti di soggetti fragili e vulnerabili105. Pertanto, dovevano essere

considerate ragionevoli e proporzionate le discipline statali volte a reprimere pratiche di suicidio assistito.

Nonostante l’esito, la sentenza fu comunque di grande importanza, perché mise in rilievo le potenzialità espansive del diritto previsto dall’art. 8, affermando l’esistenza di un diritto che non trova espressa previsione all’interno della Costituzione italiana. Inoltre, permise di andare più a fondo circa la ratio delle norme che incriminano l’aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente, permettendo di oltrepassare il quasi esclusivo riferimento all’indisponibilità del bene vita106.

Oltre a questo caso, la Corte di Strasburgo ha avuto altre occasioni per esprimersi in merito a richieste di pratiche di fine vita. In particolare merita analizzare due casi nei quali il Paese che si assumeva aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare era la Svizzera. Il motivo

105 La Corte fa riferimento a soggetti vulnerabili perché anziani, disabili, malati e

afferma la necessità di tutelarli di fronte a possibili condizionamenti della loro volontà, derivanti dalla situazione di sofferenza e di abbandono sociale. Il timore è dato dal fatto che, se le pratiche di suicidio assistito venissero legalizzate, tali soggetti potrebbero essere portati ad uccidersi per non essere più un “peso” per lo Stato.

106 Viganò F., Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo,

40 per cui la disciplina di uno Stato, nel quale, a certe condizioni107, sono ammesse le pratiche di suicidio assistito, si è ritrovata sub judice di fronte alla Corte EDU, risiede nel fatto che le richieste di suicidio assistito promosse dai soggetti in questione esulavano rispetto a quelle medesime condizioni. Nel caso Haas c. Svizzera108, ad esempio, il

richiedente era affetto da una sindrome psichiatrica (psicopatia bipolare) per la quale era possibile una guarigione109; nel caso Gross c. Svizzera110

invece, la richiesta proveniva da una signora anziana di circa 80 anni, la quale, ormai “stanca di vivere”, richiedeva di poter accedere alla pratica eutanasica111. Molto brevemente, occorre ricordare che in Svizzera112 vi è la possibilità di accedere a pratiche di suicidio assistito sulla base di una lacuna dell’ordinamento: risulta infatti penalmente sanzionato l’aiuto al suicidio, ma solo se eseguito per motivi egoistici113. Su queste basi, l’accademia delle scienze mediche (AASM)114 ha emanato una

direttiva che determina le condizioni di accesso alla pratica; né il signor

107 Per vero piuttosto permissive, cfr. Casonato C., I limiti all’autodeterminazione

individuale al termine dell’esistenza: profili critici, in Dir. pub. comp. eur., fasc. 1

(gennaio-marzo), p. 7 ; Tordini Cagli S., Le forme dell’eutanasia, cit., p. 1828 ss.

108 Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione I, 28 gennaio 2011

109 Il cittadino svizzero aveva dapprima tentato di ottenere il suicidio in autonomia, si

era poi rivolto a psichiatri per ottenere la prescrizione del pentobarbital, ricevuto un rifiuto aveva tentato di ottenere la somministrazione della sostanza mortale tramite una decisione giudiziale interna, e da ultimo, si era rivolto alla Corte di Strasburgo, lamentando la violazione dell’articolo 8 CEDU

110 Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione II, 14 maggio 2013

111 La signora Gross aveva fatto richiesta a dei medici di prescriverle la sostanza, di

fronte a reiterati rifiuti basati sulle sue condizioni fisiche (non mentali, la donna era stata considerata capace di discernimento) aveva fatto ricorso alla Corte Federale svizzera, lamentando la violazione degli articoli 2, 3 e 8 della Cedu (sosteneva una violazione del diritto di scegliere come e quando morire). Anche la Corte Federale aveva rigettato la sua richiesta, sostenendo che la disciplina elaborata dall’Accademia svizzera delle Scienze Mediche fosse chiara nell’impedirle l’accesso alla pratica eutanasica.

112 Infra, cap. 3, par. 3.2.3

113 Art. 115 codice penale svizzero: «Chiunque per motivi egoistici istiga alcuno al

suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria»

114 Accademia Svizzera delle scienze mediche: è un ente che si occupa di offrire ausilio

per la pratica medica, per il lavoro del personale infermieristico e per la formazione nell’ambito delle professioni sanitarie. In carenza di una legge svizzera che chiarisse le modalità esecutive del suicidio assistito (il quale viene realizzato per prassi), è intervenuto l’ente al fine di fornire delucidazioni sulle condizioni per l’accesso

41 Haas né la signora Gross avevano i requisiti richiesti. È sulla base di queste premesse che entrambi adirono la Corte di Strasburgo.

In particolare, il signor Haas sosteneva che la necessità di una prescrizione medica per ottenere il pentobarbital, e il rifiuto prestato dallo Stato svizzero, fossero una violazione della sua vita privata, rinvenendosi un’ingerenza sproporzionata. La Corte, con la sua pronuncia, non è entrata nel merito circa la legittimità o meno di pratiche di suicidio assistito, ma ha analizzato la questione dal punto di vista dell’ingerenza statale rispetto a scelte di autodeterminazione del soggetto: in particolare la CEDU ha ritenuto di non dover sanzionare la Svizzera; il rispetto della vita privata dei cittadini, infatti, non richiede che sia garantito in ogni caso un accesso a sostanze mortali, mentre, al contrario, devono ritenersi proporzionali per la salvaguardia del diritto alla vita di ogni individuo (art. 2 CEDU) limitazioni le quali impediscono che ogni condizione fisica permetta l’accesso a pratiche di fine vita. In altre parole: la Corte di Strasburgo ha voluto ribadire quanto già paventato nel precedente caso Pretty c. Regno unito; vale a dire che dall’art. 8 CEDU discenda il diritto di ogni individuo di decidere quando e in che modo porre fine alla propria vita, purché egli sia in condizione di orientare liberamente la propria volontà e di agire di conseguenza. Tale norma, però, necessita di essere bilanciata con l’art. 2 CEDU: dalla ponderazione emerge che affianco all’autodeterminazione dei singoli consociati, vige l’obbligo per ogni Stato di impedire che una persona sottoposta alla sua giurisdizione ponga fine alla propria vita se la sua decisione non è libera e consapevole115. In questo senso quindi, viene

sancito il diritto all’autodeterminazione dei singoli individui;

115 Colussi I. A., Quando a Strasburgo si discute di fine vita… Casi e decisioni della

Corte Europea dei Diritti dell’uomo in tema di eutanasia e suicidio assistito, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A., Edizioni

42 escludendo, però, che dall’art. 8 CEDU discenda un incondizionato diritto di morire116.

Nel caso Gross contro la Svizzera, invece, l’attenzione della Corte si è posata sulle linee guida emanate dall’ASSM, quali condizioni di accesso alla pratica eutanasica. In particolare, dopo aver ribadito il principio già formulato nel lontano caso Pretty c. Regno Unito ed affermato nel caso Hass c. Svizzera, cioè che il diritto di un individuo di scegliere quando e come porre fine alla propria vita costituisca uno degli aspetti tutelati dall'art. 8 Cedu, ha ribadito che lo Stato possa porre limitazioni ad una simile prerogativa, purché proporzionate. Nel caso di specie, la Svizzera è stata condannata sul presupposto che non fossero sufficientemente chiare e comprensibili le linee guida prodotte dall’ente non governativo, circa l’accesso alle pratiche di fine vita117. In sostanza, esse non determinano se la condizione fisica in cui versava la ricorrente potesse o meno permettere l’accesso alla pratica di fine vita. Le linee guida, insomma, sono incomplete, e tale carenza ha comportato sofferenza nella signora Gross; il dolore avrebbe potuto essere evitato se lo Stato avesse provveduto ad approvare chiare linee guida definendo, a quali condizioni, potessero essere prescritte sostanze mortali a individui non affetti da alcuna patologia118.

Si noti che, ancora una volta, la Corte non ha inteso pronunciarsi circa un obbligo o meno degli stati membri di prevedere una disciplina eutanasica, non ha infatti proposto alcuna argomentazione circa l’esistenza o meno di un diritto di morire così come richiesto dalla 116 Cfr. Colella A., La Corte EDU si interroga sulla possibilità che dall’articolo 8

CEDU discenda il diritto ad un suicidio dignitoso, in Dir. Pen. Cont. 4.04.11

117 Cfr. Parodi C., Una corte divisa su una materia divisiva: una pronuncia di

Strasburgo in tema di suicidio assistito, in Dir. Pen. Cont., 6.06.13, nota a sentenza C.

eur. dir. uomo, sez. II, sent. 14.05.13, Gross c. Svizzera.

118 Merita fare cenno al fatto che non vi fu concordanza tra i giudici circa la decisione

assunta; dell’intero collegio giudicante, tre giudici si contraddistinsero per un’opinione divergente. Per un’analisi al riguardo si rimanda a Ragone G., Gross c. Svizzera:

un’ulteriore sentenza in tema di eutanasia della Corte di Strasburgo, in Quad. Cost.,

fasc. 3, 2013, p. 665; Crivelli E., Gross c. Svizzera: la corte di Strasburgo chiede alla

Svizzera nuove e più precise norme in tema di suicidio assistito, in Osservatorio Aic,

43 ricorrente Gross. La Corte, invero, ha sostenuto che rientri all’interno del margine di apprezzamento dei singoli stati119 la previsione del se, e in quali circostanze, una persona che si trovi nelle condizioni della richiedente abbia la possibilità di acquisire una dose letale di farmaci tali da porre fine alla sua vita120.

Tirando le fila del discorso si può affermare che la Corte Edu abbia inteso riconoscere una libertà personale ad ogni individuo nelle scelte di fine vita, libertà che rientra nell’articolo 8; di contro però, ha anche affermato che lo Stato debba assumersi il compito di tutelare la vita (sulla base dell’art. 2 CEDU), soprattutto in situazioni nelle quali i soggetti, per la loro vulnerabilità, rischino di essere influenzati nell’assunzione delle decisioni. In linea generale quindi, è riservato agli Stati un margine di apprezzamento circa la regolamentazione o meno delle pratiche di fine vita, escludendo che dall’art. 8 CEDU possa ricavarsi un obbligo di predisporre una regolamentazione della disciplina eutanasica. In definitiva: le scelte di fine-vita rientrano nel concetto di vita privata e familiare; gli stati, però, possono scegliere se predisporre una disciplina permissiva oppure sanzionare penalmente tali pratiche121, purché, qualsiasi sia la scelta sostenuta, venga rispettato il bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il diritto alla vita.

Dato questo contesto, sorge spontaneo chiedersi se l’Italia, che vieta tout

court certe pratiche ad esse frapponendo la minaccia della sanzione

penale, possa essere considerata rispettosa del bilanciamento sopra

119 La Corte fa riferimento al principio di sussidiarietà

120 Al riguardo è stato criticato il margine di apprezzamento lasciato in ordine alla

scelta se regolamentare o meno pratiche eutanasiche, contro ad un obbligo (non discrezionale) di redigere di una disciplina più puntuale, Adamo U., Costituzione e fine

vita. Disposizioni anticipate di trattamento ed eutanasia, Milano, 2018, p. 155;

Crivelli, Gross c. Svizzera, cit. p. 4

121 Adamo, Costituzione e fine vita, cit., p. 169; Pavone I. R., Questioni di fine vita tra

diritto internazionale dei diritti umani e ordinamenti interni, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A., edizioni scientifiche italiane,

44 ricordato122. Certamente viene rispettato il ruolo dello Stato di porsi a tutela del bene vita dei suoi consociati, impedendo che possa arrecarsi un pregiudizio irrimediabile e definitivo all’esistenza degli individui richiedenti di morire, per mano di terzi o mediante l’aiuto di terzi123;

all’opposto però, è dubbio se tale tutela del diritto alla vita si ponga proporzionalmente alla tutela del rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU. In effetti, il sistema impositivo italiano rischia di risultare eccessivamente sproporzionato rispetto all’autodeterminazione dei singoli consociati, impedendo, senza eccezioni alcune, di decidere in ordine alla propria esistenza e alla fase finale di essa; con ciò si vuol ammettere che se da un lato abbiamo un impianto normativo suscettibile di tutelare il bene vita degli individui, dall’altro non vi è alcuna tutela della libertà personale nelle scelte di fine vita.

È ben vero, ad ogni modo, che ad oggi l’assetto degli interessi sembrerebbe essere mutato, se non altro perché la Corte Costituzionale, con la sua più recente pronuncia124 ha ammesso uno spazio di tutela nei confronti di determinate scelte di fine-vita.

In ogni caso, il dubbio proposto volontariamente vuole essere lasciato aperto; infatti, più che essere un quesito necessitante di una risoluzione esplicita, esso vuole essere uno spunto di riflessione che accompagni tutta l’analisi della disciplina italiana125 e della vicenda giudiziale che

ha portato alla sollevazione della questione di costituzionalità dell’art. 580 c.p.126.

122 Adamo, Costituzione e fine vita, cit., p. 170 123 Artt. 579 e 580 c.p.

124 Infra, cap. 2, par. 2.3.2 125 Infra, cap. 1

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