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Disposizioni anticipate di trattamento e pianificazione di cure

1.6 La mancata disciplina del fine vita nella legge 219 del 2017

1.6.4 Disposizioni anticipate di trattamento e pianificazione di cure

La grande novità della legge 219 è rappresentata dalla possibilità di redigere le disposizioni anticipate di trattamento (art. 4), uno strumento necessario, volto ad evitare che si verifichino altri “casi Englaro”. La disposizione legislativa permette, infatti, di esprimere anticipatamente le proprie volontà circa possibili e futuri trattamenti medici che potranno rendersi necessari, in previsione di una condizione di incapacità tale da impedire l’autodeterminazione attuale e concreta.

Prima di cimentarci nell’analisi dell’attuale disposizione di legge, è opportuno analizzare le posizioni che, riguardo a ciò, sono state assunte nel corso degli anni dalla dottrina.

Nonostante l’assenza di una disciplina, alcuni sostenevano che non vi fosse una vera e propria lacuna normativa circa le disposizioni anticipate di trattamento, dal momento che la loro previsione poteva essere ricavata sulla base di molteplici e diverse fonti, sia nazionali che non240.

Al riguardo, assumeva importanza preminente la Convenzione di Oviedo, la quale all’art. 9 prevede che « i desideri precedentemente

espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di manifestare la propria volontà, saranno presi in considerazione». Veniva, altresì, sostenuta la

rilevanza delle DAT sulla base del Codice di deontologia medica del

240 Zorzoli C., Il testamento biologico in Italia, in Il diritto alla fine della vita. principi

decisioni, casi, a cura di D’Aloia A., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012, p.

413 ss. ; Stradella E., Bonaccorsi F., L’esperienza dei registri delle dichiarazioni

anticipate di Trattamento sanitario tra linee guida e prospettive di regolazione di fine vita, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A.,

94 1998, in particolare all’art. 34241; così come veniva richiamata anche la legge del dicembre del ’78 la quale istituì il servizio sanitario nazionale (all’art. 33 sostiene l’importanza del consenso informato). Anche il CBN242, da parte sua, sosteneva la validità delle dichiarazioni di

trattamento precedentemente rese, precisando, però, che esse non potessero considerarsi vincolanti per il medico, giacché egli non aveva il dovere di rispettarle. In ogni caso, il comitato nazionale per la bioetica invocava l’intervento del legislatore, affinché venisse regolamentata puntualmente la questione.

A fronte di tale quadro normativo, il riferimento maggiormente indicativo (ma anche fonte di problematiche per quanto riguarda la ratifica243) era la Convenzione di Oviedo. Essa, pur essendo

completamente carente nell’indicare in che modo, quando, o a quali condizioni, un medico possa o debba attenersi alle volontà precedentemente rese dal paziente244; pur essendo, di fatto, una disposizione poco precisa, ambigua245, era comunque un fondamentale punto di riferimento per il riconoscimento del valore giuridico di un dissenso precedentemente prestato dal paziente, circa un determinato trattamento sanitario.

241 Art 34 «Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e

dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso».

242 Comitato Nazionale per la Bioetica, Dichiarazioni anticipate di trattamento, 18

dicembre 2003, in www.bioetica.governo.it

243 Per le problematiche circa la sua mancata applicazione si rinvia a Casonato C., Le

dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, testo

della relazione presentata a Bolzano il 22/12/05 nell’ambito del ciclo di conferenze “Ascoltare, eppur non comprendere. Etica della comunicazione”, in

www.provincia.bz.it ; Zorzoli, Il testamento biologico, cit., p. 410 ss.; si veda anche

Bompiani A., Aspetti rilevanti per la trasposizione nell’ordinamento italiano della

Convenzione dei diritti dell’uomo, in Un quadro europeo per la bioetica, a cura di

Mazzoni, Firenze, 1998, p. 209 ss.

244 Ferrando G., Fine vita e rifiuto di cure: profili civilistici, in Il Governo del corpo,

a cura di AA. VV, Giuffrè Editore, Milano, 2011, p. 1884 ; Vallini, Il valore del rifiuto

di cure, cit. p. 205

95 Per questo non erano sostenibili impostazioni per le quali il dissenso anticipatamente reso dovesse soccombere di fronte ad uno stato incapacitante dell’individuo; per il sol fatto che, la sua volontà non fosse più confermabile. Vale a dire, quelle interpretazioni dottrinali basate sul “consenso presunto”, tale per cui veniva ritenuto che, essendo l’individuo in stato incapacitante, dovesse essere seguito sempre il suo

best interest, prescindendo completamente, però, dalle sue precedenti

dichiarazioni di volontà . In questo senso, ancorandosi al principio in

dubio pro vita246, venivano annientate completamente le precedenti manifestazioni di volontà della persona, scegliendo di praticare trattamenti sanitari volti alla salvaguardia della vita dell’individuo. A ben vedere, però, non vi è corrispondenza, o perlomeno, necessaria corrispondenza, tra seguire il miglior interesse dell’individuo e eseguire trattamenti sanitari da lui precedentemente rifiutati. È sicuramente vero che la persona la quale abbia disposto anticipatamente potrebbe, in futuro, mutare la propria idea e le proprie convinzioni, e quindi, se gli fosse data la possibilità di autodeterminarsi nell’attualità, scegliere di sottoporsi a trattamenti che aveva in precedenza rifiutato; ma è parimenti vero che essa potrebbe mantenere le proprie convinzioni, per cui il trattamento sanitario eseguito sarebbe contrastante con le volontà della persona247.

Altra obiezione che veniva mossa alle disposizioni anticipate di trattamento atteneva alla natura del consenso. Si riteneva che esso, dovendo configurare come personale attuale ed informato, non potesse prestarsi per il futuro, giacché, per definizione, dando attuazione alle DAT sarebbe venuto meno il requisito dell’attualità.

Contrariamente248 a tale argomentazione veniva sostenuto che l’attualità

del consenso dovesse riferirsi al fatto che esso intervenga prima che il

246 Magnini V., Stato vegetativo permanente e interruzione dell’alimentazione

artificiale: profili penalistici, in Cass. pen., fasc. 5, 2006, p. 1990

247 Per una copiosa critica all’impostazione dottrinale del “consenso presunto” si veda

Vallini, Il valore del rifiuto di cure, cit., p. 199 ss.

96 fatto lesivo venga compiuto, e non necessariamente contestualmente al momento della lesione. In questo senso, l’attualità deve considerarsi quale un requisito logico e non meramente cronologico temporale; infatti, se non lo si considerasse in questi termini, si darebbe rilievo giuridico solamente a quelle manifestazioni di pensiero le quali siano concomitanti all’evento, non potendo giustificare, tra l’altro, gran parte degli interventi chirurgici; il consenso, infatti, viene espresso dal paziente prima che si concretizzi l’intervento stesso, a maggior ragione se sia necessaria l’esecuzione di un’anestesia totale.

Ad ogni modo, non mancavano impostazioni le quali basavano sull’art. 9 della Convenzione di Oviedo il fondamento per la rilevanza giuridica di un consenso precedentemente reso, ma non più confermabile249. In

questo senso, infatti, si riteneva di dover valorizzare al massimo la determinazione del paziente, precisando l’importanza del ruolo dei medici, ai quali veniva assegnato l’onere di ponderare la corrispondenza tra la pregressa dichiarazione resa dal paziente, e la sua attuale situazione clinica. Pur riconoscendo la validità delle dichiarazioni precedentemente rese, però, si precisava che esse non fossero vincolanti, giacché il medico aveva la possibilità di disattenderle qualora vi fossero dei reali dubbi circa la volontà dell’incapace250.

Si noti, quindi, che non venisse messo in dubbio il fatto che le DAT avessero un valore giuridico: esse dovevano avere rilevanza, si trattava tutt’al più di determinare quando e a quali condizioni esse non dovessero più considerarsi eseguibili. Con questo non si affermava che il medico dovesse avere un potere-dovere inquirente volto alla ricostruzione delle volontà dell’individuo; piuttosto, veniva richiesto che il sanitario

249 Veronesi, Il corpo e la Costituzione, cit., p.249 ss.

250 In questo senso veniva seguita l’indicazione fornita dal Consiglio Nazionale per la

Bioetica, secondo il quale le dichiarazioni anticipate dovevano avere un carattere non assolutamente vincolante, ma neanche meramente orientativo CBN, Dichiarazioni

97 compisse delle verifiche finalizzate alla ricostruzione di una volontà reale del paziente251.

Inoltre, merita ricordare che le DAT venivano considerate giuridicamente vincolanti giacché negare la loro validità avrebbe comportato tale situazione “paradossale”: fino a quando si è coscienti si ha il diritto di esprimere validamente le proprie intenzioni, se si diviene incoscienti, il medico assume la libertà di intervenire spontaneamente, annientando le determinazioni dell’individuo252. Tale argomentazione

doveva “fare i conti” con l’obiezione secondo cui: è vero che tanto l’incapace quanto il capace di discernimento godono della stessa libertà di espressione (in senso generale), ma è anche vero che essi si trovino in condizioni differenti, tale per cui l’incapace richieda di una diversa attenzione del diritto al rispetto della sua persona253. Secondo quest’ultima impostazione, infatti, quando si fa riferimento ad una persona incapace non si può mai parlare di autodeterminazione vera e propria, rimanendo sempre una volontà presunta o ipotetica254, per questo non eguagliabile alla condizione di colui il quale possa autodeterminarsi nell’attualità.

In realtà, quando si affronta la questione delle DAT si parte dal presupposto che si sta prendendo in considerazione la volontà di un individuo il quale si è solo prefigurato, immaginato, la futura situazione nella quale potenzialmente si potrà trovare; è un dato incontestabile che l’individuo non stia esprimendo un desiderio circa una situazione da lui effettivamente vissuta. Questo è il punto di partenza per poter costruire una disciplina circa le disposizioni anticipate, non può essere

251 Vallini, Il valore del rifiuto di cure, cit., p. 215 252 Veronesi, Il corpo e la costituzione, cit., p. 252

253 Gensabella Furnari M., Tra autonomia e responsabilità: la rinuncia alle cure del

paziente consapevole e la rinuncia anticipata, in Rinuncia alle cure e testamento biologico. Profili medici, filosofici e giuridici, a cura di AA.VV, Giappichelli Editore,

Torino, 2010, p. 102

254 Nicolussi A., Rifiuto e rinuncia ai trattamenti sanitari e obblighi del medico, in

Rinuncia alle cure e testamento biologico. Profili medici, filosofici e giuridici, a cura

98 un’obiezione da muovere nei confronti di coloro che ritengono giuridicamente rilevante una dichiarazione precedentemente resa. A questo punto, è doveroso analizzare la disciplina pensata dal legislatore italiano volta alla regolamentazione delle disposizioni anticipate di trattamento.

Al fine di poter esprimere le DAT, è richiesta al soggetto un’adeguata informazione medica e una conoscenza delle conseguenze derivanti dalle sue scelte (art. 4, I). La norma si mantiene vaga nella sua formulazione e ciò evidenzia problematiche rilevanti: non viene infatti precisamente stabilito attraverso quali modalità il soggetto, che redigerà le DAT, debba informarsi. Sarà la prassi a sopperire a questa mancanza dispositiva, potendo orientarsi per la necessità di un’informazione proveniente dal medico di base, o dallo specialista (del tipo di patologia la quale viene presa in considerazione nella disposizione anticipata di trattamento) o più semplicemente potrebbe ritenersi sufficiente un’autonoma ricerca informativa ad opera del redattore. Ciò che in ogni caso merita rilevare è come, da un lato, vi sia il generale interesse di facilitare la scrittura delle DAT, evitando di ancorarle a requisiti di forma eccessivamente onerosi; ma dall’altro, vi sia la necessità di assicurarsi che il soggetto abbia una conoscenza tale da poter essere consapevolmente in grado di redigere il “testamento biologico” 255.

A questo proposito, il precedente disegno di legge Calabrò256 appariva

maggiormente puntuale, richiedendo che le DAT venissero redatte dopo

255 Pizzetti F. G, Prime osservazioni sull’istituto delle disposizioni anticipate di

trattamento (DAT) previsto dall’articolo 4 della legge 22 dicembre 2017, n 219, in Rivista di BioDiritto, n. 1/2018, 55,

256 Disegno di legge in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di

dichiarazioni anticipate di trattamento presentato in commissione di Igiene e Sanità del Senato il 27/01/09 dall’onorevole Calabrò. Si tratta di un disegno di legge fortunatamente mai arrivato a conclusione dell’iter legislativo. In esso si definiva la vita come indisponibile (art. 1, IV); si ribadiva il divieto di eutanasia e di suicidio assistito, disponendo che l’attività medica non potesse in nessun caso essere orientata al prodursi o consentirsi della morte del paziente tramite l’attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari (art. 2); si affermava che il divieto di accanimento terapeutico non potesse legittimare pratiche di carattere eutanasico o di abbandono terapeutico (art 3); si escludeva che l’idratazione e l’alimentazione artificiale fossero trattamenti

99 una compiuta e puntuale informazione medico-clinica e venissero raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale che doveva contestualmente sottoscriverle. Risulta problematico, infatti, la mancata previsione di strumenti di controllo volti ad accertarsi se l’individuo che ha scritto del disposizioni anticipate abbia o meno un’adeguata conoscenza necessaria per l’assunzione di decisioni consapevoli. La premessa per l’efficacia del “testamento biologico”, infatti, è la corretta informazione del paziente, essa però non può essere verificata, essendo assenti dei requisiti volti suo accertamento; sembrerebbe presentarsi, quindi, una sorta di “circolo vizioso”: il requisito di validità è dato da una corretta informazione la quale, però, non è suscettibile di venir controllata.

Questa criticità si rispecchia anche sulle condizioni che legittimano il sanitario a non rispettare le disposizioni anticipate. Appurato che, in attuazione dell’articolo 1, comma VI, il sanitario sia obbligato al rispetto delle volontà precedentemente disposte (art. 4, V), vigono due condizioni sulla base delle quali sia possibile disattendere quanto redatto dal paziente, sempre che vi sia l’accordo con il fiduciario (eventuali disaccordi potranno trovare risoluzione in sede giudiziale). Tali condizioni sono:

A. Disposizioni palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente;

B. Evoluzioni mediche capaci di migliorare concretamente la condizione di vita, le quali non avrebbero potuto essere prese in considerazione al momento della redazione delle DAT.

La problematica si rileva in relazione al primo punto, precisamente all’espressione “disposizioni palesemente incongrue”: se non è data la possibilità di conoscere il livello di informazione del paziente, viene a

sanitari, per questo non potevano essere rifiutate o oggetto di disposizioni anticipate di trattamento, e così via. Per una critica al testo si veda Casonato C., Lo schema del testo

unificato “Calabrò” su consenso informato e dichiarazioni anticipate, in

100 mancare il termine di paragone per valutare la congruità o meno della condizione clinica attuale, rispetto a quanto prospettato in precedenza. Contestualmente alla redazione delle future volontà, vige la possibilità di indicare un “fiduciario” avente il compito di fare le veci dell’incapacitato nella manifestazione della sua volontà e nei rapporti con le strutture sanitarie; tale incaricato deve avere la capacità di intendere e di volere, oltre ad essere maggiorenne. Conseguentemente alla nomina, il fiduciario può accettare o rifiutare l’incarico; nel caso in cui vi sia una rinuncia, una revoca o una carenza di nomina, le DAT mantengono comunque efficacia.

Al fine di assicurare certezza ed autenticità nell’espressione delle volontà degli individui, sono richiesti requisiti formali molto stringenti per la redazione delle disposizioni257; tali requisiti ricorrono anche per la modifica, il rinnovo o la revoca di volontà precedentemente messe per iscritto, salvo che ricorrano ragioni di emergenza o urgenza258.

La sintesi tra la valorizzazione del consenso informato e la possibilità di redigere le disposizioni anticipate di trattamento è rappresentata dall’articolo 5 “ pianificazione condivisa di cure”. Il legislatore ha inteso sottolineare maggiormente il cambio di rotta rispetto al passato, ha voluto evidenziare l’importanza di un’alleanza terapeutica, all’interno della quale medico e paziente rivestono entrambi il ruolo di protagonisti. La norma, infatti, ha preso in considerazione le situazioni di malattia con prognosi infausta o le patologie croniche e invalidanti, prospettando la possibilità di pianificare congiuntamente le cure per momenti di futura

257 Redazione per atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura privata

consegnata personalmente presso l’ufficio di Stato civile del comune di residenza del disponente, con conseguente annotazione in apposito registro o presso le strutture sanitarie. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.

258 In questo caso sarà possibile revocare le DAT con dichiarazione verbale raccolta o

101 ed eventuale incapacità, in modo tale da essere perfettamente preparati e consapevoli circa le decisioni che dovranno essere assunte259.

Merita sottolineare una differenza di carattere tecnico tra le DAT e la pianificazione condivisa di cure: in entrambi i casi, il soggetto dispone oggi per il domani; sennonché la pianificazione condivisa verrà inserita all’interno della cartella clinica del malato (essendo stata, appunto, decisa in concerto tra medico e paziente), per le disposizioni anticipate di trattamento, invece, sarà necessaria la strutturazione di un sistema di banche dati tale da permettere ad ogni medico una facile e veloce conoscenza circa possibili disposizioni anticipate rese dai pazienti260. Alla luce di questa disamina, pare chiaro che l’obiettivo della nuova legge sia ben lontano dal legittimare la cosiddetta eutanasia; viene elogiata l’autodeterminazione in ambito terapeutico, viene rafforzata la relazione di cura tra medico e paziente, viene data la possibilità di disporre anticipatamente dei trattamenti medici futuri, ma in nessun modo si liceizzano condotte volte ad agevolare il suicidio altrui o volte direttamente a realizzarlo.

259 L’articolo ribadisce la necessità di una puntuale informazione al fine di poter

esprimere il consenso: necessità di mettere a conoscenza circa il possibile evolversi della patologia in atto, quanto il paziente possa attendersi in termini di qualità della vita, possibilità cliniche di intervento tramite le cure palliative. L’articolo poi ribadisce le modalità di redazione delle DAT e la possibilità di nomina di un fiduciario.

260 La legge di bilancio 2018, ai commi 418 e 419 ha previsto e finanziato l’istituzione

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