• Non ci sono risultati.

Eluana Englaro

1.5 Decisioni giurisprudenziali su alcuni casi celebri

1.5.2 Eluana Englaro

Eluana, in giovane età, fece un incidente, andò e in coma e vi rimase per il resto della vita. La sua situazione, dal punto di vista diagnostico, venne definita “stato vegetativo permanente”: una condizione di menomazione degli emisferi celebrali irreversibile (o per lo meno, presumibilmente irreversibile, alla luce della letteratura scientifica) dalla quale consegue una completa incoscienza del mondo circostante; le funzioni fisiche basilari quali il respiro, il battito, ecc. sono attive, mancano le funzioni

69 celebrali. Merita precisare che dal punto di vista giuridico, questa condizione è assolutamente differente rispetto alla morte celebrale181, situazione per la quale l’ordinamento riconosce uno status di morte del paziente182.

Eluana si trovava già da molti anni in questa condizione, quando il padre diede inizio ad una lunga battaglia giudiziale che si concluse con la pronuncia del decreto da parte della Corte di Appello di Milano nel 2008.

Beppino Englaro richiedeva che la figlia cessasse di essere tenuta in vita mediante l’idratazione e l’alimentazione artificiale, giacché sosteneva che la condizione in cui ella si trovava non sarebbe stata compatibile con la concezione di dignità che Eluana aveva di sé; per questo il padre voleva farsi portavoce delle presumibili intenzioni della figlia. Ai fini di una maggiore precisione, quindi, va sottolineato che la vicenda in esame riguardi un soggetto in stato di incoscienza, e quindi, incapacitato ad esprimere le proprie volontà nell’attualità; manca inoltre alcuna palese manifestazione di pensiero precedente al suddetto stato incapacitate (ad es. un documento avente la sostanza di “testamento biologico”), dalla quale possa desumersi la volontà dell’individuo (anche ammesso che vi fosse, in ogni caso, il valore giuridico della disposizione anticipata era tutto da dimostrare giacché, al tempo, non era ancora stata redatta l’odierna legge 219 sul consenso informato e DAT); essa può solamente essere ricostruita sulla base di quanto riportato dal padre.

Stante ciò, vi erano principalmente tali problematicità giuridiche da dover essere affrontate: in primo luogo, determinare se il tutore legale

181 La legge del 29.12.93 n. 578, all’articolo 1, definisce la morte come la cessazione

irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.

182 Si veda al riguardo Calabrese A., Lo stato vegetativo tra disabilità e diritto. Nuove

ricerche medico-scientifiche e ipotesi giuridiche nel caso italiano, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A., Edizioni Scientifiche

Italiane, Napoli, 2012, p. 185 ss.; Zullo S., Stato vegetativo: decisioni e ricadute

normative alla luce delle nuove metodiche di neuroimaging, in Il diritto alla fine della vita. principi decisioni, casi, a cura di D’Aloia A., edizioni scientifiche italiane,

70 potesse o meno assumere una decisione quale quella del rifiuto di un “trattamento sanitario” per conto della figlia; in secondo luogo, determinare se l’idratazione e l’alimentazione artificiale potessero essere considerati o meno trattamenti sanitari, quindi rifiutabili al pari di altre terapie; e inoltre, se essi potessero configurare come accanimento terapeutico.

La vicenda Englaro si è sviluppata in un numero consistente di pronunce intervallatesi nel corso degli anni, a partire dal 1999 fino al 2008183.

Ognuna di esse non può essere analizzata nel dettaglio, per cui conviene far emergere i punti cruciali di cui la giurisprudenza si è occupata, anche in relazione a quanto la dottrina ha espresso al riguardo.

Fino al 2005 si registrano diverse pronunce le quali hanno, di fatto, negato le pretese del ricorrente, sostenendo l’impossibilità che l’assunzione di una decisione quale quella di un “rifiuto di cure” venisse presa dal tutore, e negando che le NIA potessero essere qualificate come trattamenti sanitari184. Molto brevemente, le ragioni addotte a sostegno delle decisioni giudiziali attenevano alla configurazione di indisponibilità del bene vita (tale per cui non poteva ammettersi la possibilità di condurre a morte Eluana), e all’impossibilità di rilevare una qualsivoglia sorta di autodeterminazione in pazienti che versino in stato vegetativo185.

183 1) Trib. Lecco, decr. 2 marzo 1999; 2) App. Milano, decr. 31 dicembre 1999; 3)

Trib. Lecco, sex. II, 15 luglio 2002; 4) App. Milano, decr. 18 dicembre 2003; 5) Cass. civ. sez. I, 20 aprile 2005, n 8291; 6) Trib. Lecco, decr. 20 dicembre 2005-2 febbraio 2006; 7) App. Milano, decr. 15 novembre-16 dicembre 2006; 8) Cass. 16 ottobre 2007, n. 21784; 9) App. Milano 9 luglio 2008; 10) Cass. sez. unite 13 novembre 2008; 11) Cort. Cost. 8 ottobre 2008, n. 334

184 Veronesi P., Il corpo e la costituzione. concretezza dei “casi” e astrattezza della

norma, Giuffrè Editore, Milano, 2007, p.232, nota 81

185 Azzalini M., La tutela dell’identità sul paziente incapace e rifiuto di cure: appunti

71 Nel 2005 venne intentato un ulteriore procedimento: il Tribunale di Lecco186, quindi, dovette nuovamente pronunciarsi circa il ricorso del tutore e curatore speciale187.

Il Giudice (decr. 20/17/2005) si espresse in ordine all’inammissibilità, sostenendo che tale richiesta formulata dal ricorrente attenesse all’esercizio di diritti personalissimi, sanciti e tutelati dagli articoli 2, 13, 32 Cost. . A seguito del diniego, venne fatto ricorso alla Corte d’Appello di Milano188 la quale riformò parzialmente il precedente decreto,

negando tuttavia le pretese del ricorrente. La Corte, infatti, sostenne che rientrasse tra i poteri del rappresentante legale anche la possibilità di esprimere il consenso informato alle terapie mediche, ciò in virtù del dovere di cura scaturente degli artt. 357 e 424 c.c. . Tuttavia, la Corte si espresse in ordine all’inammissibilità, giacché venne sostenuto che l’attività istruttoria espletata non consentisse una ricostruzione chiara e sicura delle volontà dell’incapace; a detta della Corte, infatti, non vi erano elementi sufficienti tali da poter ricostruire congruamente le intenzioni di Eluana. Stante ciò, doveva essere data prevalenza al diritto alla vita, a prescindere dalla qualità della stessa. Per questi motivi venne rigettato il ricorso.

Esauriti i giudizi di merito, non rimase altro che adire il giudice di legittimità189, il quale emise una sentenza “pilastro” per le questioni in

materia. Preliminarmente deve essere sottolineato che la Corte di Cassazione abbia voluto nuovamente ribadire il valore del consenso informato il quale costituisce la legittimazione ed il fondamento del trattamento sanitario; in assenza di esso, l’intervento del medico è

186 Trib. Lecco, decr. 20 dicembre 2005-2 febbraio 2006

187 La nomina di un curatore speciale si rese necessaria dal momento che la sentenza

di Cass. civ., sez. I, 20/04/05 sostenne l’impossibilità, per il tutore, di cessare terapie salvavita, sussistendo un conflitto di interesse. A questo proposito, quindi, venne nominato un curatore speciale.

188 Corte d’Appello di Milano, decreto 16 dicembre 2006. Pres. PAGANONI, Rel.

MARINI

189 Corte Cassazione, sez. I Civile, N. 21748, 2007, Pres. Luccioli, rinvenibili in Nuov.

72 sicuramente illecito (salvo che ciò non sia per legge obbligatorio)190. Parimenti, viene riconosciuto il fondamentale diritto di rifiutare trattamenti sanitari non voluti, valido in ogni fase della vita, anche terminale. Stante ciò, doveva essere considerata la condizione fisica di Eluana, la quale risultava impossibilitata ad esprimere le proprie volontà. In questo senso, venne sostenuto che di fronte ad un soggetto incapace si dovesse fare riferimento all’istituto della rappresentanza legale. Ciò non significa, però, che il tutore assuma un incondizionato potere di disporre della salute della persona in stato di incoscienza; infatti, ai fini del corretto esercizio della rappresentanza, è necessario che il tutore agisca nell’esclusivo interesse dell’incapace, ricercando, quindi, il best interest del rappresentato. In questo senso, è doveroso ricostruire le volontà di colui il quale non è più in grado di esprimerle, al fine di decidere allo stesso modo di come avrebbe fatto il paziente se fosse stato in grado di farlo. La Corte, inoltre, ebbe cura di precisare in quali condizioni il potere di rappresentanza consentisse un’interruzione di cure: quando lo stato vegetativo sia irreversibile e non ci siano fondamenti medici per supporre una regressione, e quando la condizione vegetativa sia incompatibile con la concezione che l’interessato ha di sé. Quindi, una volta riconosciuto al rappresentante legale il potere di decidere in ambito sanitario per conto del rappresentato, il Giudice di legittimità dovette passare all’analisi dell’altra questione problematica enunciata sopra; vale a dire se l’idratazione e l’alimentazione artificiale, da cui dipendeva Eluana, potessero considerarsi quali trattamenti sanitari.

190 Corte Cassazione, sez. I Civile, N. 21748, 2007, p. 90- 91, la Corte a questo

proposito richiama una serie di fonti e di sentenze: art. 2 Cost, art. 13 Cost.; art. 32 Cost; Cort. Cost., sent. 471, 1990; legge 23 dicembre 1978, n 833 (legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale); Convenzione di Oviedo; Carta di Nizza, Codice di deontologia medica del 2006; infine sentenze della Corte di Cassazione: Cass. III, sez. civile, 25 gennaio 1994, n 10014, Cass. III sez. civile 15 gennaio 1997 n. 364 ( l’attività medica non può eseguirsi senza in consenso o malgrado il dissenso del paziente, salvo casi eccezionali quali lo stato di necessità o l’obbligo di legge); Cass. civ. Sez III, 14 marzo 2006, n. 5444.

73 La Corte di Cassazione si espresse in senso positivo, sostenendo che l’idratazione e l’alimentazione artificiale dovessero considerarsi alla stregua di trattamenti medici191; stante ciò quindi, doveva ammettersi la possibilità di un loro rifiuto ex art. 32, II comma, Cost. . Allo stesso tempo, però, la Corte precisò che non potesse rinvenirsi in essi un accanimento terapeutico: detto accadimento, infatti, si realizza quando le cure mediche siano sproporzionate rispetto al beneficio concretamente apportato al paziente, e segnano il limite dell’azione del medico. Le NIA non possono ritenersi tali in quanto sono un presidio proporzionato rivolto esclusivamente al mantenimento del soffio vitale192.

Sulla base di queste considerazioni la Cassazione rinviò al giudice di merito, il quale diede attuazione alle volontà di Eluana Englaro e Beppino Englaro.

Successivamente all’esecuzione della sospensione di trattamenti sanitari, la procura di Udine intentò un procedimento penale a carico di B. Englaro e del personale sanitario presente nella struttura in cui Eluana morì. Il Gip dispose tuttavia l’archiviazione, riconoscendo la liceità della condotta del sanitario; infatti, sulle orme della precedente sentenza emanata nel caso Welby, il Giudice riconobbe l’esistenza del dovere giuridico del medico (ex art. 51 c.p.) di adempiere alle volontà del paziente, tale per cui, pur essendo integrato il reato di cui all’art. 579 c.p., la condotta del sanitario deve ritenersi scriminata193.

191 Per commenti dottrinali si veda infra, cap. 1, par. 1.6.1

192 A prescindere dalla definizione di accanimento terapeutico, e a prescindere dal fatto

che le NIA lo siano o meno, l’esito della vicenda giudiziale non muta. Le ragioni e le basi dell’interruzione del trattamento sanitario, infatti, non dipendono dalla valutazione tecnica delle NIA in termini di utilità (vale a dire se non sono utili dovranno essere cessate, se sono utili dovranno essere continuate), ma dalla scelta della persona la quale ha diritto di rifiutare cure le quali siano pure efficaci ed adeguate. Casonato C., Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della Corte di

Cassazione, in Quad. Cost., fasc. 3, 2008, p. 662-662

193 Si noti che anche in questo caso il giudice ha ritenuto di dover aderire alla posizione

dottrinale secondo cui la condotta posta in essere dal sanitario sia tipica, ma venga scriminata sulla base dell’art. 51 c.p. . Supra, cap. 1, par. 1.2.2

74 Tirando le fila, è rilevabile come anche in questo caso non ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di pratica eutanasica: bensì, la richiesta attiene ad una volontà di cessare trattamenti sanitari non voluti dal paziente, volontà costituzionalmente riconosciuta. Il problema riguardava, semmai, la difficoltà di ricostruire una determinazione chiara ed esplicita proveniente da un soggetto in stato vegetativo, e definire se tale volontà potesse o meno palesarsi a mezzo rappresentante legale.