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La disciplina tributaria dei ristorni.

LINEAMENTI DI FISCALITA’ COOPERATIVA

3. Le «disposizioni speciali» nella fiscalità cooperativa.

3.2. La disciplina tributaria dei ristorni.

394 La disposizione è finalizzata ad impedire che le variazioni in aumento del reddito imponibile rispetto al risultato d‘esercizio intacchino gli utili distribuibili da destinare a riserva indivisibile.

395 Cfr. circolare dell‘Agenzia delle entrate del 16 marzo 2005 (n. 10/E) e quella del 15 luglio 2005 (n. 34/E). Sul tema si veda anche A. DILI, Il regime fiscale Ires delle società cooperative, in Coop. e consorzi, 2008, n. 7, p. 653, secondo cui «le modalità di calcolo indicate dall‘Agenzia (in misura proporzionale alla quota di utile netto non imponibile) non sembrano in linea con quanto disposto dalla norma che, al contrario, non dispone alcun criterio di proporzionalità ma è costruita su una distinzione tra imposte deducibili e non deducibili imperniata sulla loro origine, ovvero: sono deducibili le imposte calcolate sulle variazioni fiscali previste dal Testo Unico sulle Imposte sui redditi; non sono deducibili le imposte determinate sull‘utile netto delle società cooperative».

396 Scrive F. Pepe (La fiscalità delle cooperative, cit., p. 187): «a tal fine, sono state elaborate delle procedure di calcolo che, partendo da una serie di dati certamente conosciuti ex ante dal redattore del bilancio (delle «variabili indipendenti»: utile di bilancio ante imposte, aliquota ires, proventi e costi di esercizio, variazioni fiscali in aumento e diminuzione, ecc.) consentono di isolare e quantificare la «variabile dipendente» delle imposte di esercizio». Su questo si vedano anche: M.ZANGANI, Le imposte delle cooperative, in il fisco, 2002, p. 7507; M. A. RUSSO, Nuova ires nelle società cooperative: la procedura matematica per la determinazione dell’imposta dovuta, in il fisco, 2005, p. 4045; P. BRESCIANI, Finanziaria 2005: la nuova disciplina fiscale a regime del settore cooperativo, in il fisco, 2005, p. 558.

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Il ristorno rappresenta la forma di realizzazione indiretta (o differita) del c.d. «vantaggio mutualistico»397. Sorto come uso consuetudinario sin dall‘origine del fenomeno cooperativistico, tale istituto è da sempre l‘emblema della mutualità, rappresentando «il naturale modo di ripartire fra i soci l‘avanzo di gestione»398.

È stata questa «consuetudine mutualistica» a indurre il legislatore tributario a disciplinarne la rilevanza fiscale prima della sua collocazione nel diritto civile, collocazione avvenuta – seppur in maniera non esaustiva - per opera della riforma societaria del 2003399. Per questo la qualificazione giuridica del ristorno è stata, per lungo periodo, associata ad una prerogativa di natura fiscale, non perfettamente collimante con le prospettive civilistica e contabile400.

397 A. Rossi (in Mutualità e ristorni nella nuova disciplina delle cooperative, in Riv. dir. civ., 2004, 5, p. 776), sull‘assunto che esista «un obbligo della cooperativa di porre in essere il rapporto mutualistico e che pertanto in capo ai soci cooperatori sorge [sorga N.d.A.] il diritto di concludere con la società i rapporti di scambio attuativi del rapporto suddetto» osserva che «tale diritto ha un senso solo se a seguito della conclusione di tale rapporto ne derivi un vantaggio per il socio», diverso dal mero diritto alla prestazione della società. «Tale vantaggio — che realizza la funzione sostitutiva della cooperativa all‘intermediario speculatore eliminandone il relativo profitto — può consistere rispettivamente in un risparmio di spesa (nelle cooperative di consumo in senso ampio) o in un aumento della retribuzione (nelle cooperative di produzione e lavoro) e può essere conseguito, come è ben noto, in base a due tecniche distinte: il c.d. vantaggio immediato oppure il ristorno (o vantaggio differito). Ricorre la prima ipotesi quando la società applica al momento dello scambio con il socio prezzi inferiori a quelli di mercato (cooperative di consumo) oppure compensi superiori a quelli di mercato (cooperative di produzione e lavoro). Si realizza la seconda ipotesi quando la cooperativa (normalmente in occasione dell‘approvazione del bilancio, sede in cui l‘organo di gestione è in grado di valutare con completezza i risultati conseguiti nello svolgimento della propria attività) eroga ai soci somme corrispondenti al maggior prezzo — rispetto al costo del servizio reso — addebitato ai soci in sede di scambio, somme che vengono liquidate in relazione, non alla partecipazione del socio al capitale sociale, ma alla quantità e qualità degli scambi intercorsi con la cooperativa». Sul punto cfr. anche la circolare dell‘Agenzia delle entrate del 9 aprile 2008 n. 35/E. 398 Cfr. E. CUSA, I ristorni nelle società cooperative, Milano, 2000, p. 19. Il ristorno è stato, inoltre, indicato tra «I valori e i principi cooperativi» nella Dichiarazione di identità cooperativa approvata nel XXXI Congresso dell‘Alleanza Cooperativa Internazionale, tenutosi a Manchester nel 1995. Nella rubrica dedicata alla «Partecipazione economica dei soci» si legge: «I soci allocano i surplus per qualunque dei seguenti scopi: sviluppo della cooperativa, creando, possibilmente, delle riserve, parte delle quali almeno dovrebbe essere indivisibile; benefici per i soci in proporzione alle loro transazioni con la cooperativa stessa, e sostegno ad altre attività approvate dalla base sociale».

399 Nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, si parla del ristorno come del «nobile e tradizionale strumento di attuazione della mutualità».

400 Una situazione, questa, come ricorda G. Graziano nel suo saggio sulla Mutualità cooperativa e agevolazione tributaria, cit., che rende «improprio parlare di «specialità» con riferimento ad un settore del diritto che ha costituito, fino all‘entrata in vigore delle disposizioni richiamate, l‘unica fonte di disciplina dell‘istituto, fornendo una sistemazione alla sua prassi applicativa (anche con l‘obiettivo di incentivarla), e che […] continua a svolgere un ruolo decisivo anche per la sua ricostruzione sul piano civilistico» (p. 83).

Sul ruolo che la disciplina fiscale ha assunto nella regolamentazione dei ristorni si vedano, ex multis, L. SALVINI, I ristorni nelle società cooperative: note sulla natura civilistica e sul regime fiscale, in Rass. trib., 2003, p. 1903; M.IENGO, La mutualità cooperativa, in R. GENCO (a cura di), La riforma delle società cooperative, Milano, 2003, cit., p. 26 ss.

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Il primo intervento normativo avente ad oggetto l‘istituto del ristorno risale al regolamento, approvato con R.d. 12 febbraio 1911, n. 278 sulle cooperative di produzione e lavoro ammissibili ai pubblici appalti, cui hanno fatto seguito la legge 5 gennaio 1956, n. 1 (c.d. legge Tremelloni) e il t.u. del 1958, all‘art. 111, lett. b) 401.

Con il d.P.R. 29 settembre 1973 (n. 601) la disciplina fiscale del ristorno è stata ripresa nel titolo dedicato alle «Agevolazioni per la cooperazione». Sono, in particolare, gli articoli 11 e 12 - dedicati alle cooperative di produzione e lavoro, il primo; alle cooperative di consumo, il secondo – a disciplinare la deducibilità fiscale delle «somme erogate ai soci lavoratori a titolo di integrazione delle retribuzioni» e delle «somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati», somme, queste, tradizionalmente rappresentative del ristorno cooperativo402.

Sebbene non fornisse una definizione esplicita di ristorno, la (suesposta) disciplina fiscale, previgente alla riforma societaria, identificava le diverse funzioni dell‘istituto in relazione al contratto associativo che connota la forma cooperativa: nelle cooperative di lavoro, il ristorno costituisce un «trattamento economico ulteriore» a favore del socio cooperatore, rispetto ai livelli retributivi stabiliti dai contratti collettivi del settore o ai compensi relativi alle prestazioni di lavoro autonomo; nelle cooperative di consumo il ristorno rappresenta la restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati dal socio cooperatore; nelle cooperative di conferimento di beni o servizi, rappresenta un maggior compenso per i conferimenti effettuati dai soci.

L‘assenza di una regolamentazione (e della conseguente qualificazione) civilistica dell‘istituto, ha indotto gli operatori ad elevare la disciplina fiscale – in veste suppletiva – a riferimento unico403. Cosicché la deducibilità fiscale delle «somme

401 Scrive G. Bonfante ne La nuova società cooperativa (cit., p. 37) che con gli artt. 7 e 9 del provvedimento «veniva statuito che gli utili dovessero essere ripartiti in proporzione dei salari percepiti e, nel caso la cooperativa utilizzasse dipendenti non soci, ad evitare che nel ristorno vi fosse anche un utile realizzato nei confronti di costoro, era stabilito che se questi non erano ammessi a partecipare agli utili alle stesse condizioni dei soci, dovesse essere accantonata a riserva indivisibile la quota di utili che sarebbe loro spettata se fossero stati soci».

Per una ricostruzione storiografica del ristorno cfr. E. CUSA, I ristorni nelle società cooperative, Milano, 2000, p. 4 ss.

402 Cfr. F. CASALE, Scambio e mutualità nella società cooperativa, Milano, 2005, p. 36 ss.

403 Osserva G.Bonfante (La nuova società cooperativa, Torino, 2010, p. 37) che il risultato derivante dalla mancata considerazione in un testo legislativo a carattere generale «è stata la perdita progressiva di percezione del concetto di ristorno confinato presto nella prassi cooperativa a fatto marginale e secondario e tutt‘al più considerato come semplice modalità di ripartizione di un utile senza guardare alla sua origine ossia al profitto derivante esclusivamente dall‘attività con i soci. Di qui, nel silenzio delle

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erogate» a titolo di integrazione retributiva e delle «somme ripartite» a fini restitutori, è stata assunta ad indice rivelatore della natura giuridica di «costo» del ristorno anche ai fini civilistici e contabili404.

Tuttavia, la configurazione del ristorno quale costo di esercizio non convinceva quella parte della dottrina che, diversamente, individuava nel ristorno stesso la quota di utili (derivante anche dalle operazioni con i terzi) attribuita al socio in proporzione agli scambi mutualistici intercorsi con la cooperativa, distinguendola dal dividendo solo per la diversa modalità distributiva405.

La diatriba sulla qualificazione del ristorno non ha trovato soluzione neppure a seguito dell‘intervento dell‘estensore della riforma civilistica, il quale – guardandosi bene dal «disciplinare […] il ristorno a favore dei soci cooperatori» (art. 5, comma 2, lett. a della l. 3 ottobre 2001, n. 366) - si è limitato ad elevare a sistema alcune regole generali dell‘istituto, senza però definirne la natura giuridica406.

In particolare, l‘art. 2521 (comma 3, n. 8) del cod. civ. stabilisce l‘autonomia statutaria nella determinazione delle «regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni»407. Ancora, l‘art. 2545-sexies cod. civ. introduce, da una parte, la regola della proporzionalità del ristorno rispetto alla quantità e alla qualità degli norma, l‘affermarsi di un comportamento delle cooperative portate a non distinguere i risultati dell‘attività con i soci e con i terzi e quindi a concepire il ristorno come una mera modalità, diversa ed aggiuntiva rispetto ai dividendi, di divisione dell‘utile».

404 Cfr. in proposito L. SALVINI, I ristorni nelle società cooperative: note sulla natura civilistica e sul regime fiscale, in Rass. trib., 2002, p. 1924; A.FANTOZZI, Riflessioni critiche sul regime fiscale delle cooperative, in Riv. dir. trib., 1999, I, 432; F. PISTOLESI, Le agevolazioni fiscali per le cooperative, in Tributimpresa, n. 3/2004, I, 71; nonché la circ. dell‘Agenzia delle entrate del 3 gennaio 2001 n. 1/E. 405 Cfr. G. BONFANTE, Il diritto al ristorno nelle cooperative, in Le società, 1997, p. 668, E. CUSA, I ristorni nelle società cooperative, cit., p. 17 ss; ID.,I ristorni nella nuova disciplina delle cooperative in F. GRAZIANO (a cura di), La riforma del diritto cooperativo., Atti del convegno di Genova 8 marzo 2002, Padova, 2002, p. 10 ss.; M. INGROSSO, Le cooperative e le nuove agevolazioni fiscali, cit., p. 103. Secondo G. Bonfante (ne La nuova società cooperativa, cit., p. 41) la nozione di ristorno come utile è più coerente con il quadro normativo: «il ristorno è infatti il risultato finale dell‘attività della cooperativa, la misura della efficacia della sua azione, l‘espressione quantitativa del raggiungimento della causa mutualistica per cui appare concettualmente fuori luogo il riferimento a tale istituto come costo […]. Se l‘attribuzione del ristorno è considerato come costo per la cooperativa e se invece il dividendo in una società di capitali costituisce l‘unità di misura del perseguimento dello scopo lucrativo, come si misura il perseguimento della mutualità posto che un costo non può certo far parte dello scopo per cui opera una società?»

406 Si evidenzia come l‘art. 2545-sexies cod. civ. non contenga una esplicita definizione di «ristorno». Sul punto, per tutti, cfr. G.BONFANTE, Art. 2545-sexies, in AA.VV., Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da G. COTTINO – G. BONFANTE - O. CAGNASSO – P. MONTALENTI, Bologna, 2004, p. 2626. 407 Per alcune puntualizzazioni sul tema cfr. C.N.N., Approfondimenti del gruppo di studio sulle società cooperative, 8 novembre 2004, p. 52 (pubblicato su http://www.notariato.it/), e .V. M. FRASCARELLI, Le società cooperative. Aspetti civilistici, contabili e fiscali, Milano, 2008, p. 347.

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scambi mutualistici tra cooperativa e socio cooperatore408; dall‘altra, la distinzione contabile fra valori relativi all‘attività con i soci e quelli afferenti l‘attività con i terzi; attribuisce, infine, all‘assemblea dei soci il compito di deliberare la distribuzione dei ristorni anche mediante aumento di capitale o attribuzione di quote409.

I predetti enunciati hanno almeno tre conseguenze.

In primo luogo, l‘estensore della riforma pare aver «legittimato» la (già esistente) distinzione tra dividendi e ristorni410. I primi «costituiscono remunerazione del capitale e sono perciò distribuiti in proporzione al capitale conferito da ciascun socio»; i secondi, «costituiscono uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o maggiore remunerazione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa»411 e sono riservati unicamente ai soci attivi del rapporto mutualistico (distinto dal rapporto associativo)412 .

In secondo luogo, il ristorno - come afferma la relazione ministeriale sulla portata del riformato art. 2545-sexies cit. - non esprime una pretesa assoluta (o diritto soggettivo) del cooperatore in ragione del fatto che «un ipotetico diritto a condizioni di favore (risparmio di spesa o aumento di retribuzione) potrebbe porsi in contrasto con la

408 Come osserva M. Frascarelli (op. ult. cit.), «il criterio di ripartizione dei ristorni è retto da parametri di tipo quantitativo e qualitativo, pertanto: per le cooperative di consumo e di utenza si terrà conto del monte acquisti di beni o della quantità di servizi richiesti e fruiti da parte dei soci; per le cooperative di lavoro si terrà conto sia delle ore di lavoro prestato che della tipologia di prestazione di lavoro eseguita; per le cooperative di conferimento dei beni o dei servizi si terrà conto della quantità e della qualità dei conferimenti stessi» (p. 352). Sulla stessa linea si colloca anche E. CUSA, La nozione civilistica di ristorno cooperativo, in Riv. coop., 2003, 3, p. 21 ss.

Va infine rilevato che i criteri di ripartizione del ristorno devono rispettare la parità di trattamento di cui all‘art. 2526 cod. civ.; ossia a parità di condizioni quantitative e qualitative non è concessa una discriminazione fra i soci nel trattamento dello scambio mutualistico.

409 L‘art. 2545-sexies («Ristorni») stabilisce che «L’atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici. Le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche. L’assemblea può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l’emissione di nuove azioni, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2525, ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari».

410 Sulla distinzione esistente cfr. decisione della Comm. trib. centr. del 17 aprile 1990 n. 2894 ove si legge che «nella differenza esistente tra il ristorno e utile risiede la caratteristica più intima della mutualità: il ripudio cioè del principio secondo il quale una quota del valore dei beni prodotti deve rimunerare la proprietà del capitale impiegato per produrli».

411 Cfr. Cass. sentenza dell‘8 settembre 1999, n. 9513.

412 Cfr. G. ENNA, Natura dei ristorni e loro rappresentazione contabile, in Coop. e consorzi, 2009, 2, p. 41 ss. L‘autore osserva che «il servizio mutualistico fornito dalla cooperativa al socio si compone di due distinti, anche se collegati, rapporti: l‘uno di carattere associativo (che deriva dall‘adesione al contratto sociale); l‘altro, di natura sinallagmatica, che consegue dal contratto bilaterale di scambio (di lavoro, di acquisto o vendita di beni o servizi) per effetto del quale il socio stesso fruisce del bene o del servizio reso dalla società» (p. 41).

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protezione dell‘interesse sociale e potrebbe indurre i soci a porsi in posizione di alterità o di antagonismo rispetto alla cooperativa». La conseguenza è che il ristorno ha natura aleatoria e potrà essere distribuito «soltanto se la gestione mutualistica dell‘impresa si è chiusa con un‘eccedenza dei ricavi rispetto ai costi»413.

In terzo luogo, l‘attribuzione del ristorno (demandata all‘organo assembleare) è subordinata ad un doppio limite: il primo è il c.d. avanzo della gestione mutualistica, intendendo per tale il dato che emerge «al momento in cui risulta in utile l‘attività che la cooperativa svolge con i soci»; il secondo è costituito dall‘utile di esercizio ante contabilizzazione a conto economico del ristorno, ed è volto ad evitare che l‘attribuzione del ristorno possa rappresentare una distribuzione surrettizia di patrimonio414.

L‘attribuzione del ristorno rappresenta, in sostanza, il momento conclusivo di una procedura articolata in diverse fasi (indirettamente) disciplinate dal dettato civilistico che possono essere così sintetizzate: 1) individuazione della percentuale di scambio mutualistico; 2) individuazione dell‘avanzo di gestione mutualistica; 3) individuazione della misura massima complessiva del ristorno che la cooperativa può attribuire ai propri soci; 4) verifica della capienza del ristorno nel risultato di esercizio; 5) individuazione della misura del ristorno attribuibile a ciascun socio in relazione alla qualità e alla quantità dello scambio mutualistico415.

Il delineato procedimento di determinazione, ripartizione e attribuzione del ristorno spiega l‘introduzione delle regole nel più volte citato art. 2545-sexies. Ai fini della determinazione è, quindi, necessario «riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche» (comma 2) in modo da definire separatamente i costi e i ricavi della

413 Cfr. Cass. sentenza dell‘8 settembre 1999 n. 9513.

414 Cfr. la circolare dell‘Agenzia delle entrate del 18 giugno 2002 n. 53/E, quella del 9 luglio 2003 n. 37/E, e la raccomandazione in tema di ristorni per le società cooperative (giugno 2003) della Commissione Cooperative del C.N.D.C., consultabile sul sito www.cndc.it.

Scrive in proposito M. Frascarelli (Le società cooperative. Aspetti civilistici, contabili e fiscali, Milano, 2008, p. 353): «l‘avanzo di gestione posto a base del calcolo è rappresentato dal risultato della gestione ordinaria in applicazione dei corretti principi di redazione del bilancio di esercizio. Occorre dunque riferirsi al principio contabile n. 12, il quale afferma che la gestione ordinaria si considera formata dalle seguenti: gestione tipica o caratteristica; gestione accessoria; gestione finanziaria, inclusiva dei proventi e oneri finanziari nonché delle rettifiche di valore di attività finanziarie».

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gestione mutualistica differenziandoli da quelli legati all‘attività lucrativa (o con i soci esterni), attribuendo gli uni agli altri nel rispetto del principio di inerenza416.

Ai fini della ripartizione tra i soci cooperatori (beneficiari), l‘assemblea deve far riferimento ai criteri contenuti nello statuto, o nei regolamenti statutari, informati al principio di proporzionalità del ristorno alla quantità e qualità degli scambi mutualistici (comma 3 del succitato articolo); e «può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l’emissione di nuove azioni, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2525 cod. civ., ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari» .

Merita attenzione la qualificazione civilistica del ristorno (costo ovvero utile) per le rilevanti conseguenze che ha sul piano fiscale. Per questo non risulta agevole condividere i suggerimenti proposti da parte di alcuni studiosi e dall‘Amministrazione finanziaria, di conciliare, almeno sotto il profilo fiscale, sia il «ristorno - costo» che il «ristorno - utile» 417.

416 La soluzione individuata dall‘Agenzia delle entrate, con la circolare n. 37/E del 9 luglio 2003, per determinare l‘avanzo documentato di gestione dall‘attività con i soci, è parametrata al modello cooperativo utilizzato e riflette le diverse tipologie di scambio mutualistico. Ad esempio «laddove lo scambio mutualistico sia misurabile attraverso i ricavi (è il caso delle cooperative di consumo o di servizi) è necessario identificare la percentuale di questi ultimi che deriva dall‘attività svolta con i soci rispetto al totale dei ricavi. Tale percentuale, applicata all‘avanzo di gestione dell‘esercizio, fornirà l‘avanzo di gestione generato dall‘attività con i soci».

Il criterio di ripartizione così delineato (definibile come «pro-quota» o forfettario) è certamente di più agevole applicazione rispetto ad un metodo di determinazione analitico. Tuttavia coinvolge nel calcolo elementi comuni alla gestione mutualistica e a quella lucrativa (nell‘esempio prospettato, i costi), alterando così la determinazione dell‘avanzo di gestione e del conseguente ristorno, con tutti i riflessi di carattere contabile e fiscale che da tale determinazione discendono.

417 F. Pepe (ne La fiscalità delle cooperative, cit., p. 204) osserva che la necessità di avere una qualificazione unitaria del ristorno risponde «ad una latente (e forse inconsapevole) commistione tra esigenze civilistiche, contabili e fiscali». A suo parere il «compito del legislatore civilistico è definire i contorni e la disciplina operativa del ristorno (cosa è «ristorno» ed a che condizioni e secondo quale procedura attribuirlo ai soci)»; compito della disciplina contabile è fornire una «rappresentazione veritiera e corretta» della situazione economica e patrimoniale dell‘impresa, comprensiva anche della gestione mutualistica; compito del legislatore tributario è, invece, «valutarne la specifica potenzialità economica (capacità contributiva) e stabilire se ed in che termini attribuirvi rilievo fiscale, anche in considerazione di altre esigenze proprie di tale settore (certezza, cautela fiscale, incentivazione, ecc.)». E conclude: «non è detto quindi che debba darsi una corrispondente nozione e disciplina civilistica e contabile del ristorno». Su questo stesso punto l‘Agenzia delle entrate con la circolare del 18 giugno 2002, n. 53/E (e le successive n. 37/E del 2003 e n. 35/E del 2008) ha osservato che: «per ciò che riguarda le modalità concrete attraverso cui le cooperative possono rilevare la quota di competenza a carico dell‘esercizio con riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito presi a base di commisurazione dei ristorni, si ritiene che possa adottarsi sia il metodo di imputazione diretta al conto economico dell‘esercizio di competenza, sia quello di effettuare una variazione in diminuzione del reddito imponibile (sempre con

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