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Il discorso relativo alle necessità degli dèi non è ancora stato definitivamente archiviato In questo capitolo Giamblico puntualizza alcuni dettagli di rilievo: ad agire

non è l’evocatore attraverso il profeta, bensì il dio che riempie tutto della sua presenza,

e che non è sottomesso al movimento circolare delle nascite nel mondo della

generazione. Della teurgia la gente manifesta un’opinione contraria alla sua scienza,

specie a proposito della creazione e della provvidenza. Il modo di agire degli dèi,

sebbene ignorato dai più, andrà in ogni caso ammesso, così come dovrà essere

ammessa ogni prescienza ed attuazione di opere divine, superiori alla necessità ed alle

cause umane.

146.5-12

All' ou)de\ w¨j488 oÃrgano/n ti me/son e)stiì to\ tw½n kreitto/nwn aiãtion kaiì dr#= dia\ tou= qespi¿zontoj489 o( kalw½n. Kaiì ga\r tau=ta a)no/sion490 fqe/ggesqai! polu\ ga\r

oracoli, cit., pp. CLXXVII-CLXXVIII, spiega che «il rituale teurgico crea uno stato di Necessità che impone

alla divinità di lasciare la sua dimora e rispondere all’operatore. Riportando una testimonianza dello scrittore Pitagora Rodio, Porfirio nella Philosophia ex oraculis dice: «infatti tutti (gli dèi) dicono di giungere per la forza del destino, e non semplicemente per questo, ma anche per una esortazione obbligata, se ci fosse (ancora) il bisogno di dimostrare ciò». Porfirio inoltre riporta le parole della stessa Ecate che riferendosi direttamente al teurgo dice: «che cosa c’è che desideri così tanto dal cielo divino che hai invocato la divina Ecate con le forze del destino che domano gli dèi?» (Porfirio, Philosophia ex

oraculis 347 F. Smith = Eusebius, Praep. ev. V 7,6-8,7, trad. Muscolino). Il teurgo invoca gli dèi affinché

essi si presentino al suo cospetto e rispondano alle sue domande, che possono essere di natura personale o generale […]. Spesso gli dèi sono riottosi ad apparire al teurgo, in quanto non solo si infastidiscono nel lasciare la loro dimora, ma rispondono all’operatore perché costretti dalla forza del destino: Porfirio riporta un oracolo dove ancora una volta Ecate, rivolgendosi a chi le chiedeva di vaticinare dice: «perché mai ogni volta che hai bisogno (di conoscere) il divino invochi la dea Ecate (servendoti delle) forze del Destino che sottomettono gli dèi?» (dal cielo divino che hai invocato la divina Ecate con le forze del destino che domano gli dèi?» (Porfirio, Philosophia ex oraculis, 342 F. Smith = Philoponus, Op. mundi 201,1-17, trad. Muscolino), e più avanti la dea, aumentando il suo disappunto, dice all’operatore: « […] E voi che siete piccoli (scil. voi uomini) fate cessare definitivamente (questa) insistenza» (Ibid.)». Nella prospettiva giamblichea, invece, sono gli stessi simboli divini a far sì che il divino sia posto in movimento da se stesso (DM 97.16-17).

488

146.5-6:All' ou)de\

kalw½n, la potenza degli dèi rimane trascendente. Essa non può fungere da strumento intermediario tra l’evocatore e colui che dà i vaticini.

489 146.6:

qespi¿zontoj, a Claro, riferisce Dodds, , I Greci e l’irrazionale, cit., p. 138, «le funzioni di profhvth" (medium?) e di qespiw/dw'n (versificatore?) erano distinte, almeno in tempi romani».

490 146.7:

a)no/sion, l’empietà è indice del fatto che Giamblico riferisce di una conoscenza sacra, cui solamente i teurghi dovrebbero avere accesso. Vedi anche DM 241.17, a proposito del fatto che non sia

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tou=de ma=llo/n e)stin a)lhqe\j e)keiÍno w¨j qeo\j me\n pa/nta e)stiì kaiì pa/nta du/natai kaiì pa/nta peplh/rwken e(autou=,491 kaiì mo/noj spoudh=j a)ciolo/gou kaiì timh=j makari¿aj e)stiìn aÃcioj!492 to\ d' a)nqrw¯peion ai¹sxro\n kaiì e)n ou)deno\j me/rei kaiì pai¿gnio/n e)sti pro\j to\ qeiÍon paraballo/menon.493

146.12-17

Gelw½ d' eÃgwge494 kaiì tou=to a)kou/wn, w¨j au)to/mato/j tisin o( qeo\j pa/restin hÃtoi dia\ gene/sewj495 peri¿odon hÄ di' aÃllaj ai¹ti¿aj. Ou) ga\r eÃt' eÃstai to\ a)ge/nnhton to\ kreiÍtton, ei¹ h( peri¿odoj au)to\ aÃgei th=j gene/sewj, ou)de\ prw¯twj aiãtion tw½n oÀlwn, ei¹ kat' aÃllaj ai¹ti¿aj kaiì au)to/ tisi sunta/ttetai.496

146.17-147.7

Tau=ta me\n ouÅn a)na/cia kaiì th=j periì qew½n e)nnoi¿aj u(pa/rxei kaiì tw½n e)n tv= qeourgi¿# gignome/nwn eÃrgwn a)llo/tria!497 pe/ponqe de\ h( toiau/th zh/thsij tau)to\n

da considerarsi un gesto sacrilego toccare gli animali morti, a differenza dei cadaveri umani, i quali recano ancora con sé un residuo della vita divina.

491 146.8-9:

pa/nta … peplh/rwken, il dio che è e che può tutto, che abbraccia tutto l’universo, ricorda la citazione di p. 30.2-3: pavnta ga\r aujtw'n ejsti plhvrh (trad. Moreschini: «Tutto, infatti, è pieno di dèi»). Il detto era stato attribuito da Aristotele (De an. 411a 7) a Talete, ma era conosciuto da Platone (Leg. 899b) e dall’A. dell’Epinomide (991d).

492 146.6-10:

Kaiì ga\r … aÃcioj, sarebbe empio ammettere che non i teurghi, bensì gli dèi fossero gli autentici mediatori del discorso mantico. Solo il dio riempie ogni cosa della sua presenza, e a lui solo va accordato uno zelo attento e un onore beatificante.

493 146.10-12:

to\ d' a)nqrw¯peion … paraballo/menon, torna, anche in tale frangente, l’attacco nei confronti del genere umano, vile e meschino se confrontato con il dio. Des Places cita numerosi luoghi della letteratura filosofica, ai quali Giamblico potrebbe essersi ispirato per affermare la propria posizione in merito: Platone, Leg. I 644 d 8; VIII 803 c 5. Anche Clemente d’Alessandria Strom. III, 3, il quale chiama in causa Eraclito (fr. 20-21), Empedocle (fr. 124), Teognide (vv. 425-427), Pindaro (fr. 137) etc. (cfr. des Places, Les mystères d’Égypte, cit., p. 126).

494 146.12:

Gelw½ d' eÃgwge, secondo Saffrey «ce fragment qui a échappé à Parthey et à Sodano, est garanti par la formule d’introduction. Celui que Jamblique «entend dire» est évidentemment Porphyre. L’éclat de rire de Jamblique annonce une assertion contradictoire: on ne peut dire à la fois que le dieu se rend présent de sa propre volonté et que cela s’explique par la révolution du monde créé» (Saffrey,

Lettre à Anébon l’égyptien, cit., p. 30). 495

146.14: dia\ gene/sewj, per Moreschini «l’affermazione è diretta contro lo studio degli oroscopi, in base al quale il dio dovrebbe essere presente alla nascita delle singole persone per determinarne il destino» (Moreschini, I misteri degli Egiziani, cit., p. 249).

496 146.14-17:

Ou) ga\r … sunta/ttetai, è chiaro che il dio, permanendo nella sua trascendenza, non possa essere spinto dal movimento circolare proprio delle realtà generate; né si potrebbe ammettere che esso è causa di tutto, qualora obbedendo a cause estrinseche venisse collocato in un certo ordine insieme agli altri esseri.

497 146.17-147.1:

Tau=ta … a)llo/tria, affermazioni come quelle di Porfirio, scrive Giamblico, sono

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oÀper kaiì periì th=j dhmiourgi¿aj tou= panto\j kaiì th=j pronoi¿aj oi¸ polloiì pa/sxousin!498 mh\ duna/menoi ga\r maqeiÍn oÀstij o( tro/poj au)tw½n, ta/j te a)nqrw¯pwn fronti¿daj kaiì tou\j logismou\j e)piì tw½n qew½n a)pokri¿nontej, kaiì to\ oÀlon a)nairou=sin e)p' au)tw½n th\n pro/noia/n te kaiì dhmiourgi¿an.499

147.7-15

àWsper ouÅn500 pro\j tou/touj a)panta=n ei¹w¯qamen w¨j aÃlloj tij tro/poj e)stiìn o( qeiÍoj th=j poih/sewj kaiì khdemoni¿aj, ou dh\ di' aÃgnoian ou) xrh\ to\ pa=n a)podokima/zein w¨j ou)de\ th\n a)rxh\n u(festh/koi, ouÀtw kaiì pro\j se\ aÃn tij dikaiologh/saito w¨j pro/gnwsij pa=sa kaiì eÃrgwn a)idi¿wn pra=cij qew½n me/n e)stin eÃrga, ouÃte de\ di' a)na/gkhj ouÃte di' aÃllaj a)nqrwpi¿naj ai¹ti¿aj e)piteleiÍtai, a)lla\ dia\ toiau/taj o(poi¿aj oi¸ qeoiì mo/noi gignw¯skousin.

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