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L’entusiasmo e la teoforia danno luogo ad una possessione completa Questa, spiega Giamblico nel presente capitolo, può essere di vario genere, come del resto l’ispirazione

divina, i cui segni sono altrettanto vari e differenti a seconda dei casi. La ragione

principale è che gli dèi dai quali proviene l’ispirazione sono anch’essi differenti tra loro.

In secondo luogo anche il modo dell’entusiasmo, cambiando, muta a sua volta il

processo teoforico. Esistono essenzialmente tre modalità della divina possessione: 1) il

dio possiede l’invasato; 2) noi diventiamo possesso del dio; 3) noi esercitiamo la nostra

opera insieme con lui. Gli effetti sui posseduti saranno diversi: cambieranno i

movimenti del corpo, le sue posizioni, i cori e le voci che da questo scaturiranno per

volere del dio. Non è tutto: potranno anche verificarsi sospensioni dei corpi in aria,

omogeneità o disomogeneità nel tono di voce acquisito durante l’emissione della

profezia ed altri fenomeni di questo genere.

111.3-16

ãEsti dh\ ouÅn polla\ th=j qei¿aj katokwxh=j201 eiãdh kaiì pollaxw½j h( qei¿a e)pi¿pnoia a)nakineiÍtai,202 oÀqen dh\ kaiì polla\ ta\ shmeiÍa au)th=j e)sti kaiì diafe/ronta.203 Tou=to me\n ga\r oi¸ qeoiì diafe/rontej,204 a)f' wÒn e)pipneo/meqa, kaiì th\n e)pi¿pnoian poiou=sin e(te/ran, tou=to kaiì o( tro/poj tw½n e)nqousiasmw½n205 paralla/ttwn poieiÍ

201 111.3:

th=j qei¿aj katokwxh=j, cfr. DM 126.3, ove si rimarca il fatto che sia il dio a darsi nello specifico della possessione (th\n katokwxhvn).

202 111.4:

a)nakineiÍtai, non è un caso che Giamblico attribuisca il movimento all’ispirazione divina, dunque alla volontà di un dio. In questo modo, infatti, egli implicitamente eslcude che l’anima o il corpo, o la loro azione sinergica, possano aver parte in tale processo. Vedi anche DM 157.10-11.

203

111.3-4

: ãEsti … diafe/ronta, molti sono i generi della possessione divina; l’ispirazione agisce in molti modi; molti sono i suoi segni. La divina possessione sfocia nell’ispirazione mantica. Spiega Shaw,

Theurgy, cit., p. 232: «Whenever a soul was touched by the gods it entered the condition of a mantis,

and just as a traditional mantis exchanged ordinary consciousness for a divine possession, so Iamblichus believed that each transformation of the soul was a theurgic exchange, a theia mantikē».

204 111.6:

oi¸ qeoiì diafe/rontej, Giamblico aveva già discusso delle differenze insite nelle diverse classi degli esseri divini (cfr. DM 14.4-20).

205

111.7-8: tro/poj tw½n e)nqousiasmw½n, solitamente tale espressione è intesa e tradotta al singolare: il

modo dell’entusiasmo, eludendo il fatto che, con ogni probabilità, Giamblico stia dicendo che

l’entusiasmo può anche essere molteplice, pure continuando a interessare esclusivamente un individuo singolo, il che può fare di esso una specie di stato composito, caratterizzato da una serie di alterazioni psico-somatiche sul modello di quelle descritte nelle righe successive. A riprova di quanto qui sostenuto

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kaiì th\n qeofori¿an206 e(te/ran. äH ga\r o( qeo\j h(ma=j eÃxei, hÄ h(meiÍj oÀloi tou= qeou= gigno/meqa, hÄ koinh\n poiou/meqa pro\j au)to\n th\n e)ne/rgeian!207 kaiì pote\ me\n th=j e)sxa/thj duna/mewj tou= qeou= mete/xomen, pote\208\ d' auÅ th=j me/shj, e)ni¿ote de\ th=j prw¯thj!209 kaiì pote\ me\n metousi¿a yilh\ gi¿gnetai, pote\ de\ kaiì koinwni¿a, e)ni¿ote de\ kaiì eÀnwsij tou/twn tw½n e)nqousia/sewn!210 hÄ mo/nh h( yuxh\ a)polau/ei, hÄ kaiì t%½ sw¯mati summete/xei, hÄ kaiì to\ koino\n z%½on.211

vedi Clark, Dillon, Hershbell (eds.), On the mysteries, cit., p. 131, per cui la traduzione scelta apre, con prudenza, al medesimo concetto: «the manner of inspiration in its alterations».

206

111.8-9: qeofori¿an, la teoforia dipende dall’ispirazione e dagli entusiasmi. Dal modo in cui il dio è trattenuto dal posseduto se ne possono riconoscere i segni (shmeiÍa) distintivi. Vedi anche guardare all’entusiasmo come ad uno stato composito, caratterizzato da una serie di alterazioni psico-somatiche sul modello di quelle descritte nelle righe successive. Anche Platone, Ion. 536 c, fa riferimento al fatto che i coribanti, ad esempio, sentono esclusivamente il canto di quel dio da cui sono posseduti.

207

111.9-11: äH ga\r … e)ne/rgeian, il passo non è di facile interpretazione. Giamblico descive tre eventualità: o il dio ci possiede (possiede cioè i sacerdoti); 2) o noi diventiamo tutti di Dio; 3) o noi realizziamo un’opera comune con lui. Tutto ciò sembra contraddire quanto è stato detto in precedenza, particolarmente nel capitolo IV. Fino a questo punto lo stato della possessione divina era stato descritto come indipendente dalla volontà umana (cfr. DM 110.11-12). Di più, il posseduto perdeva la propria sensibilità e la propria coscienza per sostituirle con una vita più divina. In tale frangente la situazione muta radicalmente, per due motivi: il primo riguarda l’uso che Giamblico fa del noi, il quale conferisce al testo una sfumatura molto più intima e personale rispetto alle precedenti imparziali descrizioni degli stati di possessione; il secondo è da leggersi tenendo conto che Giamblico parla nelle vesti del profeta Abammone, e dunque il noi non è generico, ma è indicativo di quanto accade nell’ambito della casta sacerdotale. Pertanto, affinché le prime due alternative non si sovrappongano l’una all’altra in virtù di un’inversione delle parti (il dio che ci possiede, noi che diveniamo di dio), occorre cercare una spiegazione che si discosti da quella inerente l’entusiasmo e la teoforia. Mi pare allora opportuno prendere in considerazione quanto affermato da Giamblico nelle righe immediatamente successive, a proposito dellla partecipazione del teurgo alle potenze del dio.

208 111.11:

pote\, sull’impiego di questo termine di matrice aristotelica si veda l’uso che ne fa Giamblico nel suo Commentario alle Categorie (cfr. D. Larsen, Jamblique de Chalcis, cit., p. 295).

209

111.11-13: kaiì … prw¯thj, il teurgo può trovarsi a partecipare dell’ultima potenza di dio, della potenza mediana, oppure della prima. Sul concetto di potenza divina nel Neoplatonismo ed in Giamblico cfr. F. Romano, L’uso di Dunamis nel De mysteriis di Giamblico, in L. R. Cardullo, F. Romano (a cura di),

Dunamis nel Neoplatonismo. Atti del II Colloquio Internazionale del Centro di Ricerca sul Neoplatonismo,

La nuova Italia, Firenze, 1996, pp. 79-106, spec. pp. 86, 94, 104. 210

111.13-15: kaiì … e)nqousia/sewn, Giamblico prosegue nella sua triplice ripartizione del rapporto sacerdotale tra dio ed il teurgo. In questo caso i suddetti tre gradi di relazione con il divino originano le seguenti fasi corrispondenti: 1) semplice partecipazione (metousiva), comunione (koinwniva), unione di

questi entusiasmi (eÀnwsij tou/twn tw½n e)nqousia/sewn). Anche in questo caso l’entusiasmo è declinato al plurale, ma non sembra configurare alcuno stato di possessione divina nei termini di una perdita di sensibilità e di coscienza da parte del teurgo.

211 111.15-16:

hÄ … z%½on, è l’ultima triplice sequenza che Giamblico porta all’attenzione di Porfirio. Da quanto è stato detto sinora, la relazione di triplice livello fra teurgo e dio può coinvolgere 1) l’anima da sola, 2) l’anima che ne partecipa mediante il corpo, il composto di anima e corpo. Provando ora a fare una sintesi di quanto sin qui è stato detto s’ottengono i tre seguenti quadri di riferimento: a) il dio ci ha in suo possesso, il che si traduce nel partecipare dell’anima all’ultima delle sue potenze; b) noi

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111.17-112.9

¹

Ek dh\ tou/twn kaiì ta\ shmeiÍa tw½n e)pipneome/nwn gi¿gnontai polueidh=,212 ki¿nhsi¿j te tou= sw¯matoj kaiì mori¿wn tinw½n, panteleiÍj te au)tou= h)remi¿ai, ta/ceij te e)narmo/nioi kaiì xoreiÍai kaiì fwnaiì e)mmeleiÍj hÄ ta)nanti¿a tou/twn!213 kaiì hÃtoi to\ sw½ma e)pairo/menon o(ra=tai hÄ diogkou/menon hÄ mete/wron e)n t%½ a)e/ri fero/menon hÄ ta)nanti¿a tou/twn periì au)to\ fai¿netai gigno/mena!214 fwnh=j te o(malo/thj kata\ me/geqoj hÄ ta\ metacu\ dialambano/mena tv= siwpv= diasth/mata pollh\ qewreiÍtai, kaiì a)nwmali¿a auÅqij, e)ni¿ote me\n mousikw½j e)piteinome/nwn kaiì a)nieme/nwn tw½n hÃxwn, e)ni¿ote d' aÃllon tro/pon.215

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