(discendente) e eijskrinovmenon (facente il suo ingresso nel posseduto).
370
129.18: perilabeiÍn, letteralmente circoscrivere, comprendere in un’unica realtà. Vedi anche DM 31.9, 70.7. La difficoltà a comprendere l’attuale tipo di divinazione viene dal fatto che alcuni ne facciano un cattivo uso.
371 129.19-130.1:
e)n toiÍj polloiÍj a)nqrw¯poij, questo riferimento alla maggior parte degli uomini offre la dimensione del problema cui Giamblico si trova innanzi: difendere la teurgia assimilandola ad una
teologia scientifica (DM 14.8-9) comporta uno sforzo teoretico e dottrinale non indifferente, volto a
stabilire ed accertare l’ortodossia di una gnosi sacerdotale in opposizione alle pratiche popolari, evidentemente diffuse. Circa quella che è stata definita una lotta per l’ortodossia si veda, in modo particolare, il cap. V del volume di P. Athanassiadi, La Lutte pour l’orthodoxie dans le platonisme tardif –
De Numénius à Damascius, Les Belles Lettres, Paris, 2006, intitolato Les entraves de Jamblique, in cui l’A.
ha esaminato il complesso tentativo, per parte giamblichea, di introdurre nell’alveo del Neoplatonismo di Numenio, Plotino e Porfirio la dottrina teurgica.
372 130.1:
yeudologi¿# te kaiì a)pa/tv, sono la falsa dottrina e l’inganno perpetrati da coloro i quali, pur non appartenendo al rango dei teurghi, s’improvvisano tali, gettando evidentemente discredito sulla pratica divinatoria e cultuale dei primi.
373 130.2:
ki¿nhsin, anche in tale frangente il movimento è inquadrato in un’ottica negativa: l’anima, infatti, agitata da pratiche pseudo-teurgiche, spurie ed ingannevoli, muove contro gli dèi e non è in grado di suscitare la loro presenza. Due considerazioni: la prima è che qualsiasi movimento dell’anima o del corpo, o del composto di entrambi, prodotto al di fuori del rituale teurgico, è non soltanto inefficace ma invalida altresì il rito stesso; la seconda riguarda il fatto che solamente l’opera cultuale permette la conduzione degli spiriti (cfr. DM 112.10-13) e la loro conseguente manifestazione.
374
130.3-4: a)mudra/n tina a)p' au)tw½n ei¹dwlikh\n eÃmfasin, Giamblico afferma che la maggior parte degli uomini cerca di ottenere malamente (kakw'") la divina parousiva ricavando dagli stessi dèi una parvenza
oscura ed immaginaria. Il procedimento è spurio, ma riesce comunque a trarre qualcosa di inconsistente
e di ininfluente, come appunto l’eÃmfasin. 375 130.5-6:
u(po\ … pneuma/twn, si afferma che la debole forza dell’eÃmfasin è solita talvolta essere turbata dai soffi dei demoni più spregevoli. Ciò significa che, laddove si adotti una pratica divinatoria spuria, non presieduta da un teurgo, ma da un qualsiasi altro uomo, si ricava dagli dèi un’immagine debole che, per la mancanza della divina parousiva, dunque per una sorta di deficienza ontologica, viene alterata da malvagi soffi di demoni. È come se la pratica non riuscisse a raggiungere la divinità permettendole di apparire, e pertanto si arrestasse ad un livello inferiore, preda dei turbamenti demonici.
84
a)nempo/distoj!376 wÐsper ga\r h(li¿ou katala/myantoj ou) pe/fuke th\n au)gh\n u(pome/nein to\ sko/toj, e)cai¿fnhj de\ a)fane\j aÃrdhn kaqi¿statai kaiì pantelw½j e)k me/swn u(poxwreiÍ kaiì e)kpodwÜn e)ci¿statai, ouÀtw kaiì th=j pa/nta a)gaqw½n plhrou/shj tw½n qew½n duna/mewj pollaxo/qen e)pilampou/shj ou)k eÃxei xw¯ran h( tw½n kakw½n taraxh\ pneuma/twn, ou)de\ du/natai¿ pou diafai¿nesqai, a)ll' w¨j to\ mhde\n hÄ e)n t%½ mh\ oÃnti kexw¯ristai, ou)damou= fu/sin eÃxousa kineiÍsqai tw½n kreitto/nwn paro/ntwn hÄ parenoxleiÍn au)toiÍj duname/nh h(ni¿ka aÄn e)pila/mpwsin.377131.1-132.2
Ti¿ pot' ouÅn tosou=ton dia/foro/n e)stin e(kate/rou tou/twn, ou)k aÃlloij xrh/somai gnwri¿smasin ei¹j th\n dia/krisin au)tw½n hÄ au)toiÍj toiÍj para\ sou= r(hqeiÍsin! oÀtan ga\r eiãpvj "oi¸ e)piì xarakth/rwn sta/ntej", ou)de\n aÃllo eÃoikaj shmai¿nein hÄ to\ aiãtion tw½n periì tau=ta kakw½n pa/ntwn. Ei¹siì ga/r tinej oiá th\n oÀlhn pragmatei¿an th=j telesiourgou= qewri¿aj parido/ntej peri¿ te to\n kalou=nta kaiì periì to\n e)po/pthn, ta/cin te th=j qrhskei¿aj kaiì th\n o(siwta/thn e)n poll%½ xro/n% tw½n po/nwn e)mmonh\n a)tima/santej, qesmou/j te kaiì e)ntuxi¿aj kaiì ta\j aÃllaj a(gistei¿aj parwsa/menoi, a)poxrw½san nomi¿zousi th\n e)piì tw½n xarakth/rwn mo/nhn sta/sin,378 kaiì tau/thn e)n mi#= wÐr# poihsa/menoi, ei¹skri¿nein nomi¿zousi¿ ti pneu=ma! kai¿toi ti¿ aÄn ge/noito a)po\ tou/twn kalo\n hÄ te/leion; hÄ pw½j eÃnesti th\n a)i¿dion kaiì t%½ oÃnti tw½n qew½n ou)si¿an e)fhme/roij eÃrgoij suna/ptesqai e)n taiÍj i¸eraiÍj pra/cesi; dia\
376
130.6-9: h( d' oÃntwj … a)nempo/distoj, l’apparizione che realmente manifesta gli dèi è definita secondo i seguenti aggettivi: integra, pura, immutabile, vera, ma soprattutto inaccessibile ai soffi
contrari (tw½n e)nanti¿wn pneuma/twn), e non può essere ostacolata. 377
Commento 130.9-19: per spiegare il contrasto luce-tenebra e il dominio divino sul disordine provocato dagli spiriti malvagi Giamblico ricorre ad una similitudine: il sole rende la tenebra invisibile, che viene distrutta, sgombra il campo e si ritira. Allo stesso modo la potenza degli dèi brilla da ogni parte e il disordine degli spiriti malvagi non ha più luogo e nemmeno può apparire da nessuna parte. Quando cioè, risplendono gli esseri superiori, quelli inferiori non li possono contrastare. Sodano, I misteri
egiziani, cit., p. 301, spiega che «questa comparazione del male (e spiriti del male) con la tenebra e del
bene (dèi superni) con la luce e l’immagine della fuga dell’oscurità davanti al raggio di sole, è quasi un
topos: nel De mysteriis ritorna anche in 43.6-8 e 176.8-10».
378 Commento 131.1-12: il passo può essere suddiviso in due parti. Nella prima (131.1-5) Giamblico chiede quale sia la differenza tra le due forme di divinazione sui caratteri enunciate nelle righe precedenti. Domanda retorica, poiché egli accusa formalmente Porfirio di aver gettato discredito su questo particolare tipo di mantica. La seconda parte (131.6-132.2) rinsalda l’opposizione, più volte rilevata, fra i teurghi-sacerdoti e alcuni (tine") che misconoscono il complesso della ritualità teurgica poiché si accontentano di «stare in piedi sui caratteri».
85
tau=ta dh\ ouÅn oi¸ toiou=toi propeteiÍj aÃndrej tou= panto\j a(marta/nousin, ou)d' aÃcion au)tou\j e)n ma/ntesi katariqmeiÍsqai.379379
Commento 131.12-132.2: prendendo le mosse dall’argomentazione antecedente, il soggetto del discorso resta tine". Questi personaggi enigmatici e non meglio identificati sono chiaramente inesperti in materia di divinazione. In virtù di una preparazione inadeguata e sommaria, credono di poter comandare l’ingresso di uno spirito entro di sé, ma è chiaro che, per parte giamblichea, tali opere sono effimere. La mancata congiunzione dell’officiante con la sostanza eterna e reale degli dèi dipende dal fatto che i riti non sono celebrati correttamente. I caratteri, infatti, figure e segni mistico-simbolici, hanno il compito di attirare la divinità e di fermarla nella materia. La pratica è attestata anche in PGM IV 2705-6; VII 196,206,390. Sodano, I misteri egiziani, pp. 302-303, però, ribadisce il concetto per cui «nel
De mysteriis si tenta di trascendere il piano magico, per inserirsi in quello teurgico. E qui sovviene la
letteratura oracolare caldaica. Psello (Comm. 1133a 4-b 3), d’accordo con altre fonti (Marino, Procl. 28, p. 165,3 e Niceforo Gregora, In Syn. De Insomm., PG 149, 540b 11) ricorda il cerchio, il disco di Ecate (des Places, Oracles fr. 206; Lewy 249-252), ricoperto di charakteri […]. La stessa Ecate in un oracolo ricordato da Porfirio (ap. Eusebio, PE V 15,1 = p. 137, vv. 118-121 Wolff) rivela che i mortali amano il simbolismo dei charakteri: «Qual mortale non ha desiderato offrirsi i charakteri incisi nel bronzo, nell’oro e nell’argento splendidi? Quale divinità che soprintende alle cose superne non ama queste figure che le consentono di concentrare in un sol luogo e di intrecciare i molti destini degli uomini?» (cfr. anche Eusebio, PE V 9,9 = p. 164 Wolff)».