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La distribuzione online e la nuova filiera del cinema indipendente

Da quando ha cominciato a insediarsi durante la fine degli anni Novanta, internet ha avuto un impatto devastante sulle industrie dei media, diventando non soltanto il principale mezzo di trasmissione delle informazioni e dell’intrattenimento ma anche una parte inte- grante di ogni modello di business moderno e virtualmente di ogni settore (Vogel, 2015). Ancora oggi le industrie dei media sono in trasformazione, poiché internet, in base a quanto indicato da Harold Vogel (2015) nel suo Entertainment Industry Economics:

• Ridefinisce e sposta le funzioni dei tradizionali intermediari - senza necessaria- mente eliminarle - e ne inserisce di nuovi;

• Cambia la natura dei rapporti delle imprese con i consumatori, alterando la por- zione dei ricavi generati da vendite, pubblicità e abbonamenti;

• Incrementa l’ammontare, la varietà e l’accessibilità ai contenuti dell’intratteni- mento nonché ai prodotti e servizi a questi associati;

• Apre la strada allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi dell’intrattenimento; • Permette di generare enormi ricavi a costi di distribuzione prossimi allo zero; • Riduce di costi di transazione e di ricerca, così come quelli di produzione e ripro-

duzione di beni e servizi;

• Fonde e aggrega piattaforme mediali distinte e indipendenti, arrivando a fare com- petere settori che prima non si toccavano nemmeno;

• Permette di disaggregare beni e servizi, spesso anche a danno dei profitti (si pensi ad esempio all’acquisto di una singola traccia al posto dell’interno album musi- cale);

• Rende l’informazione abbondante, ma l’attenzione dei consumatori e dell’au- dience scarsa;

• Sfida intere strutture di business basate su sistemi di diritti geografici e territoriali, spesso convertendo i beni informazione privati in beni pubblici.

Tutto ciò ha portato all’emergere di nuovi attori capaci di rispondere in modo proattivo a queste trasformazioni, affermandosi in breve tempo come leader di mercato e mettendo in crisi i modelli di business degli incumbent. Si parla in proposito di digital disruption66, un termine che nel tempo ha mutato la sua originaria configurazione per indicare gli stra- volgimenti che le startup del web hanno portato su interi settori industriali grazie all’esplosione di internet e dei servizi erogati tramite la rete (Campagnucci & Zambar- dino, 2016). Si pensi per esempio a Netflix, che dopo aver dominato nel mercato dell’Home Video su supporto fisico ha deciso nel 2008 di lanciare la sfida alle Pay Tv sviluppando il business dello Streaming Video on Demand (SVoD), che solo negli Stati Uniti genererà 10,3 miliardi di dollari nel 2020 (PwC, 2016). Ma Netflix è solo uno dei numerosi digital disruptor delle nuove industrie dei media, i quali impressionano per l’estrema rapidità con cui realizzano i cambiamenti e per le enormi economie che riescono in breve tempo a generare (Campagnucci & Zambardino, 2016). La rivoluzione del digi- tale nelle industrie dei media e dell’intrattenimento riguarda in primo luogo i modelli di fruizione e di distribuzione dei contenti, ma si spinge ben oltre, irrompendo su ciascuno degli stadi della filiera (Simon et. al, 2015).

In questo capitolo ci si concentrerà sul ruolo di internet nella distribuzione cinematogra- fica (ma con ragionamenti che si estendono anche alla televisione), per un settore che, nonostante la digitalizzazione abbia già apportato alcuni importanti cambiamenti nell’in- dustria cinematografica, è ancora nel pieno della sua evoluzione. Uno dei concetti che aiutano meglio a comprendere come è cambiata la distribuzione dei prodotti audiovisivi nel panorama mediatico contemporaneo è senz’altro quello di “mobilità delle piatta- forme”, introdotto nel 2013 da Chuck Tryon all’interno del libro On-Demand Culture: si tratta dello storico passaggio verso l’accesso ai contenuti in mobilità e in modo ubiquo reso possibile dalla diffusione dei dispositivi mobili connessi (smartphone, tablet, ecce- tera) e delle piattaforme di Video on Demand, e include tutte le trasformazioni di natura

66 Il termine “disruption” fu introdotto nel 1997 da Clayton Christensen (2001) all’interno del libro Il di-

lemma dell’innovatore: come le nuove tecnologie possono assicurare il successo alle imprese agili e intra- prendenti, riferendosi all’innovazione in senso lato e nello specifico per indicare l’importanza delle nuove

tecnologie e dei nuovi paradigmi produttivi e distributivi nell’attività delle singole imprese al fine di non venire sopraffatti dalle emergenti dinamiche di mercato. Nel tempo il termine è passato a indicare l’impatto dirompente di internet e delle tecnologie digitali all’interno dei tradizionali settori industriali. (Campa- gnucci & Zambardino, 2016)

tecnologica, economica, sociale e politica che ne derivano. Volendo massimamente sem- plificare, la distribuzione online cambia il dove, il come e il quando potere accedere ai contenuti, consentendo ai consumatori di gestire liberamente la fruizione di un film o di uno show televisivo non solamente tra un dispositivo e l’altro ma anche svincolandolo da un orario prestabilito per il suo consumo. Ma se da un lato tutto questo sembra definiti- vamente accogliere il paradigma del consumo che si traduce nei principi dell’AAA (Any- thing, Anywhere, Anytime), dall’altro esistono ancora numerose restrizioni e limiti all’ac- cesso ai contenuti, che lo stesso autore identifica come “resistenze alla mobilità”. Infatti, la maggior parte delle offerte di prodotti audiovisivi online è incompleta, presentando cataloghi parziali e soggetti a continui mutamenti, il che è ancora più evidente se si con- siderano i sempre più frequenti conflitti per i diritti di streaming (Tryon, 2013). Oltre a ciò, si evidenziano ancora oggi delle forti differenze locali e territoriali che condizionano la circolazione dei contenuti, concretizzandosi ad esempio nelle pratiche di geo-blocking. In risposta, gli utenti hanno imparato ad adottare una serie di pratiche - la maggior parte delle quali illegali - per soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno di contenuti au- diovisivi nel modo più economico e funzionale (si pensi ad esempio al fenomeno del cord

cutting, ossia la scelta di disdire dagli abbonamenti alla televisione a pagamento, sul quale

si tornerà in seguito).

In accordo con quanto espresso da Valentina Re (2014) nello studio Italy on Demand:

distribuzione online, copyright, accesso, il rapporto tra internet e la distribuzione cine-

matografica si configura in tre modi distinti, ciascuno dei quali impatta diversamente sulla catena del valore di un film:

• Internet è uno strumento capace di agevolare l’accesso diretto di un film alla sala cinematografica senza l’intermediazione dei distributori, permettendo così ai pro- duttori di avere il pieno controllo della finestra theatrical;

• Internet è una piattaforma di distribuzione alternativa alla sala cinematografica, che consente di scavalcare le tradizionali figure dell’esercente e del distributore; • Internet è una piattaforma di distribuzione addizionale rispetto a quelle tradizio- nali, che introduce nuove forme di erogazione del prodotto filmico le quali devono cercare di integrarsi nel sistema delle finestre di distribuzione.

Nel momento in cui si pone come canale di distribuzione supplementare rispetto a quelli già in essere, la rete arriva a competere con le tradizionali forme di erogazione del pro- dotto filmico, e così facendo mette in discussione non soltanto lo status quo dei major

studio e dei principali operatori dell’industria cinematografica ma anche il funzionamento

stesso del sistema delle window mediante il quale manifestano il loro potere. È proprio in questo senso che si parlerà di distribuzione online nel presente capitolo, poiché è proprio qui che si delinea la più importante sfida dei media digitali alle forme di distribuzione tradizionali (Re, 2014).

Ma prima di entrare nel merito di tale discussione, vale la pena dare un rapido sguardo alle prime due modalità attraverso cui internet si rapporta con la distribuzione sopra indi- cate, poiché in entrambi i casi ciò a cui si assiste è una vera e propria riconfigurazione della catena del valore tradizionalmente intesa. In particolare, se nel primo caso è la sola figura del distributore a venire scavalcata dal produttore, che grazie alla rete (e alle enormi potenzialità del digital marketing) riesce a intercettare l’audience di riferimento e a inte- ressarla al punto da rendere il prodotto filmico attraente anche per gli esercenti (Doyle, 2002), nel secondo caso il film viene direttamente fruito dai consumatori in internet e senza ulteriori intermediazioni. Nella maggior parte dei casi queste due modalità sono da associarsi alle produzioni indipendenti, delineandosi come importanti opportunità che la rete offre per dare spazio alle sempre più numerose opere minori, in uno scenario che come si è visto in precedenza è dominato dai film ad alto budget americani. Di più, perché utilizzando il web come piattaforma dove diffondere in autonomia i propri film, ai pro- duttori indipendenti è data la possibilità di accrescere l’audience talvolta arrivando a coin- volgere un pubblico internazionale.

Nel momento in cui viene eliminata la mediazione dei distributori tradizionali, le possi- bilità più interessanti per i produttori indipendenti sono quelle che Jason Squire (2016) individua nella cosiddetta Online Self-Distribution, comprendente un insieme di stru- menti web da utilizzare anche congiuntamente in base al potenziale economico del film e all’interesse che questo riesce a suscitare nell’audience di riferimento. Si distinguono così tre macro-categorie di servizi per la distribuzione di un film online, suddivise in base

al diverso grado di controllo che il produttore esercita sulla piattaforma in cui il titolo viene inserito (Squire, 2016):

• Self-distribution tools: il film è distribuito in un sito di proprietà dello stesso pro- duttore, che ne ottimizza la gestione tramite degli appositi tool acquistabili o sca- ricabili gratuitamente da siti quali ad esempio VHX.TV, Distrify e Reelhouse. Tali strumenti supportano il sito del produttore in diversi modi, sia integrando dei software per visualizzare il film in alta qualità e sia semplificando la gestione delle transazioni e degli analytics. È evidente la scelta di distribuire un film all’interno del proprio sito è quella che deforma maggiormente la catena del valore così per come è stata intesa nel Capitolo Due, connettendo direttamente il produttore con il consumatore finale;

• Video-sharing sites: il produttore inserisce il film all’interno di una piattaforma di

video-sharing di proprietà di terzi (tra cui YouTube, Vimeo, eccetera), nella quale

si concentra un forte traffico di utenti. Si tratta senza dubbio dell’opzione più eco- nomica, sia per il consumatore che per il produttore, dove per generare profitti è necessario che il film riceva un numero di visualizzazioni sufficientemente ele- vato da attrarre dei pubblicitari. Su YouTube e più in generale sulle piattaforme di Advertising Video on Demand (AVoD) si tornerà nel prossimo paragrafo; • Aggregators: in questo ultimo caso viene pagata una commissione a un terzo sog-

getto che agisce da intermediario tra il produttore indipendente e le principali piat- taforme di Video on Demand (quali ad esempio Amazon Prime Video, iTunes e Netflix), al fine di inserire il film nei loro cataloghi. Oltre a ciò, questa tipologia di aggregatori si occupa di convertire il film nei formati tecnici richiesti dalle piat- taforme e in generale di supportare il produttore nell’intero processo distributivo. Alcuni di essi, in aggiunta alle attività sopra citate, si occupano anche della pro- mozione del prodotto filmico, rappresentando a tutti gli effetti una nuova catego- ria di distributori (tra questi, si pensi ad esempio a Under The Milky Way).

Ma se la rete ha dato origine a dei processi di disintermediazione rispetto alla tradizionale figura del distributore, allo stesso tempo ha permesso anche lo sviluppo di nuove forme di intermediazione che pongono al centro la figura dell’aggregatore di contenuti. In questa

sede, quando si parla di “aggregatori” si fa riferimento a quelle società o fornitori di ser- vizi che raccolgono una grande varietà di beni per poi renderli disponibili e di facile re- peribilità in una piattaforma online (Anderson, 2016). Nel fare ciò, questi soggetti abbas- sano le barriere all’accesso al mercato e permettono a un enorme numero di prodotti di venire scoperti ed eventualmente acquistati da un pubblico, in un processo che Chris An- derson (2016, p.82) nel suo La Lunga Coda definisce come “democratizzazione della

distribuzione”. All’interno dell’industria del cinema fanno parte di questa categoria Ama-

zon, Netflix, iTunes, Hulu e YouTube, sebbene al giorno d’oggi questi operatori svolgano molto più della sola funzione di aggregare e rendere disponibili dei contenuti altrui, arri- vando anche a produrne di propri.

Figura 3.1: La filiera del cinema indipendente nel modello “aggregator-driven”

Fonte: adattamento da The International Film Business: A Market Guide Beyond Holly- wood (Finney, 2015)

Come si nota nella Figura 3.1, una delle più interessanti configurazioni della catena del valore che emergono negli ultimi anni è quella che Angus Finney (2015) indica come “aggregator-driven”, nel quale l’aggregatore non soltanto svolge la funzione di distribuire il film al pubblico ma si occupa anche di finanziarne la produzione. Questo modello non necessariamente elimina la sala cinematografica tra le opzioni di sfruttamento del pro- dotto filmico che viene commissionato dall’aggregatore, come dimostrano casi come quello di Beasts of No Nation (Fukunaga, 2015), che è stato distribuito da Netflix a ottobre 2015 contemporaneamente nella propria piattaforma e in alcune sale cinematografiche indipendenti (Corvi, 2016). È quindi possibile affermare che la rappresentazione della filiera nello schema “aggregator-driven” è una più vivaci testimonianze del controllo e dell’influenza che gli aggregatori riescono a esercitare nell’industria cinematografica.