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La filiera cinematografica nella letteratura accademica

Come si è visto nel paragrafo precedente, l’industria cinematografica ha subito notevoli trasformazioni negli anni (e ciò è valido sempre, sia per Stati Uniti che per l’Europa): dagli attori che la compongono e la dirigono alle normative che la regolano, dai modelli di business alle singole attività svolte, dall’ammontare dei costi necessari per operare nel settore ai volumi dei ricavi nel complesso generati, dalle geografie dei consumi ai vari mercati attraverso cui il film si diffonde, dalle tecnologie di produzione ai luoghi in cui questi prodotti vengono consumati, e così via. In merito alla portata di questi cambia- menti, alcuni studiosi sono arrivati a discutere se si possa continuare a parlare di cinema. Nel suo libro La Galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene Francesco Casetti (2015) sostiene che il significato stesso del cinema viene messo in discussione a partire dal momento in cui questo perde le sue caratteristiche tradizionali, rimodellando le proprie funzioni e rendendo impossibile la sua identificazione in un solo apparato o supporto. Tuttavia, il cinema non muore affatto. Piuttosto si espande, e ciò è testimoniato dall’aumento del numero delle sale cinematografiche nel mondo, dall’estensione del ci- nema anche a ciò che viene consumato nelle mura domestiche o in viaggio, e infine dalle immagini che ci circondano, che anche se non appartengono al film nel senso tradizionale del termine vengono considerate come “cinematografiche”, a testimoniare la grande per- vasività di questo mezzo nella società contemporanea (Casetti, 2015).

Una diretta conseguenza dell’espandersi del cinema nelle modalità sopra descritte è cer- tamente l’allargamento del sistema attraverso cui esso è organizzato, in ciò che la lettera- tura accademica identifica come la filiera cinematografica (Vogel, 2015; Squire, 2016; Eliashberg et. al, 2006; Küng, 2008; Bloore, 2009; Kehoe & Mateer, 2015; Pasquale, 2012). Per poter comprendere davvero cos’è la filiera cinematografica è opportuno dap- prima definire cosa sia la filiera per una qualsiasi organizzazione economica. Secondo quanto descritto da Giuseppe Volpato nel libro Economia e gestione delle imprese (2010) la filiera è da intendersi come un sistema che replica su più larga scala la catena del valore di un’impresa, e quindi è il meccanismo attraverso il quale vengono compiute quelle at- tività che, coordinate fra loro, generano “valore” per l’impresa e per l’ambiente econo- mico in cui essa è inserita.

Figura 2.3: La generica catena del valore secondo Porter (1985)

Fonte: adattamento da Competitive Advantage: Creating and Susutaining Superior Per-

formance (Porter, 1985)

Nel 1985 Michael Porter offre la più celebre definizione della “catena del valore” all’in- terno del libro Competitive Advantage: Creating and Susutaining Superior Performance, dove sostiene che il successo di un’impresa dipende principalmente dalla capacità di ot- tenere un vantaggio competitivo nei confronti dei propri rivali tramite l’adozione di tre distinti tipi di strategie (leadership di costo, differenziazione e focus in una nicchia di mercato). In questo senso la catena del valore rappresenta l’insieme delle attività - suddi- vise in primarie e di supporto - attraverso cui un prodotto o un servizio sono creati e consegnati ai consumatori, che unitamente realizzano il vantaggio competitivo di un’im- presa rispetto a un’altra (Porter, 1985). In questa definizione sono quindi incluse le attività che caratterizzano ogni singola impresa, come è possibile vedere in Figura 2.3. Oltre alle attività primarie e di supporto, un terzo elemento che Porter (1985) identifica è il margine, che non è un’attività in sé ma è piuttosto l’espressione del valore che i consumatori attri- buiscono all’insieme delle attività dell’impresa dopo aver acquistato il prodotto o il ser- vizio.

In realtà, non tutte le imprese si interfacciano direttamente con i consumatori finali né tantomeno sono in grado di svolgere in autonomia ogni attività. All’interno di un settore accade spesso che più imprese dialoghino fra loro e instaurino delle relazioni dirette a uno scopo comune, inserendosi nel più ampio “sistema del valore”: si tratta dell’unione delle singole catene del valore di più imprese finalizzata alla distribuzione di un prodotto finale ai consumatori (Porter, 1985). Inoltre, si sottolinea che la catena del valore così intesa non esprime in alcun modo il flusso dei ricavi legato allo sfruttamento del prodotto, quanto piuttosto è connessa al valore che viene aggiunto durante la sua produzione e di- stribuzione (Bloore, 2009). Ecco allora che la filiera è da intendersi come un sistema che interseca le catene del valore dei fornitori con quelle dei clienti, ed è assimilabile al con- cetto di sistema del valore (Volpato, 2010). Proseguendo l’analisi di Volpato (2010), ogni impresa che compone il sistema del valore possiede un peculiare posizionamento produt- tivo, che è frutto delle sue specifiche competenze e delle scelte economiche compiute nel corso della sua storia. La gestione della filiera identifica la relazione tra vari attori e ri- chiede dunque di unire degli aspetti operativi, relativi al coordinamento delle attività con le imprese poste in altre fasi della filiera, con aspetti di natura strategica, che coinvolgono le specifiche decisioni sulle attività da svolgere in coerenza con le particolari caratteristi- che dell’impresa (Volpato, 2010).

Per via della specifica configurazione del settore, la filiera cinematografica è in parte differente rispetto a quella generalmente indicata per le altre organizzazioni economiche, e in merito la letteratura accademica ha sovente discusso negli ultimi dieci anni. Secondo l’interpretazione di Pasquale (2012), la filiera cinematografica è composta da quell’in- sieme di attività che, a partire da un concept narrativo, conducono alla commercializza- zione del film nel mercato primario, ossia la sala cinematografica, e in quelli secondari. Prima di descrivere alcuni tra i principali contributi della letteratura, è interessante notare come nel tempo il concetto di filiera e di catena del valore si siano spesso confusi in questo settore, arrivando a sovrapporsi (Bloore, 2009). Ciò ha portato a utilizzare il ter- mine di catena del valore per indicare i vari stadi attraverso cui un prodotto audiovisivo viene creato e consegnato al consumatore, indipendentemente dal numero di imprese coinvolte nel processo (Kehoe & Mateer, 2015). Come si è visto, questo tipo di interpre- tazione è differente rispetto alla “forma pura” del termine descritta da Porter, per il quale

la catena del valore si riferisce all’insieme delle attività primarie e di supporto di una singola impresa (Küng, 2008).

Figura 2.4: La catena del valore di un film secondo Eliashberg et. al (2006)

Fonte: The Motion Picture Industry Marketing Science (Eliashberg et. al, 2006)

Un primo contributo che viene discusso è quello di Eliashberg et. al (2006), in quanto rappresenta una delle prime indagini riguardanti la catena del valore di un film nonché uno dei più citati studi in letteratura (Crissey, 2010). In particolare, nello studio The Mo-

tion Picture Industry Marketing Science gli autori utilizzano lo schema della catena del

valore come punto di partenza per esplorare i principali aspetti legati alla creazione e alla distribuzione di un film negli Stati Uniti, suddividendo la filiera in tre fasi principali - produzione, distribuzione ed esercizio - che precedono il consumo in sala da parte degli spettatori (Eliashberg et. al, 2006).

Nel modello rappresentato in Figura 2.4 la fase di “produzione” è data dall’insieme delle attività necessarie realizzare la copia originale del film e perciò comprende al suo interno sviluppo, finanziamento e produzione vera e propria (Eliashberg et. al, 2006). Tuttavia, come sottolinea Peter Bloore (2009) nello studio Re-defining the Indipendent Film Value

• Semplifica eccessivamente la fase di produzione, specialmente se si considerano i film indipendenti28, per i quali in questo stadio intervengo numerosi attori e in- termediari, ciascuno dei quali apporta un valore unico e distinto alla realizzazione finale del film;

• Pur rappresentandolo, non considera in modo sufficientemente esaustivo il pro- cesso di recupero degli investimenti per i vari attori coinvolti nel processo; • Infine, non si spiega perché nel flusso dei ricavi la fase di consumo si connette

alla sala per mezzo dei mercati ancillari (descrivendo un legame che non esiste, almeno se si considerano i film indipendenti).

Per queste ragioni quello di Eliashberg et. al (2006) è uno schema che si applica princi- palmente ai major studio statunitensi, e quindi non è adatto a descrivere realtà differenti rispetto a quelle che appartengono al sistema di Hollywood.

Figura 2.5: La catena del valore di un film secondo Küng (2008)

Fonte: Strategic Management in the Media: Theory to Practice (Küng, 2008)

Certamente più completo è il modello descritto da Lucy Küng (2008), che nel libro Stra-

tegic management in the media: Theory and practice rappresenta la catena del valore di

28 Quando si parla di film indipendenti si fa riferimento ai film che vengono sviluppati senza che venga coinvolto un major studio, indipendentemente da dove provengano i finanziamenti per la sua produzione e distribuzione, e in cui solitamente il produttore si assume dei rischi economici (Vogel, 2015)

un film in contrapposizione a quella di altri settori che appartengono all’Industria Cultu- rale e Creativa, e lo fa per la prima volta distinguendo la fase di sviluppo da quella della produzione (si veda la Figura 2.5). Interessante è anche la distinzione tra la distribuzione e il licensing (la concessione delle licenze per lo sfruttamento del film), oltre all’inseri- mento nel modello delle attività di marketing a supporto delle fasi finali.

Secondo Bloore (2009), il principale limite di questo schema è che non riconosce il con- tributo di tutti gli attori che intervengono nella filiera cinematografica né tantomeno con- sidera distintamente la fase del finanziamento, e anche in questo caso è più adatto a de- scrivere il sistema hollywoodiano piuttosto che le realtà indipendenti (Crissey, 2010).

Una delle più complete e complesse rappresentazioni della filiera cinematografica è quella che Peter Bloore (2009) propone nel già citato studio Re-defining the Indipendent

Film Value Chain, dove l’autore si focalizza sulla catena del valore dei film indipendenti.

Lo schema in Figura 2.6 si compone di sette elementi principali - sviluppo, finanziamento e prevendite, produzione, vendite internazionali e licensing, distribuzione internazionale, esercizio e sfruttamento e infine consumo - tra loro interconnessi e all’interno dei quali operano numerosissimi attori elencati in ordine di importanza, pur riconoscendo che per ciascun film la situazione può variare notevolmente. Rispetto a quella di Küng (2008), la catena del valore di Bloore (2009) esprime in modo più evidente la frammentazione e la fragilità dei legami tra le varie attività, con i rischi di investimento che sono tanto mag- giori quanto più ci si allontana dalla fase finale del consumo.

Figura 2.6: La catena del valore di un film secondo Bloore (2009)

Come sottolinea Crissey (2010), questa particolare configurazione della filiera cinemato- grafica è la prima in letteratura che considera il valore che i consumatori apportano con il diffondersi del Web 2.0 (si pensi ad esempio alle critiche informali sui social network, che possono anche condizionare il successo di un film), assumendo un ruolo che va ben oltre il consumo passivo del prodotto filmico. Secondo l’autore, un ulteriore modalità attraverso cui viene generato valore nella filiera riguarda le library, ossia i diritti del di- stributore sul “magazzino film” di cui è titolare o per i quali ha ricevuto un mandato (Pasquale, 2012), poiché con internet e soprattutto grazie alle potenzialità di ciò che Chris Anderson descrive come “coda lunga”29 ciascun film può avere una seconda vita (Bloore, 2009). Inoltre, la separazione della fase del finanziamento da quella della produzione per- mette di differenziare i major studio hollywoodiani da quelli indipendenti, per i quali questa fase è di gran lunga la più complessa del processo.

Nonostante la grande accuratezza e il livello di dettaglio espressi da Bloore nel suo schema della catena del valore di un film, è da notare come anche in questo caso l’autore si concentra più sulla descrizione del flusso delle attività che sulle reali fonti del vantaggio competitivo, e in questo senso si allontana molto da ciò che Porter voleva esprimere at- traverso la catena del valore (Crissey, 2010). In effetti, nello studio Any value in the

chain? John Crissey (2010) ritiene che l’identificazione di un adeguato modello della

catena del valore da poter applicare all’industria cinematografica è probabilmente una delle più grandi sfide degli ultimi anni, al fine di facilitare le strategie delle aziende che operano nel settore nel definire il proprio vantaggio competitivo.

A livello di catena del valore di un film, ciò a cui si assiste con lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione è il passaggio verso dei modelli “su misura”, che si strutturano diver- samente in base alla particolare domanda del film che viene distribuito, in quella che di

29 Nel celebre libro La coda lunga Chris Anderson (2016) sostiene che la cultura e l’economia contempo- ranea, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione, si stiano emancipando dall’impor- tanza attribuita a poche hit (prodotti mainstream), che si posizionano in testa alla domanda, e si stiano piuttosto spostando verso un grande numero di nicchie, posizionate alla coda della domanda. Questo feno- meno è provocato principalmente dalla riduzione dei costi per raggiungere queste nicchie, che a sua volta è legato alla presenza di tre fattori: la democratizzazione degli strumenti di produzione e anche di quelli di distribuzione, e infine il collegamento tra offerta e domanda, che permette di spostare il business dalla testa alla coda della curva della domanda (Anderson, 2016)

fatto rappresenta un’espansione dello schema indicato da Porter nel 1985 (Kehoe & Ma- teer, 2015). Infatti, se da un lato ciò provoca una disintermediazione in alcune fasi della filiera cinematografica (Zhu, 2001), dall’altro sono in atto numerosi processi di re-inter- mediazione grazie all’inserimento di vari attori che appartengono alle industrie hi-tech, i quali collegando il potenziale delle nuove tecnologie ai contenuti disegnano inedite traiet- torie di valore per l’intera filiera del cinema (Simon et. al, 2015). Oltre a ciò, diventa sempre più netta la distinzione tra la catena del valore dei film indipendenti e quella delle grandi produzioni, specialmente rispetto alle attività di distribuzione e di consumo, per un mercato che passa dall’essere guidato dall’offerta (si pensi alle produzioni hollywoo- diane) a essere guidato dalla domanda (Kehoe & Mateer, 2015).

Visti i principali contributi della letteratura sull’argomento e con la consapevolezza della complessità di questo sistema, nella presente trattazione viene utilizzata una rielabora- zione del modello di Eliashberg et. al (2006) per descrivere le varie fasi della tradizionale filiera cinematografica. La principale ragione di questa scelta è anzitutto legata alla sem- plicità del modello, che include le tre fasi storicamente più importanti - produzione, di- stribuzione ed erogazione - e inserisce al loro interno le varie attività, potendo essere facilmente adattato in base ai casi considerati. Secondariamente, la suddivisione tra pro- duzione, distribuzione ed esercizio è in linea con la maggior parte dei report in cui sono forniti i numeri dell’industria cinematografica, e perciò sarà più semplice comprendere i dati quando questi saranno indicati nella trattazione. La decisione di utilizzare il termine “erogazione” piuttosto che “esercizio” è in accordo con Pasquale (2012), in modo tale da includere tutti i mercati attraverso cui il film viene presentato ai consumatori. Il consumo è il momento in cui vengono ripagati gli sforzi compiuti durante il percorso di ideazione, realizzazione, commercializzazione e diffusione del prodotto, avviando un flusso finan- ziario a ritroso nella catena (Eliashberg et. al, 2006).Ma non solo, perché come si è ac- cennato il consumatore aggiunge valore nella filiera cinematografica, influenzando diret- tamente la reputazione ed eventuali sfruttamenti futuri del film per mezzo delle critiche e del volume dei consumi stessi (Bloore, 2009). La scelta di inserire in questa rappresenta- zione della filiera cinematografica il consumo è quindi da spiegarsi per queste ragioni, sebbene in questo capitolo la fase del consumo non sarà affrontata nello specifico.

Figura 2.7: Le quattro fasi della tradizionale filiera cinematografica

Fonte: elaborazione personale da The Motion Picture Industry: Critical Issues In Prac-

tice, Current Research & New Research Direction (Eliashberg et. al, 2006)

Vengono in seguito analizzate le tre fasi principali che precedono il consumo di un film sulla base dello schema individuato in Figura 2.7, focalizzandosi in modo particolare sulla distribuzione e l’erogazione. La produzione infatti non è il focus di questo elaborato, che si concentra piuttosto sulla distribuzione del prodotto finito attraverso l’analisi del prin- cipio organizzativo che la regola, ossia il sistema delle finestre di distribuzione, con l’obiettivo di identificare un ordine nello scenario mutato dall’era digitale.