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I nuovi modelli economici di gestione dell’accesso ai contenuti

Prima di andare a vedere chi sono i protagonisti della distribuzione online nel panorama dell’audiovisivo contemporaneo e quali servizi sono offerti in Italia, occorre fare un passo indietro per cercare di capire in quale modo questi attori sono riusciti ad avere successo e a sovvertire le logiche di mercato degli operatori tradizionali (su tutti telco e broadca-

ster), entrando quindi nel merito dei modelli economici di gestione dell’accesso ai conte-

nuti che le tecnologie di rete rendono possibili. Sul tema, una prima considerazione da farsi è che in realtà non ci si trova di fronte a delle formule di business senza precedenti, tant’è che la maggior parte delle pratiche associate ai consumi on demand hanno origine dai formati di distribuzione che si sono sviluppati nel passato (Tryon, 2013). Ecco allora che, come mostra la Figura 3.2, l’Electronic Sell Through (EST) si configura come un’evoluzione del mercato Sell Through Video operata per mezzo della tecnologia del download, mentre il noleggio si espande per comprendere tutto ciò che è on demand - disponibile “su richiesta”, dunque - e grazie allo streaming anche la televisione si tra- sforma, fornendo i propri contenuti in rete (Ulin, 2014).

Figura 3.2: La convergenza lessicale tra “vecchi” e nuovi mercati dell’audiovisivo

Fonte: Investire nel Cinema: Economia, Finanza, Fiscalità del Settore Audiovisivo (Pa- squale, 2012)

La sfida che i nuovi operatori hanno lanciato ai leader storici dei mercati dell’Home Vi- deo e della televisione è da leggersi proprio in questo senso, costringendo gli operatori tradizionali a ridisegnare i propri modelli di business in un’ottica multimediale e flessibile per non rischiare di perdere definitivamente la propria posizione di potere (Zambardino, 2015). Ma se da un lato questi cambiamenti vengono percepiti dai consumatori come permanenti e in qualche modo “naturali”, lasciando quindi intendere che diventeranno i modelli di consumo dominanti (Ulin, 2014), dall’altro i mercati tradizionali continuano ancora oggi ad avere un peso predominante nelle scelte di consumo dei prodotti audiovi- sivi (specialmente se si considerano i Paesi tecnologicamente meno sviluppati, tra cui rientra l’Italia). Contrariamente a quanto è avvenuto nella musica o nell’editoria, l’im- patto della distribuzione online nell’industria del cinema ha prodotto i suoi esiti in modo meno rapido e nel complesso meno rivoluzionario, lasciando agli incumbent molto più tempo di rispondere (Cunningham e Silver, 2013).

In secondo luogo, i modelli economici di gestione dell’accesso ai contenuti online non sono da considerarsi come rigidi, né tantomeno vengono presentati in modo univoco dai nuovi protagonisti della distribuzione online. Piuttosto, i modelli di business che verranno discussi in seguito sono elastici, fluidi e in molti casi si presentano in formati ibridi (Re, 2014). Di più, perché secondo alcuni autori della letteratura accademica le forme di ac- cesso non sono nemmeno la determinante principale per descrivere come si connota la moderna distribuzione online, mentre invece lo sono la sicurezza, il marketing, il prezzo, ma anche l’insieme dei contenuti e di come questi sono presentati, le interfacce e più nello specifico quegli aspetti che insieme determinano la user experience dell’utente in una piattaforma (Ulin, 2014; Re, 2014). In un panorama sempre più affollato di contenuti, gli Ott si caratterizzano per essere molto più che semplici “aggregatori”, preoccupandosi ad esempio di fornire agli utenti delle interfacce quanto più possibile “user-friendy” e di coinvolgerli al punto da stimolare dei dialoghi che possano poi proseguire nei vari social network, e così facendo spostano le leve competitive sul versante qualitativo (Re, 2014). Tuttavia, è innegabile che il primo indicatore che ancora oggi viene utilizzato per distin- guere i modelli di business dei vari operatori del VoD sia la forma di accesso ai contenuti (noleggio, acquisto, streaming gratuito e abbonamento), la cui scelta deriva da decisioni strategiche precise (Corvi, 2016). Oltre a ciò, tale categorizzazione diventa fondamentale

nel momento in cui questi mercati si inseriscono nel sistema delle finestre di distribu- zione, generando forti tensioni nell’individuazione delle finestre più appropriate in cui far convivere i canali tradizionali con quelli nuovi.

Il Video on Demand consente di rispondere al bisogno del pubblico di accedere ai conte- nuti audiovisivi quando e dove desidera, sviluppando modelli di business che sono nel contempo flessibili, multi-accesso e in mobilità (Corvi, 2016). La storia recente ha inse- gnato che non esistono modelli “giusti” o modelli “sbagliati”, ma piuttosto che ciascuno di essi soddisfa le preferenze dei consumatori in modo diverso: ecco allora che, così come offline la vendita di DVD e Blu-ray coesiste con il noleggio, la Pay Tv e la Free Tv, allo stesso modo è irragionevole sostenere che online questi stessi modelli possano entrare in conflitto al punto da venire eliminati da quello dominante (Ulin, 2014). In questa sede, si individuano principalmente quattro modelli economici per la gestione degli accessi ai contenuti online:

• Transactional Video on Demand (TVoD) • Electronic Sell Through (EST)

• Subscription Video on Demand (SVoD) • Advertising Video on Demand (AVoD)

Il Transactional Video on Demand (TVoD o DTR) è un servizio che prevede il pagamento di una somma di denaro per accedere temporaneamente a dei singoli contenuti da fruire in streaming o alternativamente tramite l’opzione del download, dovendo poi visualizzare il contenuto entro un arco di tempo compreso tra le 24 e le 48 ore. Funziona in modo analogo l’Electronic Sell Through (EST o DTO), con la sola differenza che questa op- zione non ha alcun vincolo temporale, e di conseguenza il prezzo per fruire di un mede- simo contenuto risulta essere più elevato. Queste due tipologie di servizi rappresentano la versione digitale dell’Home Video, corrispondendo rispettivamente all’opzione del no- leggio e dell’acquisto su supporto fisico. Il prezzo per poter accedere a questi servizi non è univoco, ma varia in base all’anno di realizzazione del film e talvolta anche al successo che questo ha ottenuto al botteghino (Corvi, 2016). Utilizzano questo modello le piatta- forme di iTunes, Chili Tv, Google Play e Waiki.tv, in cui è possibile sia il noleggio che l’acquisto di contenuti audiovisivi. Talvolta il Download-To-Rent (DTR) e il Download-

to-Own (DTO) sono accorpati all’interno del TVoD, proprio perché nella stragrande mag-

gioranza dei casi gli operatori forniscono i contenuti con entrambe le modalità di accesso. Il punto di forza di questi modelli è senza dubbio rappresentato dal catalogo (con i titoli più recenti, il che in Italia significa che sono disponibili dopo circa 105 giorni dall’uscita in sala), e nonostante il prezzo risulti essere superiore rispetto a quello degli analoghi servizi su supporto fisico, spesso essi si differenziano fornendo delle funzionalità aggiun- tive sul contenuto (Zambardino, 2015).

Il Subscription Video on Demand (SVoD) è un servizio che permette l’accesso illimitato, su richiesta e senza vincoli di orario a un catalogo di contenuti fruibili in streaming, previa il pagamento di un abbonamento periodico di ammontare generalmente contenuto (Zam- bardino, 2015). È utilizzato dalle piattaforme di Netflix, Amazon Prime Video, Infinity, Now Tv e la versione “Plus” di Hulu, nonostante quest’ultimo abbia un modello ibrido che prevede anche un’opzione con pubblicità. In particolare, si distinguono due varianti principali dello SVoD, ossia lo SVoD catch-up e lo SVoD stand-alone: mentre il primo è solitamente riservato agli abbonati di un servizio di televisione a pagamento, dando la possibilità di fruire su richiesta di alcuni contenuti legati alla programmazione lineare (si pensi ad esempio a Sky On Demand), il secondo è totalmente svincolato da servizi di Pay Tv (Corvi, 2016). In base a quanto sostiene Zambardino (2015), la formula “all you can eat” che contraddistingue questo tipo di servizi li ha resi molto popolari tra il pubblico negli ultimi anni, diventando una parte importante delle proprie abitudini di consumo al punto da integrarli nei loro comportamenti standard. Ma se da un lato questa combina- zione di elementi - prezzo esiguo, libero accesso e spesso multischermo - rappresenta la forza del modello in esame (Zambardino, 2015), dall’altro ne rappresenta anche il limite (Ulin, 2014). Entrando più nel dettaglio del modello di business di tipo SVoD stand- alone, e volendo fare un confronto con i servizi cosiddetti à la carte (tra cui il rientra il TVoD), dall’analisi di Figura 3.3 emerge che all’aumentare della scelta di contenuti i ricavi da abbonamento decrescono. Più nello specifico, mentre l’acquisto dei contenuti da inserire nel catalogo comporta dei costi di natura variabile, la sola fonte di ricavo di un operatore che offre un servizio SVoD stand-alone è un abbonamento fisso; se all’equa- zione si aggiunge che i sottoscrittori desidereranno avere un catalogo sempre più ricco di

contenuti e che online lo spazio è potenzialmente illimitato, è evidente che quanto mag- giore è la scelta e tanto più il servizio à la carte è conveniente per gli Ott. È per questa ragione che le piattaforme come Netflix hanno deciso di puntare su servizi ulteriori ri- spetto al solo “aggregare” i contenuti (produzioni originali, interfaccia “user-friendly”, eccetera), diventando sempre più simili alle Pay Tv ed entrando così in competizione diretta con i broadcaster televisivi al fine di sottrarre loro dei sottoscrittori.

Figura 3.3: Modelli di business a confronto: SVoD vs TVoD

Fonte: adattamento da The Business of Media Distribution (Ulin, 2014)

Infine, l’Advertising Video on Demand (AVoD) è un servizio gratuito per l’utente finale, il quale è sostenuto da inserzioni pubblicitarie che nella maggior parte dei casi devono essere necessariamente fruite prima di poter accedere al contenuto che desidera visualiz- zare (Re, 2014). La principale piattaforme di AVoD è senza dubbio YouTube, ma rien- trano in questo modello anche Yahoo, Crackle e i portali web dei broadcaster in cui è possibile rivedere entro un lasso di tempo limitato i programmi già andati in onda, ossia la cosiddetta catch-up Tv (si pensi ad esempio a Rai Cinema Channel). Una possibile ibridazione di questo modello è quella offerta da Hulu, che nella versione base del suo abbonamento integra il servizio di AVoD con quello di SVoD.