• Non ci sono risultati.

I nuovi “King Kong” della distribuzione online

3.3. La crescita del business Ott e l’impatto sui mercati tradizionali

3.3.1. I nuovi “King Kong” della distribuzione online

In accordo con Zambardino (2015, p.181), si parla di operatori Ott per indicare quei ser- vizi “che distribuiscono - sullo schermo televisivo e su altri device connessi - contenuti

audiovideo provenienti dalla rete internet, tramite connessione a banda larga su reti aperte”. Sulla base di quanto riportato nello studio Global OTT Tv & Video Forecasts68

di Digital Tv Research (2016a), il mercato generato da questi servizi - in cui rientrano tutti i modelli di gestione degli accessi descritti in precedenza - è in enorme espansione: tra il 2010 e il 2015 i ricavi globali degli Ott Tv & Video sono passati da 4,5 a 29,4 miliardi di dollari, mentre la previsione per il 2021 è di 64,8 miliardi (oltre un terzo dei quali nel solo Nord America). È interessante inoltre notare che il 2021 sarà anche l’anno in cui cadrà l’egemonia dello SVoD come primo modello VoD negli Stati Uniti e in Ca- nada, quando a prendere le redini del comando sarà l’AVoD, con un totale di 11 miliardi di dollari contro i 9,8 degli abbonamenti elettronici (Digital Research TV, 2016a). Oltre a ciò, è prevista una forte crescita anche del business EST, che secondo il rapporto nel 2021 passerà a 2,5 miliardi di dollari (con un salto di un miliardo rispetto a quanto regi- strato nel 2015), mentre l’unico servizio a farne le spese sarà il TVoD. Se questi numeri sono da leggersi come i segnali di un mercato che al giorno d’oggi non ha raggiunto un definitivo equilibrio tra le forze in campo e che non è ancora entrato in piena fase di maturità in tutti i territori, quello che non dicono è che già da tempo si conoscono i nomi di chi vincerà la battaglia per “l’economia dell’attenzione” (Cunningham & Silver, 2013).

Nel libro Screen Distribution and the New King Kongs of the Online World, la tesi di fondo di Stuart Cunningham e John Silver (2013) è piuttosto semplice da riassumere: a dominare l’industria cinematografica, e più in generale le industrie audiovisive, è chi rie- sce a controllare le piattaforme di distribuzione dei contenuti nei vari schermi (cinema, televisione, computer e device mobili). Come si è visto quando si è discussa l’evoluzione storica della filiera cinematografica negli Stati Uniti, ciò è avvenuto dapprima con le sale

68 Lo studio Global OTT Tv & Video Forecasts è stato pubblicato da Digital Tv Research nel luglio del 2016 e contiene un’analisi del mercato Ott che copre 100 paesi nel mondo, per un periodo di studio che va dal 2010 e fornisce previsioni fino al 2021 (Digital Tv Research, 2016a)

cinematografiche nei primi anni del Novecento e in seguito con la diffusione della tele- visione negli anni Cinquanta, dove il ritardo dei major studio hollywoodiani nel com- prendere le potenzialità del mezzo si è tradotto in un periodo di grandi incertezze, che ha condotto in seguito le stesse Major a entrare nel mercato televisivo formando gli enormi conglomerati mediatici che dominano tutt’ora le industrie audiovisive. E questo è esatta- mente quanto sta avvenendo oggi con la distribuzione online, dove a seguito di un decen- nio turbolento e che ha visto l’alternarsi di molti attori - dal lancio nel 1997 di iFilm, la prima piattaforma di VoD, fino a quando nel 2006 vengono ceduti i siti “Movielink” e “MovieBeam”, decretando il fallimento dei majors studio nel loro primo tentativo di con- trollare il business Ott - sono entrate in gioco quelle che i due autori definiscono come le nuove Major “Post-Hollywoodiane” della distribuzione online, ossia Google/YouTube, Apple, Amazon e Netflix (a cui si aggiungerà nel 2007 Hulu, a oggi l’unico player sotto il controllo dei major studio).

In breve tempo questi operatori sono riusciti a formare un vero e proprio oligopolio nei mercati Ott, fino anche a espandere il proprio predominio oltre i confini nazionali, e le tre ragioni principali sono da associarsi al fatto che essi (Cunningham & Silver, 2013):

• Sono nati come internet pure players, per loro stessa natura transnazionali; • Nel momento in cui sono entrati nel settore dell’audiovisivo erano già in possesso

di una massa critica di utenti che acquistava regolarmente i loro prodotti online e soprattutto di dati a sufficienza per comprendere l’evoluzione delle abitudini di consumo;

• Erano forti di un bagaglio di esperienza di molti anni nel promuovere i propri prodotti a un’audience sul web, riuscendo a sviluppare delle tecniche di marketing in grado di fare presa sui consumatori.

È importante sottolineare che a diventare i protagonisti della distribuzione online non sono stati né i distributori tradizionali, né tantomeno chi deteneva il controllo della distri- buzione “informale” (come invece è avvenuto nell’industria musicale, inizialmente para- lizzata dalla pirateria online per poi essere in parte salvata da iTunes), ma piuttosto lo sono stati i leader dei mercati online nei vari settori di appartenenza (Ulin, 2014). Come indica Ulin (2014), si ha a che fare con dei soggetti che attorno alla seconda metà degli

anni Duemila, ossia quando hanno fatto il loro primo ingresso nel business Ott Video, erano rispettivamente il primo operatore del noleggio su supporto fisico basato su internet (Netflix), il leader del commercio elettronico nonché il primo sito per la vendita di DVD (Amazon), il pioniere globale del mercato del download a pagamento di contenuti audio- visivi, passando in breve tempo dalla vendita di musica a quella di tutti i media (Apple), e infine il primo motore di ricerca (Google). Nelle prossime pagine si cercherà di tracciare brevemente il profilo degli operatori più “rivoluzionari” con un focus sulle strategie di business che hanno permesso loro di raggiungere il successo globale, il che permetterà di comprendere le direzioni future del mercato Ott e di conseguenza in quale modo gli in-

cumbent dovranno reagire.

Netflix è la società Ott a maggiore crescita ed è leader del mercato SVoD, con oltre 86 milioni di iscritti in 190 paesi nel mondo alla fine del terzo trimestre del 2016 (Netflix, 2016). Fondata nel 1997 da Reed Hastings, in principio l’azienda forniva un innovativo servizio online di noleggio per posta di DVD e videogiochi, salvo poi comprendere nel 2007 il potenziale di internet e di fatto dando origine al business del video streaming in modalità SVoD, che a oggi è diventato il suo core business (Zambardino, 2015). La com- pagnia fornisce nella propria piattaforma serie tv, film e show televisivi, che produce direttamente o acquista tramite accordi di licenza con le società di produzione, i network televisivi e i major studio (Corvi, 2016). Tra le tappe più importanti della società di Los Gatos certamente si rileva l’espansione nel mercato canadese e in 43 Paesi dell’America Latina tra il 2010 e il 2011, e soprattutto l’annuncio nel 2011 della realizzazione delle prime produzioni originali - tra cui la serie tv House of Cards, prodotta in collaborazione con il regista premio Oscar David Fincher, che ne ha diretto i primi due episodi, e con il celebre attore hollywoodiano Kevin Spacey nel cast - a cui ha seguito la distribuzione in esclusiva sulla propria piattaforma e rendendo immediatamente disponili tutti gli episodi, così che gli utenti li potessero consumare in modalità binge watching69 (Ulin, 2014). Nel 2013 Netflix ha compreso i due trend fondamentali per la crescita dei servizi Ott negli

69 Il binge watching, letteralmente “visione in abbuffata”, è un termine comparso per la prima volta nel momento in cui furono messi in commercio i cofanetti delle serie tv, per indicare la visione di più episodi nella stessa sessione. Con l’introduzione dei servizi SVoD e con l’inserimento di intere serie televisive all’interno dei cataloghi digitali questo fenomeno ha definitivamente preso piede, fino a diventare estrema- mente apprezzato dagli utenti, in quanto considerato coinvolgente, appassionante e nel complesso miglio- rativo dell’esperienza di consumo (Zambardino, 2015)

anni a venire, ossia da un lato la globalizzazione dei servizi erogati online, che nel triennio successivo porterà la piattaforma nella quasi totalità dei Paesi nel mondo e alla crescita del peso dei mercati internazionali rispetto agli Stati Uniti (passando dal 24,6% nel 2013 al 46% stimato a fine 2016); dall’altro l’importanza dei contenuti originali per valorizzare la propria offerta (serie tv, documentari, show televisivi e film), che la condurrà a inve- stire anche nelle produzioni locali (Campagnucci & Zambardino, 2016).

Oltre a questi aspetti, un ulteriore elemento che caratterizza il modello di business di Netflix è legato alla raccolta e all’analisi dei dati provenienti dal proprio pubblico, ossia i Big Data, che assieme allo sviluppo di un potente algoritmo permettono di orientare le scelte degli abbonati e trarre utili informazioni da impiegare per la realizzazione dei con- tenuti originali (Corvi, 2016). A partire dal 30 novembre del 2016 la piattaforma ha inte- grato nella propria offerta la possibilità di scaricare i contenuti del catalogo per poterli visualizzare in modalità offline tramite l’app di Netflix su iOS o Android e senza costi aggiuntivi (Netflix, 2016). Secondo quanto riportato da Samuel Gibbs e Jasper Jackson in un articolo dello stesso giorno sul magazine online The Guardian, si è trattata di una mossa per accontentare le richieste degli utenti, che in questo modo possono fruire dei contenuti anche quando la connessione non è ottimale e venendo così maggiormente in- contro alla logica del “anywhere, anytime” da sempre predicata dall’azienda di Los Ga- tos, per un servizio che già da tempo era presente nell’offerta di competitor quali Amazon, Sky e Virgin.

Amazon grazie al suo servizio Prime Instant Video rappresenta a oggi il principale com- petitor di Netflix nel mercato SVoD nonché è leader mondiale dell’e-commerce, con un fatturato di 107 miliardi di dollari nel 2015 (Amazon, 2016). La società guidata da Jeff Bezos è riuscita nel tempo a costruire una piattaforma verticalmente integrata per la di- stribuzione online di contenuti audiovisivi, con rami nella produzione (si pensi agli Ama- zon Studios, in cui vengono sviluppate le sceneggiature di filmmaker indipendenti e rea- lizzate le produzioni originali), nella distribuzione (dalla vendita di prodotti audiovisivi, sia su supporto fisico che digitale, fino a siti internet quali ad esempio “Withoutabox” e “IMDb”) e nell’erogazione, con il già citato Amazon Prime Video e alcune sussidiarie

nei servizi Ott (tra cui la LoveFilm, la piattaforma britannica dal 2014 integrata nel pro- prio servizio di streaming), a cui si aggiungono la vendita diretta di dispositivi mobili connessi come il tablet Kindle Fire e la possibilità di integrare l’app Instant Video all’in- terno di smart tv, set-top box e console di videogiochi (Cunningham & Silver, 2013). La decisione di offrire il servizio SVoD in modalità stand-alone - prima era esclusiva dei soli clienti “Prime” - risale all’aprile 2016, con la volontà di competere direttamente con Netflix sia sul fronte dei contenuti originali che su quello dell’espansione internazionale (Corvi, 2016). Con una mossa che ha stupito la maggior parte degli analisti per la rapidità con cui è avvenuta (in quanto non è stata in alcun modo annunciata), dal dicembre 2016 Amazon è presente in 200 Paesi nel mondo e ha così raggiunto tutti i territori presidiati della compagnia di Reed Hastings (Barraclough, 2016). A maggio 2016 è stato lanciato Amazon Video Direct, un servizio AVoD che consente ai produttori di inserire online i propri film, così da rendere Amazon presente in tutti i mercati VoD discussi in precedenza (Corvi, 2016).

In un articolo del 28 dicembre 2016 sul magazine The Hollywood Reporter, gli autori Scott Roxborough e Georg Szalai riportano che nella “battaglia” per il mercato SVoD a dominare nei prossimi anni saranno Netflix e Amazon (con proiezioni rispettivamente di 130 e 64 milioni di sottoscrittori per il 2020), sebbene le due piattaforme svilupperanno la propria offerta adottando strategie molto differenti. In particolare, secondo i due autori: • Rispetto al prezzo di penetrazione nei nuovi mercati, Amazon continuerà a offrire il proprio servizio a 5,99 euro/mese contro i 7,99 di Netflix, a fronte di un catalogo a oggi molto meno ricco rispetto a quello proposto nei mercati internazionali dalla società di Los Gatos;

• Le produzioni originali continueranno a rappresentare un driver competitivo di primo ordine. Nel 2016 la spesa negli Originals dei due colossi è stata molto ele- vata, seppure con proporzioni differenti. Amazon ha infatti investito 337 milioni in produzioni originali; Netflix è andata ben oltre, arrivando a spendere 1,2 mi- liardi di dollari. Nei prossimi anni Amazon si focalizzerà maggiormente sulla rea- lizzazione di produzioni indipendenti locali, mentre Netflix continuerà a puntare sul proprio sistema “Hollywood-centrico”, incentrato perlopiù sul finanziamento di grandi produzioni americane;

• Sembra inoltre che Netflix nel prossimo futuro intenda smettere di dare battaglia agli operatori della televisione a pagamento per venire integrato nei loro servizi come premium channel, cercando quindi un’alleanza piuttosto che uno scontro diretto. Ciò è in linea con quanto avvenuto nel settembre del 2016, quando l’ac- cordo con Liberty Global ha permesso di inserire Netflix nel set-top box dell’In- ternet Service Provider. Secondo Corvi (2016), questa operazione sarebbe da leg- gersi più in ottica di marketing, al fine di risolvere i problemi della connessione e permettere agli abbonati di godere del servizio con una maggiore qualità nello streaming;

• Amazon cercherà di ottimizzare il proprio portale e-commerce come leva per fare

up-selling e offrire agli utenti i titoli in modalità EST e TVoD, con un’offerta più

completa e presentando anche i titoli più recenti. Oltre a ciò, è evidente che il servizio di SVoD continuerà a rappresentare un importante strumento per attrarre e tenere agganciate al sito il maggior numero possibile di persone, così da fare

cross-selling e offrire loro prodotti di ogni genere (alimentare, elettronica, co-

smesi, eccetera);

• Infine, la compagnia di Jeff Bezos ha iniziato a esplorare due modelli di business al momento ignorati da Netflix, ossia l’acquisto dei diritti sportivi e le partnership con altri provider di contenuti. Nel secondo caso, si tratta di fornire agli utenti la possibilità di creare il proprio servizio di Pay Tv in autonomia, integrando in Ama- zon Prime Video l’abbonamento ad altre piattaforme. In questo senso, si configu- rerebbe una situazione che vedrebbe da un lato Netflix operare come un premium channel brand e dall’altro Amazon diventare a tutti gli effetti un network televi- sivo online.

YouTube è il leader mondiale nel mercato AVoD, nonché complessivamente il primo operatore nella distribuzione online di contenuti audiovisivi, con un modello di business che si basa sull’offerta di contenuti free realizzati principalmente dagli stessi utenti (UGC), traendo i propri guadagni dagli annunci pubblicitari. Per dare una misura della vastità del mercato di YouTube, basta indicare che nel 2015 gli introiti pubblicitari sono valsi alla società 9,5 miliardi di dollari e che la library alla fine del primo trimestre del 2016 comprendeva circa due miliardi di video differenti, con una crescita di contenuti

pari al 35% annuo (Corvi, 2016). La compagnia, che Google ha acquistato nel 2006 per 1,6 miliardi di dollari, ha da sempre tratto la sua forza dall’essere un aggregatore “puro” - ossia quasi senza imporre filtri editoriali sui contenuti - anche se negli ultimi anni sta migrando verso l’offerta di contenuti originali premium (Ulin, 2014). È in questo senso che si legge l’entrata dell’azienda nel business SVoD con il lancio nell’ottobre 2015 di YouTube “Red” negli Stati Uniti, un servizio a pagamento che permette agli utenti di fruire dei video senza venire interrotti dagli annunci pubblicitari e puntando proprio sulle star dei canali YouTube, a cui viene affidata la creazione di show originali dal taglio più professionale (Campagnucci & Zambardino, 2016). Non saranno però solo le YouTube star a fornire i contenuti premium della piattaforma, come testimonia il recente annuncio della prima produzione originale ad alto budget. Ciò è quanto indicato da Brooks Barnes in un articolo del 23 giugno 2016 sul New York Times, dove l’acquisto della serie tv Step

Up - basata sull’omonimo film di genere musicale che ha realizzato oltre 650 milioni di

dollari al box office nei suoi quattro sequel - ha evidenziato la volontà del servizio di competere con i due leader del mercato SVoD.

Infine, sulle future ambizioni di YouTube come operatore nel mercato SVoD e più in generale sui prossimi trend della distribuzione online è interessante riportare quanto in- dicato da Lucas Shaw e Alistair Barr in un articolo su Bloomberg del 4 maggio 2016. In particolare, YouTube sta lavorando alla realizzazione nel 2017 di YouTube “Unplugged”, un servizio online a pagamento per la visione di canali televisivi via cavo direttamente dalla propria piattaforma e per il quale sarebbero già state contattate alcune delle più im- portanti media companies, tra NBCUniversal, Viacom, CBS e 20th Century Fox. “Un- plugged”, che si affiancherebbe così a YouTube Red, vorrebbe offrire un pacchetto di canali personalizzabile tra quelli dei broadcaster televisivi (il cosiddetto skinny bundle) e a un prezzo mensile inferiore ai 35 dollari, in modo tale da intercettare i giganteschi traffici di utenti sul proprio sito - YouTube avrà 185 milioni di visitatori unici nel 2018, ossia il 67% di tutti gli utenti internet - per fornire loro un quantitativo sempre maggiore di contenuti di qualità.